La sospensione necessaria nell'opposizione all'esecuzione
10 Maggio 2018
Massima
Il giudizio di opposizione all'esecuzione e quello nel quale sia impugnata la sentenza fatta valere come titolo esecutivo hanno presupposti diversi, cosicché tra di essi non ricorre un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico tale da giustificare, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., la sospensione necessaria del processo di opposizione. Il caso
La fattispecie sottoposta all'attenzione della Corte di legittimità nella decisione annotata è piuttosto particolare, perché riguarda la verifica di pregiudizialità fra un giudizio di opposizione all'esecuzione (esecuzione peraltro fondata su titolo giudiziale) ed un altro giudizio di cognizione avente ad oggetto la verifica dell'esistenza o meno della società convenuta opposta nel giudizio ex art. 615-616 c.p.c., perciò non inerente al rapporto di credito ma ad uno specifico aspetto della soggettività del creditore. La Corte ha nella specie deciso che il rapporto di pregiudizialità non sussiste, poiché ciò equivarrebbe a far dipendere l'esito dell'opposizione – basato sulla stessa eccezione (estinzione per cancellazione della società creditrice) da quello avente ad oggetto l'accertamento suddetto. La questione
La questione più generale sottesa alla decisione in esame, che si inserisce in un filone ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (v. già Cass. civ., n.7631/2002 ed, in seguito Cass. civ., n. 16601/2005 e da Cass. civ., n.15909/2008), rientra in un discorso più in generale sulla portata della sospensione necessaria di cui all'art.295 c.p.c. nel processo d'opposizione all'esecuzione. Le soluzioni giuridiche
Va in proposito ricordato che secondo l'ormai costante insegnamento della Corte Suprema, la sospensione in parola non è di natura facoltativa, come invece quella di cui all'art.337, comma 2, c.p.c., ma va ricollegata esclusivamente al rapporto di dipendenza di una controversia da un'altra, intesa come pregiudizialità non meramente logica, ma giuridica, nel senso che la definizione della controversia pregiudicante deve costituire indispensabile antecedente logico-giuridico dal quale dipende la decisione della causa pregiudicata, nella quale il pregiudiziale accertamento è richiesto con efficacia di giudicato (Cass. civ., n. 7335/1997, in FI, 1998, I, 3642, e finalmente Cass. civ., Sez. Un., n. 14060/2004). In sostanza si può sospendere il processo ai sensi dell'art.295 c.p.c. solo in presenza del pericolo di contrasto di giudicati. Osservazioni
In tale panorama si inserisce la questione relativa alla sussistenza di tale rapporto di pregiudizialità, nei termini appena illustrati, fra il processo di opposizione all'esecuzione e quello avente ad oggetto l'accertamento in sede di cognizione relativamente al rapporto (o ad aspetti specifici del rapporto) portato dal titolo esecutivo. Principiando con le opposizioni all'esecuzione aventi ad oggetto titoli giudiziali, ed in particolare i loro rapporti con il giudizio d'appello avverso la sentenza provvisoriamente esecutiva, ovvero con l'opposizione a decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, la risposta della Corte è coerente con quanto si è sopra rassegnato. In particolare in tali casi si è sempre escluso il rapporto di pregiudizialità che giustifica la sospensione in quanto il giudizio d'opposizione all'esecuzione ha ad oggetto il diritto ad eseguire sulla base del titolo mentre l'altro ha ad oggetto il rapporto dedotto dal titolo giudiziale, e ancorché le questioni siano eventualmente identiche la decisione del primo giudizio non dipende dall'esito del secondo, proprio per la diversità dell'oggetto. Infatti la sentenza che definisce il giudizio d'opposizione non farà che affermare il diritto del creditore di procedere con quel titolo, prendendo atto della sua natura esecutiva, e ciò non contrasterà certo col fatto che il titolo, es. una sentenza, sia poi annullato in sede d'appello, perché comunque nel momento in cui venne azionata essa costituiva un titolo esecutivo. Per conseguenza, ad esempio, ove sopravvenga la sentenza d'appello prima di quella sull'opposizione, quest'ultima non verrà accolta, ma semplicemente si dichiarerà cessata la materia del contendere (Cass. civ., n.20869/2017: naturalmente in questo caso le spese seguono la soccombenza del creditore che, in ogni caso, ha iniziato l'esecuzione sì con un titolo, ma non fondato su un effettivo credito, disconosciuto dalla sentenza d'appello o da quella che definisce l'opposizione a decreto ingiuntivo). Se poi in sede d'opposizione all'esecuzione si fosse dedotto il venir meno del titolo per fatto (es. il pagamento) sopravvenuto – rispetto al momento in cui lo stesso poteva essere dedotto nell'altro giudizio -, ciò sarà irrilevante rispetto al giudizio impugnatorio, mentre se si sostenesse che mai esso costituì titolo esecutivo (allegandone ad es. la natura di pronuncia di accertamento), ciò avrà rilevanza solo nel processo esecutivo, e non certo nel processo impugnatorio od oppositivo del titolo (o altrimenti inerente il rapporto). Una diversa conclusione determinerebbe tra l'altro un'aperta contraddizione con il principio affermato in maniera granitica dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in sede di opposizione all'esecuzione instaurata sulla base di un titolo giudiziale non è consentito sollevare altre eccezioni se non quelle fondate su fatti estintivi o modificativi sopravvenuti al titolo medesimo (v., di recente, Cass. civ., n. 3277/2015), sempre perché l'oggetto dell'opposizione è qui limitato alla verifica dell'esistenza o persistenza del titolo giudiziale posto a fondamento dell'esecuzione (Cass. civ., n.7631/2002). A ben vedere si tratta della medesima ratio che sta alla base della giurisprudenza in base alla quale non si ammette la sussistenza di litispendenza fra giudizio di opposizione all'esecuzione e giudizio impugnatorio (in senso lato) del titolo giudiziale (Cass. civ., n.17743/2005). Le cose non cambiano neppure in ipotesi di opposizione del terzo ex art.619 c.p.c. (cfr. Cass. civ., n.9901/2006). Più articolata la questione ove l'opposizione abbia ad oggetto un titolo stragiudiziale. Spesso in questi casi il problema del rapporto di pregiudizialità logico-giuridica neppur si pone, per il fatto che il giudizio oppositivo coincide con quello avente ad oggetto il titolo, ed infatti l'opposizione all'esecuzione è detta anche “di merito”, perché ha ad oggetto il rapporto, non essendovi a monte un accertamento giudiziale. Ma se invece fosse stato instaurato prima un giudizio di accertamento (anche negativo) e poi da parte del creditore fosse stata promossa l'esecuzione, la relativa opposizione si troverebbe sicuramente in una situazione di litispendenza (che come noto si differenzia da quella contemplata dall'art.295 c.p.c. per il fatto che il rapporto qui non è di dipendenza ma addirittura di identità), nel senso che – decisa dal g.e. la fase sospensiva nell'ambito del processo esecutivo – vi sarebbe perfetta coincidenza fra giudizio di accertamento pendente e giudizio di merito ex art.616 c.p.c., ed anzi in tal caso sarebbe forse ammissibile a mio parere obliterare la concessione del termine ex art. 616 cit.. Per vero la stessa giurisprudenza di legittimità ha ammesso l'efficacia extra-processuale della pronuncia in caso d'opposizione di merito (Cass. civ., n. 4452/1978), e coerentemente a ciò, com'è stato osservato, si ritiene che in caso di estinzione del processo esecutivo il processo d'opposizione non va definito per cessazione della materia del contendere (Cass. civ., n. 23084/2005), come invece accade per l'opposizione agli atti esecutivi. Tali osservazioni possono ripetersi anche con riferimento ai rapporti fra l'opposizione in corso d'esecuzione e quella pre-esecutiva (rispettivamente artt. 615, comma 2 e 615, comma 1, c.p.c.), e quindi ove entrambi i giudizi concretamente pendessero si creerebbe senz'altro una situazione di litispendenza (Cass. civ., n. 19876/2013). In tutti questi casi dunque il pericolo di contrasto di giudicati è scongiurato in tal guisa, e ormai anche ove le due controversie si trovassero in gradi diversi, deve operare effettivamente l'istituto di cui all'art.39 c.p.c. (Cass. civ., n. 27846/2013), escludendosi il ricorso anche in tal caso alla sospensione ex art. 295 c.p.c.. Possono però esservi dei casi in cui pende un giudizio che in qualche modo è riconnesso all'esecuzione (si pensi a una controversia sull'esistenza del soggetto passivo dell'esecuzione, come accaduto in materia di trust) pur in presenza di titolo extragiudiziale, ed allora dev'essere richiamata la regola dell'inammissibilità dell'istanza di sospensione sempre perché non può ammettersi che l'opposizione stessa dipenda dall'esito di quel giudizio, salvo in ogni caso l'applicabilità di altri istituti (es., ricorrendone i presupposti, quello della continenza). Va invece a questo punto ricordato che il rapporto che rileva ed è considerato ostativo alla prosecuzione o contemporanea pendenza, è quello tra il giudizio impugnatorio od oppositivo rispetto al titolo ed il processo esecutivo, ma in proposito provvedono istituti sospensivi ben differenti, e cioè gli artt. 283c.p.c. (con la norma di raccordo di cui all'art. 623 c.p.c.), 615, comma 1 e 618 c.p.c. (invero, la domanda di opposizione all'esecuzione contiene sempre quella di sospensione del processo esecutivo, quindi è in questi termini (e non con riguardo al rapporto tra i due giudizi di cognizione) che si pone il potere sospensivo, cioè con riguardo al processo esecutivo e non al processo di cognizione). Soluzione peraltro obbligata posto che, se la sospendibilità del processo esecutivo deve ammettersi allorché sia impugnato il titolo che lo fonda, la questione della sospensione necessaria neppure può porsi in rapporto allo stesso, per il fatto che come premesso l'istituto di cui all'art.295 c.p.c. previene il pericolo di contrasto fra giudicati, laddove il processo esecutivo, neppure nei suoi eventuali sub-procedimenti di accertamento sommario (es. artt. 512 o 549 c.p.c.) è mai idoneo a costituire un giudicato. Riferimenti
|