Il procedimento di usucapione nel fallimento

14 Maggio 2018

Si può avviare un procedimento di usucapione di un terreno di proprietà di una ditta dichiarata fallita di cui è stato già nominato il curatore fallimentare? Quale tutela ha un soggetto che ha utilizzato per più di 20 anni un terreno il cui proprietario poi è stato dichiarato fallito? Si può esercitare l'azione di usucapione?

"Si può avviare un procedimento di usucapione di un terreno di proprietà di una ditta dichiarata fallita di cui è stato già nominato il curatore fallimentare? Quale tutela ha un soggetto che ha utilizzato per più di 20 anni un terreno il cui proprietario poi è stato dichiarato fallito? Si può esercitare l'azione di usucapione?"

Secondo il vecchio testo dell'art. 24 l.fall., vigente fino al 9.1.2006,1. Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano qualunque ne sia il valore e anche se relative a rapporti di lavoro, eccettuate le azioni reali immobiliari, per le quali restano ferme le norme ordinarie di competenza.

Il testo vigente, invece, si limita a stabilire che “Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.”.

L'eliminazione dell'eccezione relativa alle azioni reali immobiliari deve far propendere per una lettura ampliata della norma, per cui oggi tutte le azioni, anche quelle aventi ad oggetto diritti reali immobiliari, sono di competenza del tribunale fallimentare.

L'organo va inteso non come il tribunale che ha dichiarato il fallimento, cioè il tribunale territoriale la cui competenza è stata radicata per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento, e all'interno del quale opera il collegio che ha dichiarato il fallimento.

La ratio di questa disposizione risiede nel voler concentrare territorialmente nel tribunale fallimentare l'ambito dell'attività giudiziaria del curatore, per non costringerlo a proporre cause sul territorio nazionale in ragione della dislocazione dei beni oggetto del petitum (mobili ed immobili), con dispendio di costi, di tempo e di risorse della massa dei creditori.

Questo vale quando il curatore è attore.

Quando, invece, il curatore dovrebbe essere il convenuto, e quindi in relazione a pretese che sono destinate a produrre effetti nei confronti della massa, la norma (applicabile anche alle liti passive, oltre che a quelle attive) dev'essere interpretata come attributiva di una competenza funzionale e inderogabile, in ragione del rito indefettibilmente previsto dalla stessa legge per l'accertamento del passivo fallimentare.

Invero, qualunque pretesa, dunque anche una domanda giudiziale diretta all'accertamento di un diritto reale, che possa in concreto sottrarre dell'attivo (liquido o, come nel caso di specie, liquidabile) alla massa dei creditori, deve essere accertata nelle forme previste dagli artt. 93 ss. l.fall., come dispone l'art. 52 l.fall., espressione della necessità del concorso formale (anche per chi fosse esonerato dal concorso sostanziale, come il Credito Fondiario).

Queste norme, peraltro, individuano il rito da applicare alle fattispecie de quibus ed integrano, con valore prevalente ed assorbente, le norme sulla competenza.

Si potrebbe anche dire che l'art. 24 l.fall., per le liti passive, opera come una norma sul rito, in combinato disposto con gli artt. 52 e 93 ss. l.fall., piuttosto che come una norma sulla competenza.

In definitiva, anche la domanda di usucapione, tesa a sottrarre alla massa il bene oggetto del possesso ad usucapionem, e che è certamente ammissibile anche a fallimento già dichiarato, dovrà essere proposta al giudice delegato nella forma dell'insinuazione, tempestiva o tardiva, e si concluderà con un suo provvedimento di accoglimento, se riconoscerà maturato il diritto già in sede di verifica del passivo, con ordine di restituzione al rivendicante del bene immobile inventariato, o, in caso contrario, di rigetto, cui seguirà eventuale opposizione allo stato passivo e pronuncia del tribunale sul punto.

Peraltro, ben difficilmente ci si potrà esimere da un'adeguata istruttoria (e dal realizzare il pieno contraddittorio tra tutti gli interessati) da svolgersi nella sede di cognizione dell'opposizione allo stato passivo.

Per vero, azioni che derivano dal fallimento, in ogni caso, non possono che essere tutte quelle che hanno incidenza sulla ricostruzione della massa attiva fallimentare, quindi le c.d. azioni di massa, tese alla ricostruzione del patrimonio del debitore fallito, non solo le revocatorie, ma anche quelle di normale recupero crediti.

Diversamente considerando, si farebbe fatica ad individuare una ratio discriminatoria tra azioni che il curatore può esercitare sotto casa e azioni che deve andare a proporre in giro per l'Italia.

Infatti, perché un'azione avente ad oggetto un immobile sito in provincia lontana dovrebbe essere trattata nel tribunale lontano e non la revocatoria fallimentare avente ad oggetto lo stesso immobile, se la ratio è la concentrazione delle azioni con il risparmio di risorse che ne consegue?

Altrimenti, quale (altra) ratio binaria (azioni interne ed azioni esterne) potrebbe ispirare la norma?

In definitiva, la norma vale sia per le liti passive che per quelle attive del fallimento, con la precisazione, per le liti passive, che sono prevalenti le norme sul rito, che impongono sempre le forme della insinuazione al passivo per ogni pretesa, anche se relativa a diritti reali immobiliari, così dovendo essere inteso il senso della eliminazione della precedente eccezione, che faceva salva la competenza di altri tribunali per queste azioni.

Ugualmente, però, per le liti attive, una volta individuata la ratio della norma, tesa al risparmio di risorse della massa fallimentare attraverso la concentrazione delle iniziative recuperatorie del curatore, non si scorge altra ragione per escludere (quali?) azioni dal novero della competenza del tribunale fallimentare.

Stricto sensu, infatti, azioni che non derivano dal fallimento sarebbero praticamente tutte le azioni, poiché solo la revocatoria fallimentare, e pochissime altre previste dagli artt. 64ss. l.f., derivano propriamente dal fallimento.

Se, invece, si fa riferimento alle azioni di ricostruzione dell'attivo fallimentare, allora sembra che all'inclusione nella competenza di cui all'art. 24 l.f non vi siano più deroghe, proprio in ragione della consapevole eliminazione della eccezione relativa alle azioni reali immobiliari.

Sono, in ogni caso, fatte salve le competenze speciali, come quella del tribunale delle imprese, per le azioni di responsabilità, che comunque non allontanano il curatore dal capoluogo regionale.

Riferimenti normativi

Artt. 24, 52, 93 l.fall.

Dottrina

Secondo PROVINCIALI (Trattato di diritto fallimentare, Milano 1974, 672) sono ritenute azioni che derivano dal fallimento quelle volte alla ricostruzione del patrimonio del fallito, o che comunque incidono sul patrimonio stesso (MINUTOLI, La legge fallimentare, sub art. 24 l.fall., Padova 2014, 368).

Giurisprudenza

Sez. 1, Sentenza n. 2713 del 10/07/1975

La domanda tendente ad ottenere, riguardo a beni immobili, lo accertamento negativo del diritto di proprieta esclusiva preteso dal convenuto, per essere i beni medesimi oggetto di comproprieta, configura un'Azione reale immobiliare, in ordine alla quale, in caso di sopravvenuta dichiarazione di fallimento del convenuto, non si determina alcuno spostamento di Competenza in favore del tribunale fallimentare, a nulla rilevando che l'attore abbia anche chiesto, come conseguenza di detto accertamento, la condanna del convenuto a lavori di ripristino dello stato dei luoghi ed al risarcimento del danno.

Sez. 1, Sentenza n. 532 del 24/01/1996

Sono di competenza del tribunale fallimentare non solo le azioni con le quali si fa valere una pretesa creditoria direttamente nel concorso fallimentare, ma anche quelle per le quali la domanda giudiziale costituisce la premessa e il mezzo attraverso il quale si intende ottenere il riconoscimento del credito nello stato passivo fallimentare. Pertanto rientrano nella competenza del tribunale fallimentare non solo le azioni di condanna, ma anche quelle di accertamento di un diritto reale di garanzia (nella specie, ipoteca) sui beni del fallito, quando costituiscano la base concettuale di pretese creditorie deducibili in sede fallimentare.

Sez. 1, Sentenza n. 9170 del 03/05/2005 (Rv. 582171 - 01)

La competenza del foro fallimentare e l'applicazione del procedimento per la verificazione del passivo devono escludersi, ai sensi di quanto previsto dall'art. 24 l. fall. in tema di azioni reali, quando l'attore agisce al fine di ottenere l'accertamento di un'ipoteca, la cui esistenza sia oggetto di contestazione, e devono invece affermarsi quando l'attore agisce per far dichiarare che il proprio credito è dotato di una peculiare qualità giuridica, e cioè del diritto accessorio di soddisfarsi con prelazione sugli altri creditori concorrenti. Ne consegue che la domanda di accertamento, nei confronti di un fallimento, della valida costituzione di un'ipoteca su un diritto reale limitato (nella specie, diritto di superficie) spettante al fallito, ma la cui esistenza sia contestata, può essere introdotta tanto nelle forme ordinarie (ove si discuta soltanto del diritto all'ipoteca e non si faccia valere, nel concorso, la prelazione che essa assicura al creditore), tanto, alternativamente, con la richiesta di un accertamento incidentale, anche nei confronti del terzo proprietario, nell'eventuale giudizio di opposizione allo stato passivo. Ove pendano entrambi i giudizi, il primo dei quali è pregiudiziale al secondo, il risultato di un "simultaneus processus" può essere raggiunto su eccezione di parte o rilievo di ufficio, proposti nei termini previsti dall'art. 40, secondo comma, cod. proc. civ.; in difetto delle condizioni per un "simultaneus processus", il contrasto di giudicati può essere evitato con la sospensione del giudizio pregiudicato.

Sez. 1, Sentenza n. 2439 del 03/02/2006

L'attuazione, nella sede fallimentare, delle domande intese a ottenere il riconoscimento del diritto di partecipare al concorso o di un diritto reale o restitutorio su beni mobili acquisiti all'attivo non discende dal principio di cui all'art. 24 legge fall. - il quale risolve, più che altro, un problema di competenza riferito alla cognizione del tribunale fallimentare, specie in relazione a crediti del soggetto fallito -, ma è riconducibile al principio, dettato dall'art. 52 della stessa legge, della obbligatorietà ed esclusività del procedimento di verifica del passivo, quale strumento di cognizione attribuito a un giudice, la cui individuazione è disancorata dai criteri ordinari in materia di competenza, derivando, invece, dalla stessa sentenza dichiarativa di fallimento. Il necessario assoggettamento delle pretese fatte valere verso il fallimento al procedimento di verifica dei crediti, non involge, dunque, un problema di competenza - influenzata dalla "vis attractiva" del tribunale fallimentare - ma una questione di specialità del rito, con conseguente improponibilità della domanda eventualmente dedotta nella sede ordinaria, discendendo la devoluzione della controversia al foro fallimentare direttamente e inequivocabilmente dal combinato disposto degli artt. 52 e 93 legge fall.

Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 19914 del 09/08/2017

Dopo il fallimento del debitore, il creditore non può proporre domanda di risoluzione del contratto, neanche nell'ipotesi diretta ad accertare - con riferimento ad inadempimento anteriore - l'avveramento di una condizione risolutoria, a meno che la domanda non sia stata introdotta prima della dichiarazione di fallimento, atteso che la relativa pronuncia produrrebbe altrimenti effetti restitutori e risarcitori lesivi del principio di paritario soddisfacimento di tutti i creditori e di cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche. Ne consegue che la domanda di risoluzione del contratto, quand'anche finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno, è attratta dal foro fallimentare ex art. 24 l.fall., e può anche essere proposta incidentalmente in sede di opposizione allo stato passivo.

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