Le patologie contratte a causa dello stress lavoro-correlato sono indennizzabili dall'INAIL

Andrea Rossi
15 Maggio 2018

Nell'ambito del sistema assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso.
Massima

Nell'ambito del sistema assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica.

Il caso

Una lavoratrice, a causa dello stress lavoro-correlato, scaturito dal numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario a cui era stata adibita, riportava la patologia “disturbo dell'adattamento e stato depressivo con attacchi di panico”. Trattandosi di malattia contratta a causa della nocività riconducibile all'organizzazione del lavoro, la medesima chiedeva all'INAIL l'erogazione delle prestazioni economiche di legge, che venivano negate.

Adita l'Autorità giudiziaria, sia il Tribunale sia la Corte di Appello respingevano la domanda della lavoratrice, reputando che la malattia, sebbene esistente ed originata dallo stress lavoro-correlato, non fosse indennizzabile perché non rientrante nell'ambito del rischio assicurato, che riguardava solo le malattie professionali tabellate o non tabellate, contratte nell'esercizio ed a causa delle lavorazioni specifiche previste in tabella.

La Corte di Appello, in sostanza, giustificava il proprio convincimento sulla base delle medesime ragioni espresse dal Consiglio di Stato, quando aveva annullato sia la Circolare dell'Istituto n. 71/2003, che dettava le modalità di trattazione delle pratiche relative ai disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro, sia il Decreto ministeriale del 27 aprile 2004, contenente l'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, in cui era stata inserita, tra le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità, quella derivata da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro, trattandosi di patologie contratte non a causa dell'esecuzione di lavorazioni protette, ma per l'esposizione al fattore ambientale-organizzativo (Cons. St. sez. VI, 17 marzo 2009, n. 1576).

Dunque, il giudice del gravame riteneva che la tecnopatia denunciata dalla lavoratrice, essendo correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale, fosse estranea al rischio assicurato, non essendo, peraltro, suscettibile di incidere sulla determinazione del premio assicurativo.

Con ricorso per cassazione la lavoratrice ha chiesto l'annullamento della sentenza, dolendosi che la Corte di Appello avesse escluso l'origine professionale della patologia scaturita dallo stress lavoro-correlato, pur essendo derivata da disfunzioni nell'organizzazione del lavoro.

La questione

La questione esaminata dalla Corte di Cassazione è la seguente: le patologie contratte a causa dello stress lavoro-correlato si possono considerare meritevoli di tutela previdenziale, anche se non sono scaturite dall'esposizione ad un rischio specifico proprio della lavorazione?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte accoglie il ricorso per cassazione, annullando la sentenza di merito non in linea con l'attuale concetto di rischio assicurato, non più rappresentato da quello intrinseco allo svolgimento della prestazione di lavoro, come ritenuto dalla Corte di Appello, ma identificato con quello che scaturisce dall'adempimento della prestazione di lavoro, genericamente intesa.

La Corte osserva, infatti, che la tutela assicurativa interviene non soltanto in presenza di un rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche quando l'infortunio sia derivato dall'esposizione ad un rischio specifico improprio, non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione, ma collegato con la prestazione stessa, come quello derivato da attività prodromiche, da attività di prevenzione, da atti di locomozione interna, da cause fisiologiche o da attività sindacali (Cass. sez. lav., 7 luglio 2016, n. 13882; Cass. sez. lav., 5 maggio 2006, n. 10317; Cass. sez. lav., 4 agosto 2005, n. 16417; Cass. sez. lav., 21 aprile 2004, n. 7633; Cass. sez. lav., 25 febbraio 2004, n. 3765; Cass. sez. lav., 15 gennaio 1990, n. 131; Cass. sez. lav., 17 dicembre 1998, n. 12652; Cass. sez. lav., 4 agosto 2000, n. 10298; Cass. sez. lav., 8 marzo 2001, n. 3363; Cass. sez. lav., 13 luglio 2001, n. 9556; Cass. sez. lav., 11 febbraio 2002, n. 1944; Cass. sez. lav., 13 maggio 2002, n. 6894; Cass. sez. lav., 22 aprile 2002, n. 5841; Cass. sez. lav., 13 aprile 2002, n. 5354).

Anche per le malattie professionali, prosegue la Corte, si è assistito ad un analogo ampliamento dell'ambito di tutela estesa a quelle patologie connesse al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente, come quelle riconducibili all'esposizione al fumo passivo di sigaretta nei luoghi di lavoro (Cass. sez. lav., 10 febbraio 2011, n. 3227).

Il principio del rischio professionale, tradizionalmente inteso, è stato abbandonato pure per gli infortuni in itinere indennizzati a prescindere dalla presenza di un rischio generico aggravato, essendo sufficiente che gli eventi siano scaturiti da un rischio generico (quello del percorso) cui soggiace qualsiasi persona che lavori, non più rilevando l'entità del rischio o la tipologia della specifica attività lavorativa cui l'infortunato sia addetto.

D'altronde, aggiunge ancora la Corte, anche l'indennizzabilità degli infortuni derivati dall'esposizione al rischio ambientale ha dilatato i confini della tutela sociale, al fine di proteggere il lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto quello che viene eseguito presso le macchine, poiché la pericolosità è data dallo spazio delimitato, dal complesso dei lavoratori in esso operanti e dalla presenza di macchine.

Nel medesimo solco, precisa infine la Corte, si colloca il superamento dell'originario sistema tabellare chiuso delle malattie professionali, mutato in un sistema tabellare misto, nel quale il lavoratore può dimostrare l'origine professionale di qualsiasi malattia contratta, in conseguenza dell'illegittimità costituzionale dell'art. 3, co. 1, D.P.R. n. 1124/1965 nella parte in cui non prevedeva che "l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata" (Corte Cost., 18 febbraio 1988, n. 179).

Il lavoratore ha diritto alla tutela se ha contratto una malattia della quale sia comunque provata la causa di lavoro, a prescindere se essa sia stata inserita nella tabella, di cui agli artt. 3 e 211, D.P.R. n. 1124/1965 (art. 10, commi 3-4, D.Lgs. n. 38/2000); infatti la Suprema Corte statuisce che “ogni forma di tecnopatia che possa ritenersi conseguenza di attività lavorativa risulta assicurata all'INAIL, anche se non è compresa tra le malattie tabellate o tra i rischi tabellati, dovendo in tale caso il lavoratore dimostrare soltanto il nesso di causa tra la lavorazione patogena e la malattia diagnosticata”.

Si tratta, precisa la Corte, di una soluzione coerente al fondamento della tutela assicurativa, “il quale, ai sensi dell'art. 38 Cost., deve essere ricercato non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell'art. 38 non ha per oggetto l'eventualità che l'infortunio si verifichi, ma l'infortunio in sé”, posto che “oggetto della tutela dell'art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela" (Corte Cost., 2 marzo 1991, n. 100).

Osservazioni

La Suprema Corte, con una pregevole e pienamente condivisibile motivazione, nella quale vengono richiamate a fondamento della decisione le sentenze più rilevanti rese dalla medesima in tema di rischio coperto dall'assicurazione obbligatoria, fuga ogni possibile dubbio sulla possibile indennizzabilità delle patologie scaturite dallo stress, definibile come “uno stato…. che consegue dal fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro” (Accordo quadro europeo 8 ottobre 2004, recepito in Italia con l'Accordo interconfederale del 9 giugno 2008). Quando tali richieste ed aspettative sono riferite al lavoro, allora lo stress riguarda l'ambito lavorativo e viene definito “lavoro-correlato”.

Tra i fattori lavorativi ritenuti generatori di stress si annoverano:

  • un carico e un ritmo di lavoro eccessivi;
  • la precarietà del lavoro;
  • la mancanza di flessibilità negli orari di lavoro;
  • la mancanza di partecipazione;
  • le scarse prospettive di sviluppo professionale.

Lo stress non rappresenta una malattia, ma può diventare la causa di alcune patologie che colpiscono vari apparati - mentali, cardio-vascolari, endocrino metabolici, gastro-intestinali, dermatologici - dei lavoratori spesso caratterialmente più deboli; cosicché lo stress rappresenta una recente tipologia di rischio, insorto in conseguenza di ritmi lavorativi sempre più incalzanti, che impongono al lavoratore di eseguire più compiti anche contemporaneamente, divenuto oggetto della valutazione dei rischi imposta al datore di lavoro a causa della sua diffusione nei luoghi di lavoro e delle ripercussioni negative sulla salute dei prestatori di lavoro (art. 28, co. 1, D.Lgs. n. 81/2008).

A seguito del graduale ampliamento del concetto di rischio assicurato, ben rappresentato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in esame, di cui si è dato conto nel precedente paragrafo, l'INAIL, che in origine garantiva la tutela assicurativa esclusivamente agli eventi derivati dalla nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale, ha riconosciuto la protezione sociale anche a quelle malattie riconducibili a disfunzioni dell'organizzazione del lavoro (Circolare INAIL, 17 dicembre 2003, n. 71), pur se l'origine lavorativa sia ritenuta di limitata probabilità (D.M. 27 aprile 2004).

L'Autorità giudiziaria amministrativa, come si è ricordato nella descrizione del caso, ha annullato sia la Circolare summenzionata sia il Decreto ministeriale 27 aprile 2004 contenente l'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell'art. 139, D.P.R. n. 1124/1965; ciò non ha impedito all'Istituto di continuare ad indennizzare le tecnopatie derivate dalle disfunzioni dell'organizzazione del lavoro riportate dal lavoratore assicurato, attualmente inserite negli elenchi di cui al D.M. 10 giugno 2014 (GU, 12 settembre 2014, n. 212), trattandosi di malattie professionali non tabellate, il cui accesso alla tutela è subordinato alla dimostrazione, in termini di ragionevole certezza o di rilevante grado di probabilità (da ultimo Cass. sez. lav., 10 aprile 2018, n. 8773), della loro connessione causale con lo stress lavoro-correlato.

La Corte di Cassazione, pertanto, non poteva che annullare la sentenza della Corte di Appello, proprio perché fondata sul principio del rischio professionale, inteso come rischio proprio dell'impresa, oramai superato dal fondamento costituzionale della tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, entrambi assunti dall'art. 38 Cost. come eventi generatori di un bisogno socialmente rilevante, tutelabili per il semplice fatto che siano stati causati dal lavoro in sé e per sé considerato.

Dunque tutte le malattie professionali, anche quelle non contenute nelle tabelle di cui agli artt. 3 e 211, D.P.R. n. 1124/65, come quelle derivate dallo stress, sono indennizzabili se il lavoratore ne dimostri l'origine professionale (art. 10, co. 4, D.Lgs. n. 38/2000).