Revoca della condanna perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato. Conseguenze sui beni oggetto di confisca
16 Maggio 2018
Massima
La revoca della sentenza di condanna definitiva per intervenuta depenalizzazione della fattispecie contestata impone al giudice dell'esecuzione di revocare ai sensi dell'art. 673 c.p.p. anche la parte della decisione relativa alla confisca e disporre la restituzione dei beni all'avente diritto. Il caso
Premessa. Il ricorrente aveva richiesto al giudice dell'esecuzione la revoca della sentenza di condanna intervenuta per il reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 (omesso versamento Iva) in data 23 maggio 2014 in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. 158 del 2015 e all'innalzamento della soglia di punibilità del delitto. Con lo stesso incidente di esecuzione era stata richiesta la revoca del provvedimento con cui era stata disposta la confisca di alcuni beni. Il giudice dell'esecuzione ha disposto la revoca della sentenza penale di condanna con formula perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, decisione che, ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p., ha comportato anche la cessazione dell'esecuzione e degli effetti penali fra i quali sono state fatte rientrare le spese processuali e di sequestro. Quanto alla confisca, viceversa, non è stata ritenuta applicabile la disciplina di cui all'art. 673 c.p.p. essendovi stata l'acquisizione del bene a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato, circostanza che, ad avviso del decidente, avrebbe escluso la rilevanza della successiva invalidazione della norma per intervenuta declaratoria di illegittimità costituzionale della stessa. La decisione del giudice dell'esecuzione ha preso le mosse dalla qualifica in termini di misura di prevenzione della confisca operata in relazione al profitto dei reati tributari (all'epoca dei fatti disciplinata dall'art. 1, comma 143, l. 244/2007, disciplina oggi trasfusa nell'art. 12-bis d.lgs. 74/2000).
I motivi di ricorso. Avverso tale decisione, l'interessato ha presentato ricorso per cassazione evidenziando che il tribunale, nell'ordinanza del 18 febbraio 2016, aveva erroneamente ritenuto che la confisca per equivalente fosse una misura di sicurezza patrimoniale (misure per le quali il passaggio in giudicato della sentenza avrebbe dovuto comportare l'immediata acquisizione del bene allo Stato anche nell'ipotesi dell'abolitio criminis o dell'illegittimità costituzionale della norma). Secondo il ricorrente alla confisca in oggetto avrebbe dovuto pacificamente riconoscersi natura sanzionatoria, con la conseguenza che detta misura avrebbe dovuto essere revocata unitamente alla sentenza. In secondo luogo il ricorrente ha eccepito che la motivazione secondo cui la confisca era stata "eseguita" e pertanto non revocabile, era illogica per due distinte ragioni: a) la confisca non poteva considerarsi tecnicamente eseguita (perché non era stata disposta in sentenza ma con separata ordinanza del giudice dell'esecuzione mai comunicata all'interessato); b) il riferimento al limite dell'esaurimento degli effetti non risultava condivisibile, atteso che, come per la pena detentiva, anche per le sanzioni accessorie non sembra possibile affermare il venir meno dell'interesse alla revoca per effetto della successiva abolitio criminis dal momento che v'era sempre un interesse alla revoca della confisca.
La soluzione offerta nella sentenza in commento. Secondo la terza Sezione della S.C. non rileva se nel caso concreto la confisca fosse stata disposta per equivalente o in forma diretta e neppure se essa avesse natura di misura di sicurezza o sanzionatoria. Al fine di dirimere la questione, è apparso sufficiente ai giudici della Cassazione evidenziare che l'art. 673 c.p.p. prevede, in caso di abrogazione della norma incriminatrice, che il giudice dichiari che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotti i “provvedimenti conseguenti” alla revoca della condanna. Ebbene non v'è dubbio, a giudizio della Corte, che tra di essi rientrino tutte le statuizioni accessorie che presuppongono la detta condanna, come nella specie, la confisca dei beni sequestrati. Si aggiunge che: «Il tema dell'esaurimento degli effetti, che potrebbe aver un qualche rilievo rispetto alla revoca della condanna a seguito della dichiarazione d'incostituzionalità della norma, è invece del tutto irrilevante allorquando l'abrogazione dipenda da una norma sopravvenuta: l'esecuzione della confisca non costituisce elemento ostativo, né a livello concettuale, né a livello operativo, potendosi sempre disporre la restituzione dei beni illegittimamente acquisiti, e cioè di quanto concretamente realizzato dall'esecuzione, siccome lo Stato non può trattenere i beni senza titolo che è venuto meno a seguito della norma abrogatrice». La questione
Il tema sottoposto all'esame della Cassazione attiene alla possibilità di mantenere la confisca di beni disposta in riferimento a fattispecie depenalizzate dopo la pronuncia di una decisione di condanna definitiva. Il caso in esame ha ad oggetto un procedimento per il delitto di cui all'art. 10-ter del d.lgs. 74 del 2000, la cui soglia di punibilità è stata modificata, successivamente all'emissione della sentenza irrevocabile, con il d.lgs. 158 del 2015. L'art. 673 c.p.p. stabilisce che, nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione debba revocare la sentenza di condanna (o il decreto penale) dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adottare i provvedimenti conseguenti. La disciplina in esame deve necessariamente leggersi in correlazione con il disposto dell'art. 2, comma 2, c.p. a norma del quale, se vi è stata condanna per un fatto che secondo una legge posteriore non costituisce reato, ne cessano la esecuzione e gli effetti penali. Il dibattito giurisprudenziale si è incentrato prevalentemente sul significato da riconoscere alle locuzioni provvedimenti conseguenti alla revoca della decisione di condanna (di cui all'art. 673 c.p.p.) ed effetti penali (art. 2, comma 2, c.p.) e, in particolare, sulla possibilità di far rientrare anche la misura ablativa in tali nozioni. Il punto appare strettamente connesso alla natura, sanzionatoria o di misura di sicurezza, da riconoscere alla confisca. Come rilevato dalla Corte costituzionale, infatti: «La confisca può presentarsi con varia natura giuridica, giacché, se il suo contenuto consiste sempre nella privazione di beni economici, essa può essere disposta per diversi motivi e indirizzata a varia finalità, così da assumere, volta per volta, natura e funzione o di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura giuridica civile e amministrativa. La necessità di tenere distinte le singole ipotesi di confisca è anche conseguenza della differenza esistente – in campo penale – tra le nozioni di pena e di misura di sicurezza, i cui riflessi si riverberano nella differente disciplina, fissata dai commi secondo e terzo dell'art. 25 cost., del fenomeno della successione nel tempo, delle norme relative ai due istituti. […]» (Corte cost., 4 giugno 2010 n. 196).
Altra questione discussa al fine di dirimere la questione legata alla revocabilità della confisca attiene, poi, all'eventuale incidenza dell'esaurimento della situazione giuridica in base alla quale è stata disposta la misura in esame. Le soluzioni giuridiche
La sorte da riservare alla confisca disposta con una sentenza di condanna revocata in seguito ad abolitio criminis ha costituito oggetto di diverse pronunce giurisprudenziali. Due orientamenti si sono contesi il campo fino al 1998, anno in cui l'intervento delle Sezioni unite sembrava aver ricomposto il contrasto fra gli opposti indirizzi.
Il primo di essi è rappresentato dalla decisione della seconda Sezione che aveva affermato che la revoca, ai sensi dell'art. 673 c.p.p., della sentenza di condanna per il reato previsto dal citato art. 708 c.p., avrebbe dovuto necessariamente comportare anche il venir meno della misura di sicurezza patrimoniale della confisca, a suo tempo già disposta sulle cose il cui possesso si assumeva ingiustificato (Cass. pen., Sez. II, 29 settembre 1997, n. 5034). La decisione si basava sull'assunto secondo cui: «L'abrogazione della norma incriminatrice deve eliminare ogni statuizione pregiudizievole all'interessato», ivi compresa, quindi, l'anzidetta misura di sicurezza (ricondotta dalla sentenza in esame, proprio per il suo rilevato carattere di statuizione pregiudizievole, alla categoria degli effetti penali della condanna).
Il secondo orientamento, di segno opposto, relativo a identica fattispecie di reato, aveva escluso che dalla revoca della sentenza di condanna, a seguito dell'intervenuta declaratoria di incostituzionalità della norma incriminatrice, potesse derivare anche la revoca della confisca (Cass.pen., Sez. II, 16 ottobre 1997, n. 5522). Nella decisione si chiariva che a tale approdo dovesse giungersi non tanto perché quest'ultima, in quanto misura di sicurezza, non sarebbe annoverabile tra gli effetti penali della condanna, quanto per la decisiva ed assorbente ragione che, con il passaggio in giudicato della sentenza che ha disposto la confisca, i beni confiscati sono entrati a far parte, a titolo originario, del patrimonio dello Stato, per cui si sarebbe in presenza di una situazione giuridica da considerare ormai esaurita, sulla quale pertanto la sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice non riverbera conseguenza alcuna.
Le Sezioni unite, intervenute sull'argomento, hanno dapprima rilevato la difficoltà concettuale di ricondurre la revoca della confisca nell'ambito dei provvedimenti conseguenti di cui all'art. 673 c.p.p., evidenziando al contempo che dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che la confisca sia una vera e propria misura di sicurezza. Il Supremo Consesso ha, inoltre, chiarito che la misura della confisca è collocata dalla legge nel novero degli effetti definitivamente prodotti dalla sentenza irrevocabile che l'ha disposta; effetti non attinenti al rapporto esecutivo ma conseguenti dalla statuizione giudiziale nel momento stesso del passaggio in giudicato della stessa. La misura ablativa si connoterebbe come irrevocabile, in quanto ha carattere istantaneo e non permanente (uno actu perficitur); essa rappresenta, in sostanza, una sorta di espropriazione per pubblico interesse, identificato quest'ultimo nella generale finalità di prevenzione penale. Infine le Sezioni unite hanno ribadito il concetto secondo il quale, al provvedimento che ordina la confisca consegue un trasferimento a titolo originario del bene sequestrato nel patrimonio dello Stato.
La citata decisione delle S.U. è stata testualmente richiamata anche in diverse successive pronunce della Cassazione (fra le quali Cass.pen.,Sez. II, 4 dicembre 1998, n. 7211 e, in materia di confisca antimafia, Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2004, n. 5738). Merita di essere segnalato, tuttavia, che in tempi più recenti, seppur nell'ambito specifico della tutela del diritto di proprietà di soggetti terzi rispetto al procedimento, parrebbe essersi aperta una breccia nel principio di diritto suesposto. Ed infatti, secondo una più recente sentenza emessa dalla III Sezione della S.C., persino un«mutamento di giurisprudenza intervenuto con decisione delle Sezioni unite o anche di una delle Sezione della Corte di cassazione, purché connotato da caratteristiche di stabilità e univocità, integra un “nuovo elemento” di diritto, che rende ammissibile la riproposizione in sede esecutiva della richiesta di revoca della confisca in precedenza rigettata» (Cass.pen.,Sez. III, 1 aprile 2014, n. 27702). Nell'occasione la Corte ha ritenuto ammissibile la riproposizione dell'istanza di revoca della confisca degli immobili abusivamente lottizzati, presentata da terzi acquirenti in buona fede i quali avevano invocato l'applicazione del sopravvenuto mutamento giurisprudenziale che aveva recepito i principi della Corte Edu riguardanti i limiti di applicazione della misura ablatoria nei confronti dei soggetti estranei al reato. Ulteriore precedente favorevole alla revocabilità della confisca disposta nel procedimento per reato successivamente depenalizzato o dichiarato incostituzionale è costituito dalla decisione emessa dalla stessa Sezione III della S.C. nel 2016 e richiamata nella sentenza in commento (Cass. pen., Sez. III, 10 maggio 2016, n. 38857). Osservazioni
La decisione della terza Sezione della Corte di cassazione appare innovativa non solo per le conclusioni cui perviene (controcorrente rispetto all'orientamento maggioritario e sostenuto anche dalle Sezioni unite) ma anche per le motivazioni adottate. Pur non dilungandosi sulle argomentazioni offerte a sostegno della propria conclusione pare potersi evincere che a giudizio della S.C.: a) la distinzione fra confisca per equivalente o diretta non rilevi nel caso di in cui tale provvedimento sia emesso in materia di reati tributari per i quali ciò che conta è il carattere di obbligatorietà della misura. b) Altrettanto irrilevante viene, poi, considerata la distinzione relativa alla qualifica in termini di misura di sicurezza o sanzionatoria della confisca (pur dandosi per scontato che la misura patrimoniale abbia natura sanzionatoria). Ciò perché a giudizio della Corte il quadro normativo di riferimento appare esaustivo; e in particolare: l'art. 2, comma 2, c.p. stabilisce che se vi è stata condanna ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali, l'art. 210, comma 1, c.p. dispone che l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione, mentre l'art. 673 c.p.p. prevede che, in caso di abrogazione della norma incriminatrice, il giudice dichiara che il fatto non è previsto dalla legge come reato ed adotta i provvedimenti conseguenti. c)Infine, il tema dell'esaurimento degli effetti non rileva nel caso di intervenuta abrogazione della norma penale (a differenza delle ipotesi di intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale in cui tale circostanza potrebbe avere “qualche rilievo”) poiché, una volta eseguita la confisca di beni, la loro restituzione non sarebbe inibita in caso di revoca della sentenza di condanna in seguito ad abrogazione della norma penale, né a livello concettuale, né a livello operativo. In caso contrario si consentirebbe allo Stato di trattenere i beni senza averne titolo.
Sfrondata da tutte le citate problematiche, la questione appare agli occhi della S.C. assai più semplice rispetto a quanto ritenuto nei citati precedenti. In definitiva la Corte esalta, ritenendolo decisivo, il contenuto dell'art. 673 c.p.p. sostenendo che tra i provvedimenti conseguenti alla revoca della condanna rientrino, senza dubbio alcuno, tutte le statuizioni accessorie che presuppongono la detta condanna come, nella specie, la confisca dei beni sequestrati.
Eppure, senza alcuna pretesa di approfondire le numerose questioni attinenti alle forme e alla natura della confisca, merita di essere evidenziato che la decisione in commento non brilla per chiarezza ed esaustività. In effetti tutti i precedenti intervenuti in materia, pur rappresentativi di diversi indirizzi giurisprudenziali, avevano ritenuto necessario dirimere le problematiche legate a tali questioni prima di pervenire a una decisione in ordine alla revocabilità della confisca disposta con provvedimento revocato per avvenuta depenalizzazione o per declaratoria di illegittimità costituzionale. Il richiamo alla norma di cui all'art. 210 c.p., inoltre, non appare puntuale, considerato che l'art. 236 c.p. estende la disciplina ivi prevista per le misure di sicurezza personali in caso di estinzione del reato anche alle misure di sicurezza patrimoniali; tuttavia la norma da ultimo richiamata introduce un'eccezione proprio in riferimento alla confisca rispetto alla quale dunque l'estinzione del reato non produce effetti caducatori.
Infine il tema dell'esaurimento della situazione giuridica non risulta del tutto convincente; in particolare l'affermazione secondo la quale lo Stato non può trattenere beni senza averne titolo costituisce (o avrebbe dovuto costituire) il cuore della questione. Sarebbe stato, infatti, interessante comprendere se l'abrogazione della norma penale possa incidere con efficacia retroattiva (ed eventualmente in quale misura) anche sulle situazioni giuridiche già definite con sentenza passata in giudicato. Secondo le Sezioni unite, infatti, le situazioni giuridiche "esaurite" consistono in circostanze non più suscettibili di essere rimosse o modificate, come quelle determinate, fra l'altro, dalla formazione del giudicato (Cass. pen., Sez. un. 29 marzo 2007 n. 27614).
L'inosservanza della disciplina di cui all'art. 618, comma 1 bis, c.p.p. Un ultimo rilievo attiene alla mancata applicazione, da parte della terza Sezione della Corte di legittimità, del principio sancito dalla norma introdotta dalla c.d. riforma Orlando al comma 1-bis dell'art. 618 c.p.p. Come detto la decisione si discosta da un consolidato orientamento espresso dalle Sezioni unite della Corte (Cass. pen., Sez. unite, 28 gennaio 1998, n. 2). Per tale ragione, in applicazione della norma introdotta dalla legge 107/2017 e a prescindere dalla solidità delle argomentazioni proposte, la III Sezione non avrebbe potuto far a meno di rimettere la decisione alle Sezioni unite. Non pare tuttavia esservi sanzione in caso di inosservanza della disciplina in esame; tale carenza rappresenta, forse, un temperamento al principio dello stare decisis il cui germoglio sembrerebbe essere stato introdotto in punta di piedi nel nostro ordinamento penale dal citato comma 1-bis dell'art. 618 c.p.p. E. FONTANA, Tra i confini dell'indebita compensazione e del profitto suscettibile di sequestro per equivalente, in Diritto & Giustizia, fasc. 206, 2017, pag. 13. M. GRANDE, Osservazioni a Cass. pen., 14 gennaio 2016, Sez. III, n. 5728 ,in Cass. pen., fasc. 9, 2016, pag. 3370. M. MERCONE, Abolitio criminis e retrocessione, in Cass. pen., fasc.7-8, 1998, pag. 2049.M. PESUCCI, Osservazioni a Cass. pen., 16 giugno 2017, n. 35226, in Cass. pen., fasc. 3, 2017, pag. 1206;L. PIRAS, Confisca per equivalente e reati tributari, in Dir. e giust., 2015, fasc. 3, p. 28.G. VARRASO, Punti fermi, disorientamenti interpretativi e motivazioni “inespresse” delle sezioni unite in tema di sequestro a fini di confisca e reati tributari, in Cass. pen., fasc. 9, 2014, pag. 2809.
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