La Direttiva comunitaria e il diritto al TFR in caso di cessazione del contratto di agenzia nel periodo di prova
17 Maggio 2018
Massima
“La pattuizione di un periodo di prova nel contratto di agenzia, pur non essendo prevista dalla Direttiva n. 86/653/CEE, è espressione della libertà contrattuale delle parti e non può considerarsi, di per sé, vietata dalla Direttiva”.
“L'art. 17 della Direttiva n. 86/653/CEE del 18 dicembre 1986 sugli agenti commerciali, in tema di trattamento di fine rapporto, va interpretato nel senso che la disciplina dell'indennità e del risarcimento di cui ai paragrafi 2 e 3, va applicata anche laddove il contratto di agenzia cessi durante il periodo di prova”. Il caso
La sentenza della Corte di Giustizia in commento trae origine da una domanda di pronuncia pregiudiziale sollevata dalla Corte di Cassazione francese, relativa all'interpretazione dell'art. 17 della Direttiva n. 86/653/CEE.
La controversia atteneva ad un contratto di agenzia commerciale avente ad oggetto la promozione della conclusione di contratti di vendita di case unifamiliari, caratterizzato dalla presenza di un patto di prova di durata significativa, pari a 12 mesi, con facoltà per ciascuna delle parti di recedere in qualsiasi momento previo preavviso alternativamente di 15 giorni, in caso di recesso entro il primo mese di durata, o di un mese per il periodo successivo. Era stata altresì pattuita una clausola di minimo di fatturato, da realizzarsi nei primi 12 mesi, corrispondente a 25 vendite di case unifamiliari.
Dopo i primi 5 mesi la preponente recedeva dal contratto con preavviso di un mese motivando la scelta con il mancato conseguimento dell'obbiettivo minimo di vendite previste, posto che era stata sino ad allora realizzata una sola vendita grazie all'attività dell'agente.
Dopo la cessazione del rapporto l'agente adiva il Tribunale commerciale d'Orleans chiedendo il trattamento di fine rapporto, così come previsto dal diritto francese in applicazione dell'art. 17 paragrafo 3 della Direttiva, e cioè il risarcimento del danno corrispondente al pregiudizio derivato all'agente dall'interruzione del rapporto, oltre al risarcimento del danno per l'illegittima risoluzione del contratto.
Il Tribunale accoglieva parzialmente le domande dell'agente e, a seguito dell'impugnazione della pronuncia di primo grado da parte della preponente, la Corte d'Appello d'Orleans riformava in parte la sentenza, escludendo il trattamento di fine rapporto a titolo risarcitorio, non dovuto stante la risoluzione del contratto nel corso del periodo di prova. Veniva altresì esclusa l'illegittimità della risoluzione, posto che la stessa era stata motivata dagli scarsi risultati dell'attività dell'agente: una sola vendita nei primi 5 mesi di durata del rapporto, a fronte del minimo pattuito di 25 vendite nei primi 12 mesi.
Anche la pronuncia di secondo grado veniva impugnata e la Corte di Cassazione, investita della problematica, osservava preliminarmente che la Corte d'Appello, escludendo il diritto dell'agente al trattamento di fine rapporto, aveva applicato un orientamento consolidato della stessa Cassazione, in forza del quale in caso di risoluzione del contratto durante il periodo di prova, il diritto al trattamento di fine rapporto era soggetto ad un'eccezione.
Osservava inoltre che, stante l'assenza nel testo della Direttiva n. 86/653 di qualunque riferimento al periodo di prova, la sua previsione contrattuale appariva in linea con il diritto dell'Unione.
Ciononostante riteneva di sospendere il procedimento sottoponendo alla Corte di Giustizia un'unica questione pregiudiziale concernente l'applicazione o meno dell'art. 17 della Direttiva in caso di estinzione di un contratto di agenzia commerciale intervenuta nel corso del periodo di prova. La questione
Il tema sottoposto alla Corte di Giustizia da parte della Cassazione francese attiene quindi alla legittimità dell'orientamento giurisprudenziale esistente in Francia, esattamente corrispondente a quanto avviene in Italia in base ad una risalente ma consolidata giurisprudenza della Cassazione italiana (Cass. sez. lav., 22 gennaio 1991, n. 544), in base al quale è di norma escluso il diritto dell'agente al trattamento di fine rapporto laddove il contratto si risolva nel corso del periodo di prova, ancorché su unilaterale iniziativa del preponente.
Corollario del quesito ed anzi tema pregiudiziale è quello relativo alla validità, in linea generale, nell'ambito del contratto di agenzia di una pattuizione contrattuale che preveda, nell'assenza di disposizioni sul punto della Direttiva, un periodo di prova teso alla reciproca sperimentazione della collaborazione prima dell'instaurazione di un vero e proprio contratto. Le soluzioni giuridiche
Le norme di riferimento sono gli artt.17, 18 e 19 della Direttiva dedicati al trattamento di fine rapporto. L'art. 17 prevede due soluzioni alternative:
La seconda soluzione era apparentemente meno precisa in termini di quantificazione del risarcimento, ma riposava su una costante giurisprudenza francese, esistente prima dell'entrata in vigore della Direttiva secondo la quale, salvo in casi particolari, veniva riconosciuto un risarcimento corrispondente a due annualità di provvigioni e compensi calcolati sula media di quelli percepiti negli ultimi tre anni.
L'art. 18 della Direttiva elenca le tre seguenti ipotesi nelle quali il trattamento di fine rapporto non è dovuto:
a) risoluzione da parte del preponente per un'inadempienza dell'agente che giustifichi, in base alla legislazione nazionale, la risoluzione immediata del contratto; b) il recesso dell'agente, salvo che sia giustificato da non meglio precisate “circostanze attribuibili al preponente” o da circostanze attribuibili all'agente: età, infermità o malattia, per le quali non può più essergli ragionevolmente chiesta la prosecuzione dell'attività. c) in caso di cessione a terzi del contratto da parte dell'agente, previo accordo con il preponente.
L'art. 19 infine, quale norma di chiusura, prevede che prima della scadenza del contratto, gli artt. 17 e 18 non possano essere derogati a svantaggio dell'agente, così attribuendo alle relative previsioni la valenza di norme imperative. Caratteristica quest'ultima in più occasioni ribadita dalla stessa Corte di Giustizia come nel noto caso Ingmar (con la sentenza del 9 novembre 2000, in causa C-381/98) dove è stata attribuita la qualifica di norma di applicazione necessaria agli artt. 17 - 19 della Direttiva ogni qualvolta l'attività dell'agente sia svolta anche solo in parte nel territorio di uno Stato membro, prescindendo dalla scelta liberamente effettuata dalle parti per il diritto di un Paese terzo che, pur avendo un collegamento forte con la fattispecie, non preveda un regime analogo o più favorevole.
In via preliminare la Corte di Giustizia ha ritenuto di affrontare un tema solo implicitamente sollevato dal rinvio pregiudiziale, costituito dalla conformità alla Direttiva comunitaria di un patto di prova nel contratto di agenzia.
La Direttiva in effetti (come confermato dal par. 34 delle conclusioni 25 ottobre 2017 dell'avvocato generale) non prevede l'eventuale apposizione di un periodo di prova ma, ciò nonostante, può ritenersi che una clausola di questo tipo rientri nella libertà contrattuale delle parti.
Ferma quindi la legittimità del periodo di prova, la Corte ha valutato se, in caso di cessazione del contratto in prova, potesse legittimamente escludersi il diritto dell'agente al trattamento di fine rapporto ex art. 17 della Direttiva, così come previsto dalla giurisprudenza francese, in ciò allineata a quella italiana.
Il ragionamento della Corte, in adesione alle conclusioni dell'avvocato generale, è partito dunque dalla portata dell'art. 17 della Direttiva, da inquadrarsi in funzione della sua formulazione, del suo contesto e delle sue finalità. In questo quadro l'art. 17 subordina il riconoscimento in favore dell'agente del diritto all'indennità o a risarcimento alla cessazione dei rapporti con il preponente.
La Corte ha altresì correttamente osservato che, pur essendo il periodo di prova volto a facilitare la risoluzione del rapporto, è indubbio che la risoluzione nel corso del periodo di prova costituisce comunque un'estinzione del contratto, ovvero una “cessazione dei rapporti con il preponente” ai sensi dell'art. 17.
D'altra parte, l'esclusione dell'indennità così come prevista dalla giurisprudenza francese è basata sul rilievo secondo il quale nel corso del periodo di prova il contratto di agenzia non dovrebbe ritenersi ancora definitivamente concluso. Anche la giurisprudenza italiana ritiene peraltro che il periodo di prova costituisca una fase prodromica all'effettiva conclusione di un vero e proprio contratto; fase in cui entrambe le parti sarebbero in una situazione di reciproca aspettativa rispetto alla conclusione del contratto, da ritenersi definitivamente instaurato solo all'esito del positivo esperimento della prova.
La Direttiva però non consente una simile interpretazione posto che, ai sensi dell'art. 1, i rapporti tra agente e preponente devono ritenersi esistenti dal momento della conclusione del contratto, prescindendo dall'esistenza o meno di un periodo di prova. La Direttiva deve quindi trovare integrale applicazione dal momento della conclusione del contratto.
La Corte si è poi soffermata sull'art. 17 della Direttiva precisando incidentalmente, quanto al diritto all'indennità ex art. 17 par. 2 lettera b), che “il quantum dell'indennità è proporzionale alle prestazioni svolte dall'agente nel corso del contratto”: principio di proporzionalità che potrà senz'altro essere utilizzato dal Giudice nazionale per la più corretta individuazione di criteri di quantificazione.
Dalla disamina dell'art. 17 la Corte ha quindi individuato la sua finalità precisando che la disciplina alternativa ivi prevista dell'indennità e del risarcimento (ai sensi dei par. 2 e 3) non è volta a sanzionare la risoluzione, ma a indennizzare l'agente per le prestazioni poste in essere, di cui il preponente continui a beneficiare anche dopo la cessazione del rapporto, o per i costi sostenuti in funzione delle prestazioni stesse.
Pertanto, laddove sussistano i requisiti di cui all'art. 17, par. 2 e 3, l'indennità o il risarcimento non possono essere esclusi per il solo fatto che il contratto sia cessato nel corso del periodo di prova.
La conclusione di cui sopra è altresì avvalorata dal contesto dell'art. 17, che vede nell'art. 18 un'elencazione tassativa di ipotesi nelle quali il trattamento di fine rapporto non è dovuto. Previsione che, derogando al diritto all'indennità, va interpretata restrittivamente e che non contempla la cessazione del rapporto nel periodo di prova. Tale norma non può essere interpretata in un senso tale da aggiungere un motivo di decadenza, come risulterebbe escludendo il diritto all'indennità in caso di cessazione del rapporto in prova.
Tale esclusione comporterebbe altresì un contrasto con l'art. 19 della Direttiva, che vieta alle parti di derogare agli artt. 17 e 18 a detrimento dell'agente, prima della scadenza del contratto. Divieto che è stato reso ancor più rigido in diritto italiano (art. 1751 c.c.) dove l'inderogabilità è assoluta.
Per quanto attiene alle finalità complessive della Direttiva, la tutela dell'agente nelle relazioni con il preponente è individuato come obbiettivo primario nei considerando secondo e terzo, mentre la Corte di Giustizia ha già avuto modo in più occasioni (Corte di Giustizia 9 novembre 2000, Ingmar, C-381/98; Corte di Giustizia 23 marzo 2006, Honywem, C-465/04) di affermare la natura imperativa del combinato disposto degli artt. 17 e 19 della Direttiva e l'impossibilità di interpretare l'art. 17 a detrimento dell'agente (Corte di Giustizia 26 marzo 2009, Semen, C-348/07).
La Corte ha quindi, a mio avviso correttamente, ritenuto che l'art. 17 della Direttiva vada interpretato nel senso che il trattamento di fine rapporto (indennità o risarcimento ex par. 2 o 3) ivi previsto si applichi anche nel caso in cui la cessazione del contratto sia avvenuta nel corso del periodo di prova: pattuizione in sé del tutto legittima ed efficace, ma non tale da consentire una deroga a detrimento dell'agente dell'art. 17. Osservazioni
La Corte di Giustizia, effettuando una corretta interpretazione letterale del combinato disposto degli artt. 17, 18 e 19 della Direttiva ha concluso per l'applicabilità delle previsioni di cui all'art. 17 anche laddove il contratto di agenzia cessi nel corso del periodo di prova. Trattasi di una presa di posizione certamente condivisibile, la cui efficacia pratica potrebbe tuttavia risultare abbastanza limitata, posto che di norma il periodo di prova è un lasso di tempo ridotto (compreso tra i 3 e i 6 mesi), teso appunto alla reciproca verifica di opportunità in ordine all'instaurazione definitiva del contratto, con la conseguenza che ben difficilmente potranno riscontarsi i presupposti per il riconoscimento all'agente dell'indennità ex art. 17 par. 2 o del risarcimento del danno di cui al par. 3.
È tuttavia indubbio il necessario cambiamento della consolidata giurisprudenza francese, così come di quella italiana, che considerava il periodo di prova come una sorta di fase preliminare del contratto, da ritenersi dunque non ancora definitivamente stipulato, nella quale le previsioni relative al trattamento di fine rapporto dovevano ritenersi inapplicabili.
Positivo è invece il riconoscimento della legittimità della previsione contrattuale che, pur non prevista dalla Direttiva, è stata correttamente ritenuta quale libera espressione della volontà delle parti.
Di interesse è inoltre l'affermazione incidentale della Corte in ordine al principio di proporzionalità con riferimento ai criteri di quantificazione dell'indennità ex art. 17 par. 2. Trattasi di uno spunto interpretativo che già poteva cogliersi dal par. 1, dove le condizioni di esistenza del diritto sono previste altresì per la sua quantificazione (con la locuzione “se e nella misura in cui”) ma che risulta certamente rafforzato. Nel punto 27 della motivazione si precisa infatti:”Inoltre, a termini del paragrafo 2, lettera b), dello stesso art. 17, il quantum dell'indennità è proporzionale alle prestazioni svolte dall'agente nel corso del contratto”: è dunque affermato un chiaro criterio di quantificazione dell'indennità che, entro il limite massimo di una annualità di cui all'art. 17 (trasfuso nell'art. 1751 c.c.), andrà determinata in proporzione alle prestazioni svolte dall'agente nel corso del contratto. Criterio di cui anche il Giudice nazionale potrà tener conto nell'interpretazione delle proprie norme di attuazione dell'art. 17 della Direttiva.
Un ultimo spunto di riflessione attiene alle modalità di cessazione del contratto di agenzia nel corso del periodo di prova (nella fattispecie in oggetto il problema non si è posto stante la previsione di un preavviso di 1 mese nei primi 12 mesi, esattamente corrispondente al preavviso di cui alla Direttiva), non oggetto della pronuncia, ma sulle quali la stessa ha certamene un'influenza significativa.
Nella prassi si riscontrano clausole contrattuali relative al periodo di prova che consentono a ciascuna delle parti di porre termine al rapporto in prova in qualsiasi momento: tale possibilità è collegata alla qualificazione della prova in termini di contratto di agenzia non ancora perfezionato. Alla luce invece di quanto emerso dalla pronuncia in oggetto appare chiaro che, anche durante la prova, il contratto deve considerarsi già definitivamente concluso ed efficace (così di fatto mettendo almeno in parte in discussione la configurabilità stessa della prova) con la conseguenza che le disposizioni in termini di recesso con preavviso dovrebbero trovare integrale applicazione.
È dunque consigliabile inserire nel patto di prova un riferimento alla facoltà di recesso con il medesimo termine di preavviso previsto per la cessazione del rapporto a tempo indeterminato. In via alternativa, volendo ritenere la prova quale una sorta di contratto a termine nell'ambito di un più ampio contratto a tempo indeterminato (come sostenuto in passato da parte della dottrina) potrebbe ipotizzarsi la necessaria prosecuzione sino alla scadenza. La prima soluzione appare tuttavia preferibile. |