Non si configura illecito sportivo se sussiste il collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo

Redazione Scientifica
18 Maggio 2018

In tema di risarcimento danni per responsabilità civile conseguente ad un infortunio sportivo, qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante in seguito ad un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile risiede nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che viene meno nel caso in cui l'atto sia stato compiuto al mero scopo di ledere, con violenza, perché incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco.

PARTITA AMICHEVOLE DI CALCIO In seguito ad una azione fallosa, un giocatore riporta lesioni personali con esiti invalidanti di natura permanente. Il danneggiato agisce per ottenere il risarcimento dei danni patiti ma resta soccombente sia in primo che in secondo grado. La Corte d'Appello, in particolare, rigetta la domanda dichiarando che l'azione, seppur fallosa, non era caratterizzata dalla volontà di ledere il bene-salute altrui e che, seppur violativa delle regole del gioco, non era né sproporzionata rispetto al contesto di gioco, né abnorme rispetto alla finalità del gioco stesso. Il giocatore ricorre dunque in Cassazione .

RESPONSABILITÀ SPORTIVA La Suprema Corte rigetta il ricorso e ricorda che la scriminante della responsabilità sportiva verte sullo stretto collegamento funzionale esistente tra gioco ed evento sportivo, che si recide solo se l'atto doloso del partecipante sia stato compiuto con la volontà di far del male (recte: di ledere), con una condotta connotata da una violenza tale da rendersi oggettivamente incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco. Del pari integra responsabilità civile l'ipotesi in cui l'atto lesivo volontario sia stato posto in essere nell'alveo delle regole dell'attività svolta.

ANALISI DEL NESSO FUNZIONALE Deve dunque essere analizzato il nesso funzionale con l'attività sportiva praticata, considerando il grado di violenza o irruenza della condotta, tenuto conto dello sport di riferimento, del contesto ambientale o della qualità delle persone che vi partecipano. Esemplificando, una scivolata da tergo a forbice a pallone lontano posta in essere da un trentenne che gioca a calcetto con altri compagni di età media pari a sessantanni da cui derivi la lesione del tendine d'achille ad uno dei giocatori, sarebbe quasi sicuramente foriera di un danno ingiusto risarcibile. Nel caso di specie, invece il risarcimento non è dovuto perché il contesto era un incontro sportivo di natura amichevole, ove l'azione di gioco era inquadrabile come tipica perché volta a sottrarre all'avversario il controllo della palla, e che nessuna prova era stata fornita in punto di volontà di ledere.

RISCHIO DI PREGIUDIZIO VOLONTARIAMENTE ACCETTATO Si tratta dunque di un rischio di pregiudizio volontariamente accettato nel momento in cui si decide di partecipare ad una partita di calcio, ossia quello di subire un danno di fatto, perché non giuridicamente risarcibile, a causa di una normale azione di gioco. Dalla fase istruttoria era infatti emerso che l'azione, se pur fallosa, non aveva in alcun modo ecceduto né il contesto, né la finalità dello sport praticato.