Stupefacenti. La lieve entità va esclusa in caso di vaglio negativo di uno solo dei parametri individuati dalla legge?

Nicolò Pini
18 Maggio 2018

Per l'applicabilità dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 è sufficiente il vaglio negativo anche di uno solo dei parametri previsti dalla norma (qualità, quantità, mezzi, modalità, circostanze) per escludere la fattispecie lieve? In materia di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante speciale prevista dal ...
Massima

In materia di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante speciale prevista dal d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73, comma 5, trova applicazione quando la fattispecie concreta risulti di trascurabile offensività, sia per l'oggetto materiale del reato, in relazione alle caratteristiche qualitative e quantitative della sostanza, sia per la condotta, riferibile ai mezzi, alle modalità e alle circostanze della stessa, dovendosi conseguentemente escludere l'ipotesi del fatto di lieve entità in presenza del vaglio negativo anche di uno solo dei parametri di riferimento individuati dalla legge.

Il caso

La Corte di appello di Napoli confermava la sentenza del Gup del tribunale di Napoli con cui tre imputati venivano condannati per il delitto di cui all'art. 110 c.p. e 73, comma 1-bis, d.P.R. 309 del 1990, perché illecitamente detenevano ai fini della successiva cessione a terzi (che effettivamente avveniva), stupefacente del tipo marijuana (80,07 gr. suddivisi in 88 dosi) e hashish (208,18 gr. suddivisi in 71 stecchette).

La difesa ricorreva per Cassazione lamentando al terzo motivo la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione al d.P.R. 309 del 1990, art. 73, comma 5, poiché la condotta non era stata derubricata, in considerazione del volume di affari e delle modalità ed entità dello spaccio, nonostante i caratteri rudimentali e modesti dell'organizzazione, sintomatici di un'attività discontinua, non professionale e non organizzata.

La Corte rigettava i ricorsi.

La questione

La sentenza in esame offre l'occasione di affrontare, pur in modo sintetico, tre questioni di estrema rilevanza pratica in riferimento all' applicabilità dell' art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990:

  1. se la previsione normativa abbia natura di circostanza attenuante a effetto speciale oppure costituisca autonoma fattispecie di reato e, in questo caso, quale sia la ratio sottostante alla nuova normativa
  2. se la fattispecie lieve si debba escludere nel caso in cui ricorra il vaglio negativo di anche uno solo dei parametri descritti dalla norma (mezzi, modalità o circostanze dell'azione, quantità e qualità delle sostanze) o se non sia sufficiente, la sola valutazione negativa circa il mero dato quantitativo o qualitativo (ad esempio la semplice eterogeneità delle sostanze)
  3. se sia applicabile la disciplina prevista dall'art. 81 c.p. in tema di concorso formale fra i reati più gravi di cui al comma 1 e di cui al comma 4 dell'art. 73 d.P.R. 309/1990 e l'ipotesi più lieve prevista dall'art. 73, comma 5.

Occorre premettere che, in tema di sostanze stupefacenti, a seguito della sentenza n. 32/2014 Corte costituzionale e, successivamente, delle modifiche normative introdotte, la disciplina sulla repressione degli illeciti ha subito pesanti modifiche ed è stata ripristinata la distinzione fra droghe pesanti e droghe leggere. La norma, oggi, punisce la condotta di chi «coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo» sostanze droganti e prevede due distinti reati: le condotte che abbiano ad oggetto le droghe pesanti sono sanzionate dal comma 1 mentre quelle che riguardano le droghe leggere sono punite dalla previsione di cui al comma 4.

Tuttavia, se il fatto è lieve, a prescindere dal tipo di sostanza (pesante o leggera), si applicano le pene, di gran lunga più miti, previste dal comma 5.

Le soluzioni giuridiche

In primo luogo, nella sentenza in commento, emerge l'ormai superata questione relativa alla natura dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 che oggi sembra pacificamente configurare un reato autonomo, dato il recente intervento legislativo che, per effetto del d.l. 23 dicembre 2013, n. 146 convertito dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10, ha mutato la natura della disposizione da circostanza attenuante a effetto speciale a reato autonomo. Inoltre il d.l. 20 marzo 2014, n. 36 (conv. in l. 16 maggio 2014, n. 79) ha ridotto la cornice edittale della pena che ora va da 6 mesi a quattro anni. Le conseguenze sono decisamente rilevanti, dal momento che il reato autonomo non è più circostanza bilanciabile con altre; gode di un termine prescrizionale autonomo e il rapporto che il nuovo reato previsto dal comma 5 ha con le altre due fattispecie previste dall'art.73 d.P.R. 309/1990 (comma 1 e comma 4) cambia in modo radicale, come si vedrà più avanti. Nel senso di considerare l'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 a seguito delle descritte modifiche normative, come reato e non come semplice circostanza ad effetto speciale si esprime costante giurisprudenza di cui si riporta soltanto un recente esempio: «il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 è divenuto un reato autonomo per effetto del D.L. 23 dicembre 2013, n. 146 convertito dalla l. 21 febbraio 2014, n. 10 e non è più una circostanza attenuante ad effetto speciale» (Cass. pen., Sez. III, 20 febbraio 2018, n. 14368). Da ultimo, non si può ignorare che la ratio dell'intervento legislativo sembra rispondere all'esigenza di distinguere in modo netto due realtà fattuali, ossia il piccolo spaccio dal grande spaccio: citando alla lettera la Corte in una recente pronuncia «il mutamento di qualificazione giuridica dell'ipotesi lieve, da mera circostanza attenuante a fattispecie autonoma di reato, risponde alla logica di tenere ben distinte due realtà criminologicamente eterogenee, quelle del grande traffico e del piccolo spaccio, impedendo anche che il bilanciamento delle circostanze possa azzerare tale ontologica diversità». (Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2017,n. 28251).

Si segnala, inoltre, senza poter qui trattare approfonditamente il tema, che è intervenuta recentemente anche la Corte costituzionale (sentenza 179/2017) la quale ha rilevato la sproporzione della cornice edittale prevista dal reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. 309/1990 (anni 8 nel minimo) rispetto a quella stabilita dal comma 5 dello stesso articolo (anni 4 nel massimo) riconoscendo un saltum sanzionatorio in realtà non giustificato dalle differenze strutturali dei due reati e inviando, sul punto, un monito al legislatore affinché intervenga. Anche la Corte Costituzionale si è, pertanto, espressa, ritenendo, in modo pacifico, che l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 abbia natura di reato autonomo.

La Cassazione, nella sentenza in commento, sembra, perciò, applicare la vecchia disposizione in materia di stupefacenti, commettendo quello che sembra un mero errore di successione della legge penale nel tempo. Pertanto, una volta accertata la natura di reato autonomo della fattispecie lieve, le differenze sanzionatorie, già stigmatizzate nella loro anomalia dalla Corte costituzionale (n. 179/2017), impongono«un'adeguata valorizzazione della fattispecie minore, in modo che la fattispecie principale possa essere applicata nei casi in cui la condotta assuma connotati di offensività peculiari». (Cass. pen.Sez. VI,15 dicembre 2017,n. 11994)

In secondo luogo, dunque, si pone il problema di delimitare l'applicabilità dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 e, in particolare, è necessario verificare se, come deciso dalla sentenza in commento, il vaglio negativo anche di uno solo dei parametri previsti dalla norma comporti l'automatica esclusione del fatto lieve.

La Corte di legittimità, si è più volte espressa, anche in una pronuncia a Sezioni Unite, in senso conforme, ritenendo che la fattispecie lieve «può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell'azione), con la conseguenza che ove uno degli indici previsti dalla legge risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di incidenza sul giudizio (per tutte, Sez. Un. n. 17 del 2000 cit. e, da ultimo, Sez. 4^, 29 settembre 2005, n. 38879, Frank, rv. 232428; Sez. 6^, 14 aprile 2008, n. 27052, Rinaldo, rv. 240981)».(Cass. pen., Sez. unite, 24 giugno 2010,n. 35737). La soluzione interpretativa della Corte a Sezioni unite è seguita, oltre che nella citata sentenza, anche in numerose altre pronunce che, anche molto recentemente, hanno stabilito che «il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione - mezzi, modalità e circostanze della stessa -, sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato - quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa -, dovendo, conseguentemente, escludere la lieve entità quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità"»Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016, ,n. 11920.

Tuttavia, occorre notare che si sta affacciando, nella più recente giurisprudenza, un altro e per certi versi contrapposto orientamento secondo il quale i parametri previsti dal comma 5 andrebbero complessivamente considerati al fine di valutare la gravità dei fatti: secondo tale indirizzo interpretativo, infatti, non si potrebbe indurre da un singolo parametro la gravità del reato, poiché si tratterebbe di una valutazione astratta del caso concreto, che non terrebbe conto della complessiva gravità della condotta.

In questo senso si esprime la più recente Cassazione (Cass. pen., Sez. VI, 19 settembre 2017,n. 46495) che sottolinea come anche la sentenza delle Sezioni unite che si era pronunciata sul tema, in realtà, se da un lato affermava l'insussistenza del comma 5, qualora anche solo di uno degli indici previsti per legge risultasse negativamente assorbente, dall'altro stabiliva che l'applicabilità o meno della norma in questione «non possa essere risolta in astratto, stabilendo incompatibilità in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per caso, con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e concrete circostanze»(Cass. pen., Sez. un., n. 35737/2010 cit.).

L'interpretazione appena descritta prevede, dunque, che il giudice adotti un criterio valutativo che tenga conto della globale gravità della condotta dell'imputato, dopo il vaglio di tutti i parametri previsti dalla norma.

Il nuovo indirizzo giurisprudenziale pare così escludere che non si possa applicare la previsione di cui all'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 in base ad un unico parametro il quale risulti negativamente assorbente (tipicamente la mera quantità o qualità della sostanza drogante) poiché si tratterebbe di una valutazione del tutto astratta: nello stabilire se applicare o meno la fattispecie lieve si deve, perciò, fare riferimento non solo a criteri quantitativi e qualitativi ma anche agli altri parametri previsti dalla disposizione (mezzi, modalità e circostanze dell'azione) tutti assieme considerati.

Sembra così che si stia affermando la tendenza nella giurisprudenza di legittimità ad escludere che il vaglio negativo anche solo di uno dei parametri della norma possa comportare l'inapplicabilità della fattispecie lieve, in modo del tutto opposto rispetto alla sentenza in commento.

Per quanto riguarda il dato quantitativo, il possesso di una quantità non modesta di droga non basta, in questa prospettiva ermeneutica, a negare la configurabilità dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 ma occorre considerare anche il contesto in cui la condotta si colloca e, conseguentemente, non può essere individuata, a priori, una soglia ideale ed astratta al di sopra della quale si deve in ogni caso escludere l'applicabilità dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990. In senso conforme si esprime altra recente Cassazione, favorevole all'orientamento giurisprudenziale appena descritto, la quale, proprio sul tema della quantità come parametro da valutare congiuntamente a tutti gli altri, e non come criterio dirimente per la configurazione della fattispecie lieve, stabilisce che «In linea con il chiaro enunciato testuale del citato art. 73, comma 5, la "quantità" "delle sostanze" costituisce soltanto un dato sintomatico della non lieve entità del fatto, comunque da valutare nel contesto delle ulteriori circostanze e peculiarità del caso di specie, alla luce del prudente apprezzamento del giudice».(Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 2017,n. 39374). D'altronde sembra impossibile stabilire, in via giurisprudenziale, una soglia quantitativa ideale che possa fungere da criterio dirimente, sganciata da qualsiasi altro parametro valutativo. Pare, così, del tutto ragionevole ritenere che il dato quantitativo sia indice significativo della gravità della condotta da inquadrare, tuttavia, nel contesto concreto in cui la condotta stessa si realizza poiché va valutato non sulla base di criteri ideali ma congiuntamente agli altri parametri descritti dalla norma.

Per quanto riguarda i mezzi, la modalità e le circostanze della condotta,si rileva che, nella giurisprudenza, neppure nel caso di abitualità della condotta si può escludere, senza aver vagliato tutti gli indici previsti, la fattispecie lievepoiché, «costituisce principio di diritto ormai stabilizzato quello secondo il quale l'ipotesi del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, non è incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale ma continuativa. Ciò discende dall'art. 74, comma 6 stesso d.P.R., là dove, nel prevedere l'associazione costituita per commettere fatti descritti dall'art. 73, comma 5 rende evidente la configurabilità dell'ipotesi c.d. lieve anche con riferimento agli episodi che costituiscono attuazione del programma criminoso associativo»(Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2017,n. 29132). Dunque, lo stesso dettato normativo consente l'applicazione dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 anche nel caso in cui gli episodi abbiano carattere continuativo e certamente non occasionale; pure in questo caso è, pertanto, necessario valutare congiuntamente tutti gli indici previsti dall'ipotesi lieve.

Perfino nel caso in cui la condotta si collochi in una cornice di tipo associativo, seguendo le parole della Corte, il Giudice, dovrà motivare specificamente sul punto, e ha l'obbligo di verificare «se la condotta, pur connotata dalla predisposizione dei mezzi e dalla programmazione delle modalità esecutive, cioè da un'organizzazione, presenti contorni - ad esempio, per il ristretto ambito spazio temporale di operatività, per lo scarno numero di clienti, per la scarsa professionalità - che consentano di ritenere minima l'offesa al bene giuridico protetto dalla norma, che si connette al rischio di diffusività delle sostanze stupefacenti». (Cass. pen. n. 29132/2017 cit.).

Si segnala, tuttavia, che se, da un lato, l'attività continuativa di spaccio non impedisce da sola la configurabilità dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 dall'altro, proprio perché si deve sempre tener conto di tutti i parametri previsti dalla norma, l'occasionalità della condotta non obbliga di per sé ad applicare l'ipotesi lieve: ben potrebbe darsi il caso che una cessione singola, dopo l'attenta valutazione di tutti gli indici dell'art. 73, comma 5,d.P.R. 309/1990 possa essere connotata come fatto per nulla lieve. In modo conforme si esprime, da ultimo, recente Cassazione stabilendo che «è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell'autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva»(Cass. pen., Sez. IV, 30 gennaio 2018),n. 10390).

Per concludere, sembra che la più recente giurisprudenza, in contrato con quanto affermato dalla sentenza in commento, ritenga che, «deve escludersi che qualsiasi forma e grado di organizzazione, struttura, professionalità, reiterazione giustifichi di per sé l'esclusione dell'ipotesi lieve». (Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2018,n. 14362).

Per quanto riguarda il dato qualitativo, occorre far riferimento al caso paradigmatico e frequentissimo nella prassi, della contemporanea detenzione di più sostanze stupefacenti.

Parte della giurisprudenza si è pronunciata in merito stabilendo che la detenzione di sostanze droganti eterogenee è di per sé indice di una più accentuata pericolosità sociale e «da sola, esclude la minima offensività del fatto, poiché esprime la capacità della condotta di rivolgersi ad un cospicuo e variegato numero di consumatori»(Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016,n. 11920).

In tema di detenzione di sostanze droganti eterogenee si esprimono diverse altre pronunce nel solco di quella appena citata, secondo le quali Il dato della varietà delle sostanze detenute è pertanto decisivo in quanto di per sé ostativo alla qualificazione del fatto in termini di lieve entità (Cass. pen., Sez. III, 10 novembre 2016,n. 12157).

Tuttavia, in questo caso, sembra peccare di astrattezza l'interpretazione che ritiene addirittura ostativa alla concessione della fattispecie lieve la semplice diversità di sostanze detenute, poiché, da un lato, si stabilisce una presunzione insuperabile di pericolosità sociale dell'individuo, senza tener in alcun modo conto della condotta concreta, dall'altro, si nega l'applicabilità della fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, facendo riferimento al solo parametro qualitativo.

Contro tale giurisprudenza si è così espressa altra e recente Cassazione che afferma la necessità di escludere qualsivoglia preclusione derivante dalla eterogeneità delle sostanze (Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2017,n. 29132), ritenendo che l'eterogeneità delle sostanze detenute (come anche, come si vedrà più avanti, le modalità organizzate della condotta) sia idonea ad escludere l'ipotesi del fatto lieve soltanto qualora sia dimostrativa di una significativa potenzialità offensiva.

Pare che quest'ultima interpretazione venga ulteriormente supportata sia dal dato testuale della norma, che parla di “sostanze”, al plurale, consentendo evidentemente l'applicazione della disposizione anche nel caso di detenzione di sostanze diverse, sia dalla comune massima di esperienza secondo la quale il possesso di stupefacente di diversa natura non può di per sé escludere l'applicabilità della fattispecie lieve poiché non è indice univoco di una più accentuata pericolosità (si pensi al piccolo o piccolissimo spacciatore trovato con qualche grammo di sostanze diverse). Non pare convincente neppure l'argomento secondo il quale si tratterebbe di «condotta indicativa della capacità dell'agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, così da recare un danno non tenue al bene della salute pubblica tutelato dalla norma incriminatrice»(Cass. pen., Sez. III, 5 giugno 2015,n. 26205), poiché nella prassi ben potrebbe darsi che la detenzione di più sostanze stupefacenti sia destinata alla vendita a un unico cliente, o comunque ad un numero molto ristretto di destinatari, motivo per cui il concreto disvalore della condotta sarebbe parificabile o perfino inferiore a quello del soggetto che venda, sì sostanze di natura omogenea, ma ad un numero di clienti di gran lunga superiore.

Da ultimo, vale la pena sottolineare un ulteriore argomento recentemente espresso dalla Corte: l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990, diversamente da quanto previsto per le condotte “non lievi”, si applica tanto in caso di droghe leggere, quanto in caso di droghe pesanti. «Risulterebbe, pertanto, del tutto irrazionale - oltre che contrario al principio di legalità, facendo dire alla norma ciò che non vi sta scritto - ritenere la disposizione applicabile soltanto in presenza di condotte "lievi" aventi ad oggetto sostanze droganti fra loro omogenee». (Cass. pen. n. 46495/2017 cit.).

Pare, quindi, che neppure il dato qualitativo possa essere di per sé dirimente se considerato a prescindere dagli altri parametri indicati dalla norma poiché, anche in questo caso, occorre che il giudice, valutando la condotta concreta sulla base del proprio prudente apprezzamento, stabilisca l'effettiva gravità della condotta senza che gli sia preclusa l'applicazione della fattispecie lieve sulla base di invincibili presunzioni di pericolosità, peraltro del tutto astratte create unicamente in via giurisprudenziale. Si è già segnalato, tuttavia, che la giurisprudenza è ben lontana dall'essere consolidata e, come dimostra esemplificativamente la sentenza in commento, si può certamente affermare che sul punto vi sia un contrasto giurisprudenziale per che richiederebbe, forse, l'intervento delle Sezioni Unite, avuto riguardo anche alle conseguenze sanzionatorie, decisamente rilevanti, che derivano dall'aderire all'uno o all'altro orientamento giurisprudenziale.

In terzo luogo occorre sollevare il problema, strettamente connesso ai precedenti, che riguarda il trattamento sanzionatorio ed, in particolare, l'applicabilità della disciplina prevista dall'art. 81 c.p. in tema di concorso formale di reati rispetto alla fattispecie in esame.

Nella prassi, infatti, è frequente il caso del soggetto agente che detenga nello stesso momento sostanze proibite dal comma 4 e dal comma 1. Un caso paradigmatico è quello dell'imputato fermato in auto che detenga, ad esempio, 10 grammi di cocaina e 500 grammi di marijuana.

Di fronte alla necessità di stabilire in concreto che reato applicare, è frequente la soluzione interpretativa seguente: si considerano i 10 grammi di cocaina puniti secondo la previsione del comma 5, mentre i 500 grammi di marijuana rientrerebbero nella fattispecie sanzionata dal comma 4. Così, per effetto della disciplina prevista dall'art. 81 comma 1, applicando la norma sul concorso formale di reati, la pena base andrebbe individuata partendo dal reato più grave, ossia il comma 4, e operando poi l'aumento per il comma 5.

Tuttavia, in questo caso, se “uno dei fatti” dev'essere di lieve entità ne consegue che, decidendo su un'unica condotta di detenzione (benché di droghe diverse in quantitativi diversi) essa o è di lieve entità o non lo è: il comma 5, infatti, non può riferirsi a una singola sostanza, poiché il fatto, unitario, non può essere contemporaneamente lieve per la cocaina e non lieve per la marijuana, con l'ulteriore conseguenza di frazionare in modo arbitrario una condotta che, peraltro, è, per definizione, unitaria. La soluzione sembra pertanto la seguente: o si ritiene che il fatto detentivo sia lieve, senza alcuna astratta preclusione derivante dalla mera eterogeneità delle sostanze ricevute, e allora si applica l'ipotesi di cui al comma 5, o si ritiene (alla luce di tutti i parametri della norma) che il fatto detentivo sia non lieve, e allora è necessario applicare la previsione di cui al comma 1 (per i 10 grammi di cocaina come nell'esempio), in continuazione con quella di cui al comma 4 (per i 500 grammi di marijuana).

L'obiezione, in quest'ultimo caso, potrebbe certamente essere quella di considerare iniquo un trattamento sanzionatorio così elevato (comma 1) per una fattispecie tutto sommato di modesta offensività. Tuttavia la risposta a tale rilevo è contenuta proprio nell'ampliamento del perimetro applicativo della fattispecie lieve: infatti l'art. 73 comma 5,d.P.R. 309/1990 non potendo mai essere a priori escluso sulla base di astratte preclusioni, come già argomentato, sarà sempre applicabile in tutti quei casi in cui sembri iniquo irrogare il pesante trattamento sanzionatorio previsto dalle ipotesi più gravi. Il Giudice, poi, ben potrà adeguare il trattamento sanzionatorio sfruttando tutta la cornice edittale prevista dall'ipotesi lieve, arrivando ad irrogare anche una pena prossima al massimo edittale in modo da punire adeguatamente condotte che, pur lievi, non meritino di trovare una risposta sanzionatoria contenuta nel minimo.

In senso conforme, sembra esprimersi anche recente Cassazione che argomenta, in tema di contestuale detenzione di hashish e MDMA, che le diverse sostanze, sono state detenute nell'identico contesto e che, pertanto, deve escludersi una duplicità temporale o giuridica della condotta, e conseguentemente la legittimità della riconosciuta continuazione del reato. (Cass. pen., Sez. IV, 6 luglio 2017,n. 36078).

La stessa pronuncia cita altra Cassazione che si esprime ritenendo che Con la soppressione della distinzione tabellare tra "droghe leggere" e "droghe pesanti" operata dalla legge 21 febbraio del 2006 n. 49, la detenzione contestuale di sostanze stupefacenti di natura e tipo diversi integra un unico reato e non più una pluralità di reati in continuazione tra loro (Cass. pen., Sez. VI, 9 maggio 2017, n. 28980). Quest'ultima pronuncia sembra, evidentemente, criticabile poiché la distinzione tabellare è stata ripristinata da tempo, come già dimostrato: tuttavia, l'osservazione della Corte, anche se appare datata riguardo alle ipotesi più gravi, è ancora attuale con riferimento all'ipotesi lieve poiché l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 è applicabile tanto alle droghe leggere quanto alle droghe pesanti.

Pertanto, pur con motivazioni parzialmente diverse da quelle già esposte, sembra che anche la Corte si esprima nel senso di ritenere che non si possa applicare la disciplina prevista dall'art. 81 c.p. ai casi in cui vi sia contestuale detenzione di più sostanze stupefacenti.

Osservazioni

La sentenza in commento, nonostante sia molto recente, sembra rappresentare un orientamento più risalente e, con ogni probabilità, ormai superato.

Si è infatti argomentato, contrariamente a quanto stabilito dalla Corte che l'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 ha natura di reato autonomo, non di circostanza ad effetto speciale e che la cornice edittale prevista dalla norma è di gran lunga inferiore rispetto a quella prevista dagli altri due reati puniti dallo stesso articolo. In particolare, il comma 1 prevede nel minimo anni 8 di reclusione, ossia il doppio di quanto il comma 5 stabilisce nel massimo edittale: da ciò consegue un'evidente sproporzione, tenuto conto anche della sostanziale omogeneità strutturale dei reati descritti dalla norma, che impone di valorizzare adeguatamente la fattispecie lieve al fine di non punire con una sanzione iniqua condotte di modesta offensività. L'art. 73 comma 5, d.P.R. 309/1990 pertanto, non può essere escluso sulla base di astratte preclusioni o avendo riguardo ad un singolo parametro negativamente assorbente, ma dev'essere valutato globalmente alla luce di tutti i parametri descritti dalla norma, così da poter essere riconosciuto in tutti quei casi nei quali la condotta concreta sia di limitata offensività.

Da ultimo, non sembra si possa applicare alla fattispecie lieve, in caso di contestuale detenzione di più sostanze droganti, la disciplina prevista dall'art. 81 c.p., dal momento che la condotta detentiva è certamente unitaria e non può essere arbitrariamente frammentata, come se si trattasse di fatti diversi: si è, infatti, argomentato che la valutazione congiunta di tutti gli indici dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990 impedisce la scomposizione della fattispecie detentiva, unitaria per definizione, in più condotte separate e di gravità differente.

Guida all'approfondimento

BRAY Carlo, La corte costituzionale salva la pena minima (di 8 anni di reclusione) per il traffico di droghe 'pesanti' ma invia un severo monito al legislatore, in Dir. pen. cont., Fascicolo 11, 2017

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