Gratuito patrocinio e liquidazione dei compensi al difensore: il Ministero dirime alcuni dubbi interpretativi
21 Maggio 2018
Le questioni esaminate
La Circolare 10 gennaio 2018 del Ministero della Giustizia, con riferimento all'art. 83, comma 3-bis, del d.P.R. n. 115/2002, che, nel testo attuale, introdotto dall'art. 1, comma 783, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 recita «Il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta» ha esaminato le seguenti questioni:
Con riferimento al primo punto il Ministero, muovendo dall'assenza nel testo legislativo della indicazione di un esplicito termine di decadenza entro il quale l'avvocato sia tenuto a proporre l'istanza, esclude preclusioni temporali per il difensore, conformemente ai principi generali secondo cui le ipotesi di decadenza (specie con riferimento a situazioni giuridiche soggettive connesse a diritti fondamentali) devono essere tipiche ed espresse. Al riguardo vedasi il termine di 100 giorni fissato dall'art. 71, comma 2, d.P.R. n. 115/2002 per il deposito della domanda di liquidazione degli onorari e delle spese per l'espletamento dell'incarico degli ausiliari del magistrato, previsto a pena di decadenza, con la conseguenza che il consulente che presenta la domanda oltre il suddetto termine perde il diritto al compenso (come ribadito recentemente in Cass. civ., sez. II, sent., n. 4373/2015). La potestas decidendi
Indicazioni normative in ordine alla esclusione di un esaurimento della potestas decidendi del giudice che abbia definito il merito vengono individuate nell'art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002 che contempla proprio una tipica ipotesi di liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio effettuata dopo la definizione del giudizio di merito e per gradi o fasi anteriori, che ricorre quando il giudice del “rinvio” (art. 383 c.p.c.) procede alla liquidazione del compenso per il giudizio di cassazione o quando il provvedimento di ammissione al patrocinio interviene dopo la definizione del giudizio. La novella normativa viene individuata come meramente indicativa, ai soli fini di una maggiore razionalizzazione del sistema, del termine “preferibile” per la pronuncia, senza sanzioni in caso di violazione e con la precipua finalità di chiarire, invece, in via definitiva che il decreto di pagamento deve - in quanto tale - essere un atto separato dal provvedimento che definisce il giudizio. Con riferimento a detto ultimo aspetto viene, infatti, criticata la prassi di alcuni uffici giudiziari di inserire il provvedimento di liquidazione nella sentenza, con conseguente difficoltà per il personale di cancelleria di procedere al pagamento delle spettanze. Prassi che già la Suprema Corte aveva censurato (Cass. civ., 31 marzo 2011, n. 7504) sul rilievo, proprio, della previsione del decreto quale forma prevista per il provvedimento liquidatorio. Ulteriore argomento per escludere l'esaurimento della potestas decidendi viene individuato nel potere dovere del giudice di verificare la sussistenza e la permanenza dei presupposti per l'ammissione al Patrocinio a spese dello Stato (ai sensi dell'art. 136 d.P.R. n. 115/2002), richiedendo le integrazioni necessarie alla liquidazione che viene posticipata all'esito delle verifiche svolte dall'Ufficio Finanziario. La norma predetta consente al giudice che procede e che abbia contezza della sopravvenienza di modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini del beneficio, di revocare il provvedimento di ammissione con effetto ex nunc e ciò anche ove risulti l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione o l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave: in questi casi la revoca avrà effetto retroattivo. In ogni caso, non prevedendosi un termine entro il quale l'ufficio Finanziario debba effettuare la verifica, il provvedimento di revoca potrebbe essere emesso dal giudice oltre la definizione del procedimento. Va evidenziato che le prime pronunce di merito che si sono espresse sull'argomento (cfr. Trib. Milano, 22 marzo 2016), per sostenere la tesi sull'esaurimento del potere di provvedere sulla richiesta, richiamavano analogicamente quanto sancito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di liquidazione del compenso del CTU che si escludeva dopo la conclusione del procedimento (come ribadito in Cass. civ., sent., n. 11418/2003) sul presupposto che dal sistema si desumeva «implicitamente, ma inequivocamente, che la liquidazione (e l'accollo) del compenso al CTU vanno fatti con la sentenza che definisce il giudizio» poiché con tale provvedimento viene definitivamente regolato l'onere delle spese processuali (cfr. Cass. civ. nn. 7633/2006; 28299/2009). Evidentemente tale argomento non poteva essere utilizzato con riguardo alla liquidazione del compenso spettante al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato tenuto conto che: a) l'art. 82 d.P.R. n. 115/2002 prevede, con riferimento esclusivo alla posizione del difensore patrocinante che l'onorario e le spese sono liquidati dall'autorità giudiziaria con “decreto di pagamento” e, quindi, proprio con provvedimento diverso e separato dalla sentenza che chiude il giudizio. A tale proposito la Corte di cassazione a più riprese ha chiarito come l'unica sede in cui possa avvenire la liquidazione dei compensi del difensore è quella del decreto di pagamento, escludendo così che sia possibile provvedervi solamente in sentenza (cfr. Cass. civ. n. 7504/2011), e ciò a prescindere dal fatto che il giudizio sia stato già definito con tale provvedimento (cfr. sul punto Cass. civ., n. 11028/2009, che riconosce la competenza a decidere sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione al giudice che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, a seguito dell'esito del giudizio di Cassazione); b) tra la liquidazione del compenso del CTU e quella disposta a favore del difensore che ha assistito la parte ammessa al beneficio non si ravvisa un'omogeneità strutturale tale da giustificare l'analogia di disciplina. Infatti, la liquidazione del compenso del CTU attiene, in ultima analisi, alla regolamentazione degli oneri processuali tra le parti in giudizio, le quali devono farsi carico delle spese per gli importi riconosciuti al CTU («in forza della responsabilità solidale che, in linea di principio, grava su tutte le parti del processo per il pagamento delle spese di CTU e che perdura anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza conclusiva del processo, anche indipendentemente dalla definitiva ripartizione fra le parti dell'onere delle spese»; cfr. Cass. civ., nn. 6199/1996; 22962/2004; 23586/2008; 25179/2013). Al contrario, la liquidazione degli onorari del difensore patrocinante non ha alcuna incidenza sul governo delle spese di lite, in quanto l'ammissione al gratuito patrocinio determina l'insorgenza di un rapporto che si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato (cfr. Cass. civ., n. 1539/2015), di tal che le parti rimangono totalmente estranee agli esborsi che dovranno essere corrisposti all'avvocato. A riprova di ciò, mentre nel procedimento di opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002 al decreto di liquidazione del compenso al consulente tecnico sono litisconsorti necessari tutte le parti processuali (cfr. Cass. civ., 7528/2006), nel procedimento di opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002 al decreto di liquidazione del compenso del difensore è controparte necessaria solamente il Ministero della Giustizia, quale unico titolare passivo del rapporto di debito oggetto del procedimento (Cass. civ., Sez. Un., n. 8516/2012). Certamente oltre ai predetti rilievi normativi anche ragioni di economia processuale hanno consigliato di rifiutare la iniziale interpretazione restrittiva aderendo alla quale, ove dovesse emergere la necessità di disporre gli accertamenti di cui agli artt. 79, comma 3, e 127, comma 4, d.P.R. n. 115/2002 per verificare l'effettività e la permanenza delle condizioni previste per l'ammissione al patrocinio, il giudice, per non perdere il potere di delibare sull'istanza di liquidazione, avrebbe dovuto attendere l'esito di tali indagini prima di pronunciare la sentenza, con probabili dilatazioni dei tempi decisori. Inoltre, nel caso in cui invece il giudice non intendesse procrastinare la definizione del giudizio, esaurendo così il potere di conoscere dell'istanza di liquidazione, il difensore potrebbe far valere comunque le proprie pretese con gli strumenti di tutela ordinari e generali (cfr. Cass. civ., n. 7633/2006) con l'effetto che tutte le richieste di liquidazione ritenute bisognevoli di accertamenti finanziari si trasformerebbero in altrettanti procedimenti ordinari o di ingiunzione con aggravio di costi e delle pendenze dei ruoli del contenzioso civile. Con riferimento al terzo quesito il Ministero ritiene non compatibile con l'esigenza acceleratoria sancita nel testo normativo le prassi di alcuni uffici di richiedere, solo a fronte dell'istanza di liquidazione, accertamenti all'Ufficio finanziario determinando ciò un inevitabile allungamento della tempistica. Si valorizzano invece quelle prassi, ritenute in linea con la novella normativa, in virtù delle quali si richiede ai difensori di depositare, contestualmente all'istanza di pagamento, tutta la documentazione necessaria a consentire al magistrato di verificare la sussistenza dei presupposti per procedere al pagamento e precisamente: le dichiarazioni dei redditi sino all'anno di conclusione del procedimento; la dichiarazione sostitutiva di atto notorio oppure altra documentazione per il computo dei redditi (cedolini pensione, buste paga, ecc.) e, in mancanza di dichiarazione fiscale, la dichiarazione sostituiva di atto notorio attestante il reddito; la dichiarazione presentata unitamente alla richiesta di ammissione; il provvedimento di ammissione in originale; il certificato di stato di famiglia aggiornato).
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