Il danno da vaccinazione: indennizzo o risarcimento ma solo previo accertamento del nesso di causalitàFonte: L. 25 febbraio 1992 n. 210
22 Maggio 2018
I vaccini sono dei preparati biologici che simulano il primo contatto con l'agente infettivo e provocano in tal modo una risposta immunitaria simile a quella provocata dall'infezione naturale, senza però causare la malattia e le sue complicanze.
Tale processo è possibile grazie alla memoria immunologica, vale a dire alla capacità del sistema immunitario di ricordare quali microrganismi hanno attaccato in passato l'organismo e di attivarsi rispondendo in modo più rapido e mirato.
La storia della vaccinologia è piuttosto antica, sebbene in un primo tempo fosse praticata in modo del tutto empirico. Il padre dell'immunizzazione è infatti considerato il medico inglese Edward Jenner, che alla fine del Settecento si dedicò con successo alla battaglia contro il vaiolo.
In Italia fu un altro medico, Luigi Sacco, ad introdurre e diffondere la vaccinazione e il metodo jenneriano a partire dal 1799, ottenendo in breve tempo successi straordinari. L'obbligo della vaccinazione anti-vaiolosa fu introdotta dapprima nel ducato di Piombino, poi nel Regno delle due Sicilie e a partire dal 1888 nel Regno d'Italia.
Il fondamento normativo delle vaccinazioni si rinviene oggi nella Costituzione. L'art. 32 Cost. dispone infatti che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività» e che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge».
I vaccini sono diventati nel volgere di pochi anni un fondamentale strumento di prevenzione nei confronti di malattie gravi e a volte mortali. Nonostante abbiano contribuito significativamente alla riduzione della mortalità e della morbilità, nonché della spesa sanitaria, i vaccini non possono essere considerati totalmente privi di rischi, come accade in generale per i farmaci.
In caso di reazioni avverse, i soggetti danneggiati possono agire per ottenere il risarcimento dei danni o un indennizzo da parte dello Stato.
La legge 25 febbraio 1992 n. 210 («Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati») prevede, all'art. 1, che chiunque abbia riportato lesioni o infermità a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di un'autorità sanitaria, dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell'integrità psico-fisica, ha diritto di ottenere un indennizzo da parte dello Stato.
Tale legge è stata introdotta a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una precedente legge, la n. 51/1966, che stabiliva l'obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica per i bambini al di sotto dell'anno di età. La declaratoria di incostituzionalità riguardava la mancata previsione di un'equa indennità a carico dello Stato in caso di danno derivante da contagio o da altra malattia dipendente da vaccinazione obbligatoria.
La ratio della legge n. 210/1992 è chiara. Lo Stato, attraverso la previsione dell'obbligatorietà di talune vaccinazioni, impone ai cittadini una compressione del diritto alla libera autodeterminazione in ordine ai trattamenti sanitari. Tale imposizione viene attuata in nome degli indubbi benefici per l'intera collettività e su quest'ultima devono dunque essere traslate le conseguenze negative eventualmente derivanti dalle vaccinazioni. L'obbligo vaccinale è pertanto controbilanciato da meccanismi che consentono un'assistenza minima per coloro che subiscono danni a causa di tali trattamenti.
L'indennizzo previsto dalla legge in esame consiste in un assegno mensile vitalizio o, in caso di morte, in un assegno una tantum da erogare ai familiari del soggetto deceduto. La legge n. 229/2005 ha riconosciuto un ulteriore indennizzo in favore sia dei soggetti danneggiati, sia dei congiunti che prestino al danneggiato assistenza in maniera prevalente o continuativa.
Le somme erogate sono inferiori a quelle normalmente liquidate dai tribunali a titolo di danno biologico. Del resto, mentre il risarcimento ha la finalità di ripristinare la situazione preesistente al danno, l'indennizzo ha una mera funzione riparatoria.
L'indennizzo viene infatti corrisposto nei casi previsti dalla legge, quando un comportamento autorizzato dall'ordinamento, quindi non antigiuridico, comporta un danno a terzi. Si tratta dunque di una misura di solidarietà sociale, avente funzione riparatoria, che non è necessariamente commisurata all'entità del pregiudizio subito.
Il soggetto legittimato passivo in caso di controversia per il riconoscimento dell'indennizzo è il Ministero della salute (e non le Regioni, come chiarito da recente giurisprudenza), al quale deve essere indirizzata la relativa domanda e che si occupa della procedura amministrativa di riconoscimento dei requisiti.
Gli interventi della Corte costituzionale
Il campo di applicazione della legge n. 210/1992 è stato progressivamente esteso a seguito di molteplici interventi della Corte costituzionale.
Infine, con la recentissima sentenza n. 268/2017, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la legge n. 210/1992 nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo per coloro che abbiano subito un danno alla salute a seguito della vaccinazione contro il virus influenzale. La vaccinazione influenzale appartiene alle somministrazioni semplicemente raccomandate dalle autorità sanitarie pubbliche. Tuttavia, secondo la Consulta, poiché tale vaccinazione ha l'obiettivo di assicurare la tutela della salute collettiva, al pari dei vaccini obbligatori, spetta alla collettività sostenere l'onere dell'eventuale pregiudizio individuale, in un'ottica di socializzazione del rischio.
Il risarcimento del danno
La possibilità di ottenere un indennizzo in base alla legge n. 210/1992 non esclude la possibilità, per gli aventi diritto, di percorrere la via risarcitoria e di agire quindi per il risarcimento del danno subito nei confronti del soggetto ritenuto responsabile.
Indennizzo e risarcimento sono infatti ritenuti strumenti alternativi, non concorrenti. Quello italiano è dunque un "sistema misto", che offre sia il tipico rimedio risarcitorio privatistico, sia uno strumento pubblico di più ampia portata.
Secondo la giurisprudenza prevalente, però, non è possibile il cumulo integrale tra le due erogazioni (risarcitoria e indennitaria), nonostante i differenti presupposti, natura e funzioni delle stesse.
Se la scelta della via indennitaria si scontra con il limite del non completo ristoro del danno, questa prevede l'indubbio vantaggio di poter essere perseguita anche in situazioni di assenza di colpa dell'ipotetico responsabile (sia esso lo Stato, il personale medico, il produttore del vaccino).
Per ottenere il risarcimento del danno da vaccinazione, invece, occorre fornire la prova di tutti gli elementi dell'illecito extracontrattuale, ove non sia possibile invocare una responsabilità di tipo contrattuale.
Il contenzioso volto ad ottenere l'indennizzo è dunque di gran lunga prevalente e ciò spiega perché la giurisprudenza sul risarcimento del danno da vaccinazione è piuttosto esigua. La casistica relativa a tale ultima ipotesi, analizzata in giurisprudenza o comunque ipotizzabile in linea teorica, riguarda tre ipotesi principali:
Dibattito giurisprudenziale sulla prova del nesso causale tra vaccinazione e danno alla salute
La possibilità di ottenere un indennizzo in base alla legge n. 210/1992 ovvero un risarcimento in base alle norme di legge eventualmente ritenute applicabili è in ogni caso subordinata alla dimostrazione della sussistenza di un nesso causale tra la somministrazione del vaccino ed il danno patito dal soggetto passivo del trattamento sanitario.
Con riferimento al tema dell'accertamento in concreto della sussistenza di siffatto nesso, occorre innanzitutto domandarrsi se lo standard probatorio richiesto sia il medesimo in caso di azione volta ad ottenere l'indennizzo e di azione volta ad ottenere il risarcimento.
Alcune pronunce di merito propendono, nel primo caso, per un'attenuazione del suddetto standard in ragione del fatto che indennizzo e risarcimento sono istituti diversi, aventi funzioni diverse. Secondo tale giurisprudenza, poichè l'indennizzo avrebbe una funzione assistenziale e di solidarietà sociale, e non risarcitoria, un accertamento troppo rigoroso del nesso di causalità priverebbe il danneggiato di quel minimo di tutela offerto dalla legge n. 210/1992, vanificando così la funzione stessa dell'istituto in esame.
In verità, la Corte costituzionale ha escluso in alcune sue pronunce la natura assistenziale dell'indennizzo, individuandone il fondamento nell'art. 32 Cost. e non nell'art. 38 Cost. In assenza di una specifica previsione di legge, non pare peraltro possibile, in caso di contenzioso avanti al giudice civile, utilizzare criteri di accertamento del nesso di causalità diversi da quelli elaborati dalla giurisprudenza nel campo della responsabilità civile. Siffatti criteri, oltretutto, da tempo mirano a gestire il tema dell'eventuale incertezza eziologica in chiave probabilistica, e non certo assoluta.
La differenza tra indennizzo e risarcimento risiede dunque, al di là del quantum monetario, nel fatto che la legge n. 210/1992 ha introdotto un sistema di indennizzo no-fault, che prescinde dall'individuazione del soggetto responsabile e dall'accertamento della colpa imputabile allo stesso. A parte questo, come detto, non è previsto un doppio binario per l'apprezzamento del nesso causale.
La posizione della Suprema corte
Prescindendo dalle motivazioni che animano l'acceso dibattito tra favorevoli e contrari alle vaccinazioni, è indubbio che la valutazione del nesso di causalità per il danno da vaccini sia generalmente più complicata rispetto agli altri farmaci.
Molti vaccini vengono infatti somministrati una sola vola e in modo combinato; pertanto le informazioni relative al dechallange (cosa succede quando il trattamento viene sospeso) e al rechallenge (cosa succede quando il farmaco viene risomministrato) sono spesso carenti o addirittura inesistenti. Da un punto di vista scientifico la valutazione del nesso di causalità tra farmaco e reazione avversa si basa proprio sulle informazioni di cui sopra, oltre che sulla sussistenza di altri elementi (quali l'intervallo tra somministrazione e insorgenza della reazione, la presenza di fattori predisponenti o concomitanti, la presenza di altri trattamenti potenzialmente responsabili dell'evento e la plausibilità biologica), che però possono essere meno significativi.
Vediamo dunque qual è la posizione della Corte di cassazione in ordine all'accertamento della causalità in ambito vaccinale.
La Suprema Corte - pronunciatasi varie volte sul tema nel corso del solo 2017 (sentenze nn. 2684, 18358, 24959, 25119, 26875, 29583) - ha stabilito che l'indagine sul nesso causale deve essere condotta secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, ispirato al principio del "più probabile che non", che regola la causalità materiale in ambito civile.
Il Giudice di legittimità ha richiamato nelle summenzionate decisioni i principi stabiliti dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 581/2008 ed ha pertanto ribadito che la causalità materiale (o di fatto) è regolata sia in sede penale che civile dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, con applicazione però di differenti regoli probatorie e standard di certezza probatoria: quello dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" in sede penale e quello della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non" in sede civile.
Il criterio civilistico del "più probabile che non" non deve però essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (cd. probabilità quantitativa), ma deve essere verificato riconducendone il grado di fondatezza all'ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (cd. probabilità logica).
Il processo di accertamento del nesso causale deve dunque articolarsi in due fasi. Una prima fase volta alla ricostruzione della c.d. causalità generale secondo leggi scientifiche o massime di esperienza, in una prospettiva ex ante (lacausalità generale consente infatti di stabilire un collegamento tra due tipi di eventi secondo il quale, in una data popolazione e in un dato momento storico, il verificarsi di un certo tipo di evento rende più probabile il verificarsi di un evento di altro tipo) e una seconda fase volta invece a ricostruire la c.d. causalità individuale o specifica, cioè a confermare l'ipotesi generale in riferimento al caso concreto, in una prospettiva ex post.
Il dato di partenza per stabilire l'eventuale sussistenza del nesso causale è pertanto sempre di carattere scientifico, ma anche la seconda fase vede normalmente il coinvolgimento di un consulente tecnico d'ufficio. Non è però vero che l'accertamento della sussistenza del nesso causale sia rimesso integralmente alle valutazioni del consulente tecnico, poiché spetta comunque al giudice formulare un giudizio di tipo qualitativo rispetto ai dati prettamente statistici raccolti nel processo.
In applicazione dei suddetti principi, la Cassazione ha rigettato la pretesa risarcitoria o indennitaria nei casi in cui il giudice di merito era giunto alla conclusione che la somministrazione del vaccino costituisse solo un'ipotesi possibile del danno successivamente verificatosi, non rappresentando la mera possibilità un rilevante grado di probabilità scientifica.
È stata così respinta la richiesta di indennizzo avanzata dal padre per la sindrome autistica contratta dal figlio in seguito alla terapia vaccinale somministrata al minore, ritenendo che la scienza medica non consente, allo stato, di ritenere superata la soglia della mera possibilità teorica della sussistenza di un nesso di causalità tra la suddetta patologia e la vaccinazione antipolio (Cass. civ., n. 18358/2017). Decidendo un altro caso riguardante il nesso causale tra sindrome autistica e vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia, la Cassazione ha ritenuto immune da censure la sentenza di merito che aveva escluso la sussistenza di tale nesso rilevando, sulla scorta delle opinioni dei consulenti d'ufficio, che la sindrome in esame si manifesta nei primi tre anni di età del bambino e che, pertanto, la contiguità tra vaccinazione e patologia autistica, ravvisata dalle parti appellanti come ulteriore prova del nesso causale tra l'una e l'altra, dovesse ritenersi del tutto casuale, posto che la vaccinazione venne eseguita nel medesimo periodo di vita in cui insorge la malattia (Cass. civ., n. 12821/2016). Anche la Corte di giustizia ha recentemente trattato il tema della causalità vaccinale, giungendo a conclusioni parzialmente diverse dalla Cassazione e proponendo - secondo alcuni - un'audace interpretazione di tale controversa questione.
Con la sentenza 21 giugno 2017, C-621/15, infatti, la Corte di giustizia ha considerato compatibile con la direttiva 85/374/CEE in materia di responsabilità per danno da prodotto difettoso un regime probatorio (adottato, nella specie, dalla Francia) fondato su presunzioni, secondo il quale, quando la ricerca medica non stabilisca né escluda l'esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l'insorgenza della malattia, la sussistenza del nesso di causalità tra il difetto attribuito al vaccino e le lesioni subite dal danneggiato possa considerarsi dimostrata in presenza di taluni indizi fattuali.
Il caso sottoposto alla Corte di giustizia riguardava un'azione risarcitoria intrapresa da un cittadino francese affetto da sclerosi multipla per i danni provocati, secondo la tesi dallo stesso sostenuta, da un ciclo di vaccinazioni contro l'epatite B, effettuato pochi mesi prima dell'insorgenza della malattia.
I giudici di Lussemburgo hanno ritenuto che, in mancanza di consenso scientifico, il nesso di causalità tra il difetto del vaccino e la patologia insorta possa essere provato tramite un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti, quali le eccellenti pregresse condizioni di salute del danneggiato, l'assenza di precedenti familiari e il collegamento temporale tra la somministrazione del vaccino e la comparsa della patologia.
La portata innovativa della decisione in esame è tuttavia temperata da altri principi affermati nella medesima sentenza.
Innanzitutto, secondo la Corte di giustizia i giudici nazionali devono comunque assicurarsi che l'applicazione concreta che essi danno al regime probatorio in esame non conduca a violare l'onere della prova dettato dall'art. 4 della direttiva 85/347, nè ad arrecare pregiudizio all'effettività del regime di responsabilità istituito da tale direttiva.
Rispondendo poi alla seconda questione posta dalla Suprema corte francese, la Corte di giustizia ha osservato che la sussistenza di un nesso di causalità tra difetto del vaccino e danno non possa sempre considerarsi dimostrata dalla mera sussistenza di indizi fattuali predeterminati di causalità.
Rifuggendo da presunzioni probatorie di tipo assoluto, la Corte europea lascia pertanto al responsabile (nella specie il produttore del vaccino) la possibilità di produrre elementi di fatto e di far valere argomentazioni, anche di carattere scientifico, favorevoli alla propria posizione.
Occorre in ogni caso osservare che la Corte di giustizia non è competente ad interpretare il diritto nazionale: spetta solamente ai giudici nazionali determinare l'esatta portata delle disposizioni legislative dello stato di appartenenza, anche in tema di prova.
In conclusione
Il tema dell'onere probatorio occupa una posizione centrale nel sistema della responsabilità civile poichè incide direttamente sulla possibilità, per il danneggiato, di ottenere la tutela approntata dall'ordinamento.
Aprire la strada a prove indiziarie o indirette del nesso di causalità significa inevitabilmente accantonare il metodo scientifico o quantomeno indebolirne la rilevanza. Il fatto che due avvenimenti accadano in sequenza non significa necessariamente che esista una correlazione causale tra gli stessi. Per dimostrare tale correlazione in ambito medico e farmacologico la scienza ricorre alla statistica, ai trail clinici controllati, alle indagini epidemiologiche su ampia scala, ecc.
Il pericolo non è solo sul piano concettuale. Riconoscere l'esistenza di un nesso causale eziologico tra vaccino e danno sulla base di presunzioni o meri indizi (quantunque gravi, precisi e concordanti) significa infatti espandere la sfera risarcitoria, e il relativo contenzioso, con possibili conseguenze, tra le altre, sulla tenuta stessa del sistema previdenziale-assicurativo. Senza contare che ciò potrebbe addirittura disincentivare l'attività di produzione e distribuzione dei vaccini (e potenzialmente dei farmaci, ai quale è sempre collegata la possibilità di reazioni avverse, anche gravi).
Anche se da tempo si assiste a quello che alcuni autori hanno suggestivamente denominato "vaporizzazione" del nesso causale, pare che la Corte di cassazione continui a gestire la problematica del nesso causale in ambito vaccinale e farmaceutico sempre ponendo il metodo scientifico alla base del riconoscimento dell'eventuale indennizzo o risarcimento |