03 Novembre 2023

Può verificarsi che un immobile sia posseduto (o detenuto) da un soggetto senza che costui ne abbia titolo (vale a dire, giustificazione giuridica). Tale situazione che viene definita di «occupazione abusiva», può articolarsi secondo due differenti modalità: a) occupazione abusiva in senso stretto, che si verifica quanto il titolo non è mai esistito; b) occupazione abusiva in senso lato, che riguarda l'ipotesi in cui il titolo, esistente ab origine, è successivamente venuto meno. La fattispecie, com'è intuibile, coinvolge direttamente le problematiche relative ai rimedi processuali che l'ordinamento attribuisce all'avente diritto...

Inquadramento

L'occupazione abusiva o sine titulo è la condizione di chi si trova, in conseguenza di fatti di diversa natura, nel possesso o nella detenzione di un bene immobile altrui senza averne alcun titolo giustificativo opponibile, di regola, al proprietario, e quindi in difetto di jus possidendi o del diritto a detenere il bene: come accade, per esempio, per l'intervenuta scadenza del rapporto di locazione o di comodato o per accordi intervenuti in sede di separazione tra coniugi relativi alla disponibilità della casa coniugale. Sul punto, va sinteticamente precisato che, a determinate condizioni, può essere oggetto di tutela anche lo jus possessionis e cioè il diritto a mantenere, in via cautelare, il possesso a prescindere dalla sua origine, in forza del tradizionale principio secondo il quale spoliatus ante omnia restituendus. In ogni caso, stabilire quale sia l'origine di tale condizione di occupazione abusiva è necessario al fine di individuare quali siano le conseguenze giuridiche e l'ambito della tutela del diritto a ottenere la disponibilità del bene.

Le fattispecie vanno dalla condizione di chi si introduce all'interno di un immobile altrui con o senza violenza su cose e persone ma senza il consenso di colui che può disporne, al caso del conduttore o del comodatario che non intendano rilasciare l'appartamento in cui abitano nonostante la cessazione del rapporto locativo o di comodato. In dottrina, si usa distinguere l'occupazione abusiva in senso stretto che difetta di titolo giuridico fin dall'inizio, dall'occupazione abusiva in senso più ampio che si verifica nel caso di sopravvenuta cessazione di efficacia del titolo (al possesso o alla detenzione) esistente ab origine.

Tipologie

La prima categoria (“in senso stretto”) comprende le situazioni in cui sia inesistente ab origine un titolo giustificativo della detenzione o del possesso, sono effetto di impossessamento dell'immobile, non necessariamente clandestino o violento, in assenza del consenso, espresso o tacito di chi può disporne, come il proprietario. In tale condizione si trovano a titolo di esempio, oltre alle occupazioni realizzate con la materiale apprensione dell'immobile e quindi con comportamenti violenti, intimidatori o clandestini, gli eredi non conviventi del defunto conduttore che mantenessero la disponibilità dell'immobile contro la volontà del locatore, pur non succedendo de jure nel rapporto locativo (art. 6 l. n. 392/1978); ovvero colui che intendesse avvalersi della cessione, non consentita, di un rapporto di locazione da parte del conduttore, anche in questo caso in assenza del consenso del locatore (art. 1406 c.c.), così come colui che si trovasse a disporre di un immobile in assenza e prima della stipulazione del contratto di locazione, poi non avvenuta per mancato accordo.

Alla seconda categoria di occupazioni (“in senso lato”) appartengono gli occupanti il cui titolo di detenzione o di possesso, medio tempore, è venuto meno, come accade quando il conduttore, il comodatario, il portiere del fabbricato per quanto concerne l'appartamento di servizio, si rifiutino di lasciare l'immobile dopo la scadenza pattuita nel contratto di locazione (o di comodato) e contro la volontà del proprietario.

I rimedi processuali

La descritta distinzione tra diversi tipi di occupazione non rileva sotto il profilo soggettivo dell'occupante, quanto, piuttosto, ai rimedi ai quali il soggetto danneggiato (quindi generalmente il proprietario) può ricorrere.

Nel caso di occupazioni fin dall'inizio sine titulo, al proprietario dell'immobile sono concessi, oltre le tradizionali azioni possessorie (ai sensi degli artt. 1168, e ss. c.c. e degli artt. 703, e ss. c.p.c.) quando ne sussistano i presupposti (e alle quali è legittimato anche il detentore qualificato come il conduttore: cfr. Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2002, n. 6221; Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1997, n. 2028), due rimedi processuali ordinari, potendo agire in rivendicazione ex art. 948 c.c., facendo valere in tal caso il suo jus possidendi, oppure procedendo con un'azione di rilascio, o restituzione.

In evidenza

Le due azioni hanno natura e presupposti diversi. Secondo la giurisprudenza, con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario del bene e, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga onde conseguirne nuovamente il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà o di usufrutto dal quale discende il diritto a possedere (c.d. jus possidendi); con la seconda azione, di natura personale, l'attore mira a ottenere il riconoscimento del suo diritto al possesso o alla detenzione della cosa, e quindi ad ottenere la riconsegna del bene a tutela del suo jus possessionis, a seguito alla dimostrazione della sua relazione con la cosa e della negazione di qualsiasi titolo dell'occupante al mantenimento della disponibilità del bene occupato (Cass. civ, sez. II, 23 dicembre 2010, n. 26003; Cass. civ., sez. II, 24 giugno 2014, n. 14325). L'azione dovrà essere proposta secondo il rito ordinario o sommario di cognizione (ex art. 702-bis, ss., c.p.c. ora, a seguito della c.d. riforma Cartabia, procedimento semplificato di cognizione di cui agli artt. 281-decies ss. c.p.c., introdotti dal d.lgs. n. 149/2022). In particolari fattispecie (esistenza di un contratto preliminare di locazione) si è ritenuto applicabile l'art. 447-bis c.p.c. (Cass. civ., sez. I16 gennaio 2003 ,n. 581), e quindi il rito in materia di locazioni che richiama il processo in materia di lavoro e previdenza, più celere e concentrato del rito ordinario.

In quest’ordine di concetti, di recente, si è chiarito (Cass. civ., sez. III, 23 giugno 2023, n. 18050), che la domanda con cui l'attore chieda di accertare la natura abusiva dell'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico originariamente idoneo a giustificare la consegna della cosa e la relazione di fatto tra questa ed il medesimo convenuto, dà luogo a un'azione di rivendicazione, non potendo qualificarsi alla stregua di azione personale di restituzione, neppure in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all'attore prima del verificarsi dell'abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare - al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dall'ordinamento - un'azione di spoglio ormai impraticabile.

Le due azioni si distinguono dunque per petitum e per la causa petendi, e diverso è il regime quanto alla mediazione obbligatoria, alla competenza e al riparto degli oneri probatori.

Con riguardo alla mediazione obbligatoria, l'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010, prevede l'obbligo del procedimento di mediazione laddove si voglia «esercitare in giudizio un'azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari». Ne deriva che la promozione del procedimento di mediazione/conciliazione è necessaria per l'azione di rivendicazione data la sua natura reale, ma non per l'azione di restituzione.

In ordine alla competenza territoriale, per le azioni di natura reale ai sensi dell'art. 21 c.p.c., trova applicazione il criterio del luogo ove si trova l'immobile (forum rei sitae), mentre per le azioni di natura personale la competenza per territorio si determina in applicazione degli artt. 18, 19 e 20 c.p.c., salve l'ipotesi di cui al comma 2 dell'art. 18.

Quanto all'onere probatorio, le differenze fra azione di rivendicazione e azione di ripetizione si fanno più marcate in quanto colui che afferma di essere il proprietario non solo dovrà provare che è divenuto tale in base ad un valido titolo di acquisto, ma anche che ha ricevuto il diritto da chi era effettivamente legittimato a disporne e, per far questo, l'attore dovrà superare l'ostacolo della cosiddetta probatio diabolica, dovendo dimostrare la continuità di coloro che hanno disposto del diritto, risalendo fino al primo il quale, a titolo originario, abbia acquisito il diritto reale costituente il presupposto della domanda, salvi gli effetti della usucapione in favore di alcuno degli esponenti.

Invece nell'azione di restituzione non è necessario adempiere a tale rigoroso onere, essendo sufficiente che l'attore dimostri la sua qualità di titolare del diritto di possedere anche ricorrendo a documenti non direttamente probatori, quali le certificazioni catastali, la denuncia di successione, atti di compravendita o donazione anche se non risalenti al ventennio antecedente (nel quale potrebbe essersi maturato il termine di usucapione in favore dell'attore).

Legittimato passivo dell'azione di restituzione di immobile di natura personale è colui che detiene l'immobile senza alcun titolo, non venendo in contestazione l'accertamento del diritto di proprietà sul bene.

Si è ritenuto ammissibile anche il rimedio cautelare possessorio previsto dall'art. 703 c.p.c., al fine di ottenere una tutela immediata quando il detentore sia stato immesso nella detenzione di un immobile per ragioni di ospitalità dal conduttore, e quando, dopo il rilascio dell'immobile, anche se puramente formale, da parte del conduttore, un ospite di questo rifiuti la restituzione del bene, in tal modo realizzando un atto impeditivo del possesso altrui, opponibile con azione possessoria (Trib. Modena, 5 giugno 2009).

Differenze tra le azioni di rivendicazione e di restituzione: la pronuncia delle Sezioni Unite

In dottrina e in giurisprudenza è controversa la possibilità di intraprendere un'azione di restituzione nei confronti di chi occupa l'immobile in assenza anche originaria di un titolo giustificativo, quando il convenuto, in seguito alla domanda dell'attore che ha esperito un'azione restitutoria, eccepisca di disporre del bene in forza di un diritto reale.

In proposito all'affermazione secondo cui la domanda dell'attore è diretta alla tutela del diritto di proprietà anche se non accompagnata dalla contestuale richiesta di accertamento di tale diritto, si obietta che, anche in presenza di occupazione non fondata da un originario titolo giustificativo, non per questo l'azione può essere ricondotta nell'ambito delle azioni reali, essendo diretta al risarcimento del credito nato dalla lesione del diritto di proprietà, ammesso ex art. 2058 c.c. anche in forma specifica, e dunque mediante il rilascio del bene, che comunque non risarcirebbe il periodo di perdita di disponibilità dell'immobile; ma la riparazione in forma specifica è ammessa anche in parte, se possibile, ex art. 2058, comma 1, c.c. onde resterebbe una parte del danno da risarcire per equivalente.

Secondo un orientamento opposto, tale domanda non potrebbe qualificarsi come restituzione in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della lesione della situazione possessoria esistente in capo all'attore, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare, al di fuori dei limiti entro i quali il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un'azione di spoglio. In caso di occupazione abusiva senza alcun titolo originario il giudice sarebbe dunque tenuto a qualificare l'azione come di rivendicazione.

Con riguardo al secondo profilo, inizialmente la giurisprudenza era concorde nel non riconoscere un mutamento della natura dell'azione, da personale a reale, a seguito all'eccezione del convenuto che contestasse la proprietà del bene in capo all'attore e affermasse di essere proprietario. In primo luogo perché il giudice non ha facoltà di mutare ex officio la causa petendi; in secondo luogo perché l'opinione contraria finirebbe per rendere la contestazione del convenuto uno strumento idoneo a modificare la disciplina dell'onere della prova. Un successivo e diverso orientamento della Corte di Cassazione ha rilevato che la contestazione del convenuto relativa al diritto di proprietà dell'attore, renderebbe oggetto del giudizio l'accertamento del diritto, con la conseguenza che in questo caso, per effetto della eccezione del convenuto, l'azione diverrebbe di rivendicazione e l'onere della prova del diritto di proprietà si riverserebbe sull'attore.

In seguito poi all'ennesimo revirement dei giudici di legittimità, che in alcune pronunce sono tornati ai principi originari, è intervenuta una pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione.

Al di fuori del giudizio possessorio non si applica il principio tradizionale secondo il quale spoliatus ante omnia restituendus, e dalla sentenza delle Sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 28 marzo 2014, n. 7305) emerge una soluzione di compromesso secondo la quale l'azione diretta ad ottenere la consegna o il rilascio del bene nei confronti di chi ne dispone di fatto, in assenza anche originaria di ogni titolo, deve essere qualificata come azione di rivendicazione e non di restituzione, mentre le eccezioni di carattere petitorio opposte all'azione di rilascio o consegna non valgono ad attribuire alla azione carattere reale.

RIVENDICAZIONE O RESTITUZIONE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Azione di rivendicazione come unico rimedio possibile in caso di carenza originaria dell'occupante del titolo.

La domanda con cui l'attore chieda di dichiarare abusiva e illegittima l'occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, non dà luogo ad un'azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione; né può ritenersi che detta domanda sia qualificabile come di restituzione, in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all'attore prima del verificarsi dell'abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare, al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un'azione di spoglio.(Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 2013, n. 705; Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2005, n. 14135).

Azione di restituzione possibile anche in caso di mancanza originaria del titolo

La domanda di restituzione di un bene, fondata sull'arbitraria disponibilità materiale da parte del convenuto, non accompagnata dalla contestuale richiesta di accertamento del diritto reale di proprietà su di esso, esula dall'ambito delle azioni reali (Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2009, n. 1929).

La contestazione del convenuto è idonea a modificare la natura dell'azione

Nel caso di azione diretta ad ottenere il rilascio di un immobile occupato senza titolo o a titolo precario, la contestazione del diritto di proprietà dell'attore, anche se effettuata dal convenuto con la deduzione di un suo contrastante diritto reale allo scopo di far respingere la domanda, trasforma l'azione personale in azione reale, dal momento che il giudice deve decidere sulla sussistenza del diritto di proprietà vantato da una parte e negato dall'altra (Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2006, n. 11774; Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1998, n. 5397; Cass. civ., sez. II, 26 settembre 1991, n. 10073).

La contestazione del convenuto non è idonea a modificare la natura dell'azione

La difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione, non è idonea a trasformare in reale l'azione personale proposta nei suoi confronti, atteso che, per un verso, la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta, per altro, la semplice contestazione del convenuto non costituisce strumento idoneo a determinare l'immutazione, oltre che dell'azione, anche dell'onere della prova incombente sull'attore, imponendogli, una prova ben più onerosa - la probatio diabolica della rivendica - di quella cui sarebbe tenuto alla stregua dell'azione inizialmente introdotta (Cass. civ., sez. VI, 17 gennaio 2011, n. 884; Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2007, n. 4416).

Il rito locatizio nelle occupazioni abusive in senso lato

Le domande di rilascio di immobili detenuti senza titolo in ragione della cessazione di un contratto di locazione, di comodato o di affitto di azienda sono soggette al rito locatizio di cui all'art. 447-bis c.p.c. dal momento che in questo caso la mancanza del titolo non è originaria, essendoci stato in origine un contratto poi risolto o venuto meno per scadenza, ed avendo l'obbligazione di restituzione, natura contrattuale. Si sostiene che il rito locatizio sia applicabile anche nel caso di domanda del conduttore nei confronti del terzo occupante che abbia leso il suo diritto personale di utilizzazione dell'immobile, mentre è comunque da escludere in tutti i casi in cui il rapporto controverso nasca da un contratto avente ad oggetto la disponibilità di un immobile, ma diverso da uno dei tipi individuati nell'art. 447-bis c.p.c., come ad esempio, in caso di contratto di appalto o di deposito, oppure di contratto atipico in natura ricettiva, come (affittacamere, contratti di albergo, pensione, ecc.).

In questi casi, l'illegittimità dell'occupazione consegue, di regola, alla cessazione dell'efficacia del titolo contrattuale che la consentiva, e quindi all'attore farà carico di proporre la domanda perché il giudice disponga tale cessazione (e nel caso più ovvio, l'accertamento della scadenza del contratto).

Di contro, laddove l'attore che non chiede l'accertamento del suo diritto di proprietà e non agisce affermando che il convenuto è possessore del suo bene, ma che lo detiene senza titolo, esercita un'azione personale di restituzione per mancanza originaria o sopravvenuta del titolo e, se la domanda è introdotta con ricorso, fermo restando l'onere dell'attore di dimostrare la ricorrenza degli elementi di fatto della fattispecie legale soggetta al rito prescelto, il convenuto, ancorché ne adduca l'erroneità, ha l'onere di osservare le norme proprie di quel rito, onde evitare di incorrere in decadenze e preclusioni (Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2013, n. 17941: in applicazione del principio, si era confermata la sentenza di merito la quale, sulla base della proposta domanda di rilascio per occupazione senza titolo e della difesa della convenuta in ordine alla concessione dell'immobile all'ex coniuge a titolo di abitazione familiare, aveva qualificato il rapporto in termini di comodato, come tale correttamente assoggettato al rito locatizio, avviato dagli attori con ricorso, con conseguente inammissibilità della domanda riconvenzionale non proposta entro il termine di cui all'art. 418 c.p.c.).

Il risarcimento del danno

In caso di occupazione abusiva il proprietario potrà ottenere, oltre alla restituzione del bene occupato, anche il risarcimento del danno conseguente alla mancata disponibilità dell'immobile, comunemente indicato anche come indennità di occupazione.

Si dibatte in giurisprudenza e in dottrina se il danno consegua alla stessa illegittima occupazione ovvero se dall'occupazione senza titolosorga automaticamente il diritto al risarcimento del danno per l'indisponibilità del bene e per l'impossibilità di conseguire la relativa utilità, e il danno sussista in re ipsa, senza necessità di fornirne la prova.

La disputa ha origini risalenti perché in altri tempi (vigente il regime del c.d. “equo canone” ex lege n. 392/1998) era frequente la permanenza nell'alloggio dei conduttori pur dopo la scadenza dei contratti delle locazioni abitative, in quanto, in talune zone del territorio nazionale definite a «tensione abitativa», il compimento della procedura di esecuzione forzata per rilascio richiedeva anni. In tal caso, la Suprema Corte, richiamando l'applicazione dell'art. 1591 c.c. in favore dell'ex locatore, fu ferma nel richiedere la puntuale dimostrazione del danno, quale perdita di occasioni di locazione o di impossibilità di uso diretto (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2000, n. 645)

Si ritiene che, nel caso di occupazione illegittima di un immobile, il danno subito dal proprietario sia in re ipsa, discendendo dalla perdita della disponibilità del bene, normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile, sicché costituisce una presunzione iuris tantum e la liquidazione può essere operata dal giudice sulla base di presunzioni semplici, con riferimento al c.d. danno figurativo, quale il valore locativo del bene usurpato (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2021, n. 39; Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2016, n. 16670; Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2015, n. 20823; Cass. civ., sez. III, 16 aprile 2013, n. 9137).

In sostanza, accertata l'occupazione sine titulo, il giudice, laddove sia stata proposta domanda risarcitoria, non potrebbe negare tale diritto, né escluderne la prova, se del caso liquidando il danno ricorrendo a criteri di comune esperienza o alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. Non si potrebbe dunque mai escludere il lucro cessante, corrispondente al ricavo possibile dalla locazione dell'immobile (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2011, n. 5028).

Secondo un diverso orientamento invece, è stata ribadita la distinzione fra danno-evento ovvero il danno inteso in senso naturalistico, integrante la lesione di un bene tutelato dall'ordinamento da parte della condotta illegittima, e danno-conseguenza ossia il danno inteso in senso giuridico come conseguenza del fatto dannoso derivante dalla condotta lesiva (cfr. Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974 e 26975).

Sulla base di queste premesse il danno patrimoniale sarebbe diverso dall'evento dannoso consistente nell'occupazione dell'immobile, e sarebbe risarcibile solo eliminando la conseguenza dannosa che tale evento lesivo abbia in concreto determinato nel patrimonio del proprietario, con il relativo onere per l'attore di provare l'esistenza e l'entità di tali conseguenze. In base a questa impostazione si nega dunque la sussistenza di una presunzione in base alla quale, dimostrata l'occupazione sarebbe dimostrato anche il danno da risarcire, dovendo l'attore adempiere anche all'onere della prova di una specifica lesione del patrimonio, consistente per esempio nel non aver potuto dare in locazione il bene ai soggetti interessati, nella perdita di occasioni di vendita, nella mancata utilizzazione dell'immobile diretta e personale, avendone giustificata esigenza. Dunque non sarebbero risarcibili i danni lamentati dal proprietario che non abbia mostrato interesse all'utilizzazione dell'immobile, dovendosi distinguere, forse troppo sottilmente (Cass. civ., sez. II, 7 agosto 2012, n. 14222) tra disinteresse non intenzionale derivato da cause di forza maggiore, e disinteresse intenzionale che esclude la presunzione dell'esistenza di un danno. Questa distinzione tra danno in re ipsa e danno da provare in caso di occupazione abusiva, che presupporrebbe una indagine sulle concrete e ragionevoli possibilità di di impiego e di reddito dell'immobile disponibile e quindi di chances nel patrimonio del danneggiato pregiudicate dalla occupazione, è in parte superata da una recente pronuncia di legittimità (Cass. civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18494) che, confermando una risalente identica interpretazione, esclude il danno in re ipsa, ma afferma che la prova della lesione patrimoniale potrà emergere anche da presunzioni semplici, quali, per esempio, l'esistenza di un mercato locativo in grado di assorbire l'offerta.

Stante il contrasto emerso sul punto tra i giudici di legittimità, è intervenuto, di recente, il massimo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2022, n. 33659), il quale offerto interessanti soluzioni spendibili nelle aule giudiziarie in materia di allegazione e prova a carico dell’attore, anche alla luce del contegno processuale tenuto dal convenuto.

In particolare, le Sezioni Unite enunciano i seguenti principi di diritto applicabili nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo: a) il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da “perdita subita” è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta; b) se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato; c) il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da “mancato guadagno” è lo specifico pregiudizio subìto, come quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato.

Si chiarisce così la portata, eminentemente pratica, delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto”, emerse nella recente giurisprudenza di legittimità, le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, ad una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva.

Quanto alla prescrizione del diritto al risarcimento ex art. 2947 c.c., trattandosi di illecito permanente ove il comportamento lesivo non si esaurisce uno actu ma ha carattere di continuità fino a quando l'immobile viene rimesso nella disponibilità del proprietario, il diritto al risarcimento del danno sorge con l'inizio del fatto illecito generatore di danno e si rinnova nel tempo giorno per giorno (de diem in die) a mano a mano che il danno si verifica (Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2007, n. 5831), onde ex art. 2935 c.c. il dies a quo della prescrizione decorre giorno per giorno. Si ammette tuttavia (Cass. civ., sez. I, 1 agosto 2003, n. 11711) che, nel caso di contestazione relativa alla legittimità dell'occupazione, il dies a quo possa coincidere con il passaggio in giudicato della sentenza che ha affermato l'illegittimità, come elemento integratore della fattispecie.

Da segnalare la giurisprudenza di merito (App. Firenze, 26 marzo 2015, n. 526) secondo cui, in caso di dichiarazione di nullità di un contratto di locazione abitativo (per esempio, per carenza di forma scritta, per mancata registrazione ex art. 1, comma 346, l. n. 311/2004 o ex art. 3, commi 8 e 9, d.lgs. n. 23/2011, istituzione della cedolare secca, o per violazione dell'art. 13, l. n. 431/1998), il locatore oltre alla restituzione dell'immobile ha diritto, ai sensi dell'art. 2041 c.c., ad un'indennità correlata all'arricchimento del conduttore ed al suo correlativo impoverimento per la perdita, durante l'occupazione, della disponibilità del valore locativo dell'immobile, in tal modo prescindendo da qualsiasi profilo soggettivo della vicenda e quindi dalla colpa e dal dolo dell'occupante.

Le occupazioni illegittime della Pubblica Amministrazione

L'acquisizione da parte dello Stato di beni (nel caso di beni immobili) può avvenire mediante espropriazione per pubblica utilità (d.P.R. n. 327/2001), ovvero mediante occupazione d'urgenza, per assicurarsi la disponibilità immediata dell'immobile, per ragioni di pubblica utilità o pubblico interesse, e infine mediante requisizione per motivi militari, di pubblica sicurezza, di igiene, di pubblica incolumità.

Nella corrente prassi amministrativa, alla dichiarazione di pubblica utilità (il cui termine di efficacia entro il quale può essere disposto il provvedimento ablativo è quinquennale) l'Amministrazione espropriante ha interesse ad anticipare la disponibilità dell'immobile disponendone l'occupazione urgente, con previsione di una indennità correlata alla indennità di espropriazione che è pari, tendenzialmente, al valore venale del bene.

Le controversie in ordine alle indennità di occupazione e di espropriazione, appartengono alla competenza esclusiva della Corte d' appello in primo grado (o del Tribunale delle acque in caso di beni immobili collegati con acque pubbliche; eccezionalmente, quali giudici di primo grado).

La Pubblica Amministrazione può trovarsi in condizione di occupante abusivo, nel caso, ad esempio, di revoca o annullamento, giurisdizionale o in autotutela, per illegittimità originaria del provvedimento che ha disposto l'occupazione in vista della espropriazione (art. 22-bis, d.P.R. n. 327/2001), ovvero quando in assenza di provvedimenti, la Pubblica Amministrazione abbia occupato di fatto un fondo e ne abbia cagionato l'irreversibile trasformazione realizzandovi l'opera pubblica (occupazione acquisitiva, in passato anche accessione invertita), con l'effetto di acquisire la proprietà dell'area occupata e di corrisponderne il valore venale al proprietario.

La giurisprudenza distingue in proposito tra inesistenza o nullità originaria del decreto di dichiarazione di pubblica utilità, ovvero di sopravvenuta scadenza dello stesso senza emanazione del provvedimento di esproprio.

L'occupazione espropriativa, che rappresenta una patologia del procedimento espropriativo, caduta sotto le ripetute censure dell'ordinamento comunitario e ora decisamente in calo, è stata disciplinata dall'art. 43 del d.P.R. n. 327/2001 che ne ha tipizzato le conseguenze e resa sanabile, convertendola in una sorta di espropriazione a posteriori. Va, sul punto, evidenziato che la giurisprudenza comunitaria aveva da tempo affermato che la mancanza di una norma specifica disciplinante l'acquisizione sanante del bene da parte della P.A. era contraria al principio di legalità (CEDU, 30 maggio 2000, n. 24638/94).

In ogni caso, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla azione possessoria promossa dal privato destinatario di un atto della Pubblica Amministrazione la quale abbia agito iure privatorum, alla dichiarata tutela del proprio patrimonio immobiliare disponibile (Cass. civ., sez. un., 20 luglio 2015, n. 15155).

D’altronde, anche in passato, si era statuito (Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2004, n. 21099) che la domanda di reintegrazione nel possesso proposta da un privato nei confronti di un Comune, prospettando di avere subìto uno spossessamento in mancanza dell’adozione di un provvedimento amministrativo adottato per fini di pubblica utilità e, quindi, facendo valere una posizione di diritto soggettivo (ius possessionis) e deducendo un mero comportamento materiale della P.A., non connesso neppure implicitamente all'esercizio di poteri d'imperio, deve ritenersi riservata alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi degli artt. 2 ss. della l. n. 2248/1865, all. E, in quanto la regola generale stabilita in materia di riparto di giurisdizione non è stata derogata nella materia edilizia e urbanistica dall'art. 34, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 80/1998 - nel testo anteriore alla modifica introdotta dall'art. 7 della l. n. 205/2000, applicabile nella specie ratione temporis, stante l'irretroattività di quest'ultima norma - poiché la Corte costituzionale, con la sentenza n. 281/2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 34, commi 1 e 2, citato, nella parte in cui aveva istituito una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di edilizia e urbanistica, anziché limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, con pronuncia che ha riconosciuto la rilevanza della questione di illegittimità costituzionale sollevata sulla norma nel testo originario, anche dopo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle disposizioni che la hanno sostituita (Corte cost. sent. n. 204/2004).

Le occupazioni abusive di interi fabbricati

Per completezza, è opportuno fare un cenno alle occupazioni collettive, abusive e organizzate, di interi immobili (che si verificano soprattutto nelle grandi città e costituiscono evidente conseguenza di situazioni di disagio abitativo alle quali non si pone alcun concreto rimedio), relativamente alle quali l'art. 11 del d.l. n. 14/2017 (in materia di sicurezza urbana, convertito con l. n. 48/2017), ha codificato la competenza dei prefetti, di fatto già esercitata, nel ruolo di coordinatori degli sgomberi degli immobili occupati, attribuendo loro la facoltà di graduare, cioè di rallentare l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali di sgombero in relazione ad esigenze di ordine pubblico.

Si prospetta pertanto di nuovo la questione, ampiamente dibattuta in passato con riferimento alla esecuzione di singoli provvedimenti di sfratto, della legittimità dell'intervento della autorità amministrativa nell'attuazione dei provvedimenti della autorità giudiziaria, e quali siano i relativi limiti costituzionali.

Peraltro, la Consulta ha avuto modo di precisare che è costituzionalmente illegittimo - per contrasto con l'art. 24, comma 1. Cost. - l'art. 1 bis del d.l. 19 giugno 1997 n. 172, aggiunto dalla legge di conversione 25 luglio 1997 n. 240, che interpreta autenticamente gli artt. 3 e 5 del d.l. 30 dicembre 1988 n. 551, convertito, con modificazioni, dalla l. 21 febbraio 1989 n. 61, nella parte in cui prevede che il prefetto possa determinare il differimento della singola esecuzione forzata (cfr. Corte Cost., 24 luglio 1998, n. 321).

Tuttavia il citato art. 11 del d.l. n. 14/2017 non si è limitato ai suddetti effetti, ma ha anche inciso (in misura rilevante) sul diritto al risarcimento dei soggetti danneggiati (generalmente i proprietari degli immobili occupati) del cui patrimonio fa parte il relativo ristoro ex art. 2043 c.c.

Infatti, il comma 3 di detta norma stabilisce che «l'eventuale annullamento, in sede di giurisdizione amministrativa, dell'atto con il quale sono state emanate le disposizioni di cui al comma 1, può dar luogo, salvi i casi di dolo o colpa grave, esclusivamente al risarcimento in forma specifica, consistente nell'obbligo per l'amministrazione di disporre gli interventi necessari ad assicurare la cessazione della situazione di occupazione arbitraria dell'immobile».

Non è chiaro se la norma si riferisca soltanto a pretese risarcitorie nei confronti della Pubblica Amministrazione, come parrebbe dal richiamo all'annullamento dei provvedimenti amministrativi che avessero impedito o limitato il recupero degli immobili occupati, ovvero se la norma si applichi anche agli occupanti, come non sembra, i quali pertanto risponderanno senza alcuna limitazione. Fatto sta che la riduzione legale autoritativa del diritto al risarcimento nei confronti di un soggetto che potrebbe essere responsabile, si traduce in una lesione del diritto alla integrità patrimoniale del danneggiato, garantito dall'art. 42 Cost.

Riferimenti

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