Contenzioso instaurato ante fallimento: il curatore deve costituirsi?

Matteo Lorenzo Manfredi
Laura Gandolfi
23 Maggio 2018

In riferimento a procedimenti di contenzioso civile instaurati contro la società fallita precedentemente alla dichiarazione di fallimento, il curatore deve necessariamente costituirsi? Lo può fare direttamente o con l'ausilio di un legale?

In riferimento a procedimenti di contenzioso civile instaurati contro la società fallita precedentemente alla dichiarazione di fallimento, il curatore deve necessariamente costituirsi? Lo può fare direttamente o con l'ausilio di un legale?

L'art. 43 l.fall. prevede che “nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in giudizio il curatore” e al secondo e terzo comma, per quanto qui ci occupa, rispettivamente, che “il fallito può intervenire nel giudizio solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico o se l'intervento è previsto dalla legge” e che “l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo”.

Detti commi sono rimasti sostanzialmente immutati rispetto alla riforma del 2006 di talché, anche nel vigore della nuova disciplina riformata, il fallito perde la legittimazione processuale, fatta salva la residuale possibilità del fallito di intervento “solo per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico” o “se l'intervento è previsto dalla legge”. La dottrina prevalente ritiene che la tipologia di intervento cui la norma si riferisce con l'inciso “se l'intervento è previsto dalla legge” sia quella dell'intervento adesivo dipendente (v. Vella, commento sub art. 43 l. fall., in La legge fallimentare, a cura di Massimo Ferro, Padova, 2014, 608; in termini Parisi, commento sub art. 43 l. fall., in Commentario alla legge fallimentare diretto da Cavallini, Milano, 2010, 901). Nello stesso senso è anche la giurisprudenza di legittimità, per cui “il fallito può svolgere attività processuale unicamente nei limiti dell'intervento ex art. 43, secondo comma, legge fall., cioè per le questioni dalle quali può dipendere un'imputazione di bancarotta a suo carico, o nei limiti dell'intervento adesivo dipendente” (v. Cass. 14 maggio 2012, n. 7448).

Con il fallimento, quindi, si assiste ad una sostituzione processuale della procedura nella posizione del fallito senza che ciò, però, comporti un obbligo della Curatela di coltivare i giudizi pendenti alla data di fallimento, che si interrompono e per effetto dell'intervenuta declaratoria di fallimento (ad eccezione dei giudizi pendenti – alla data di fallimento – in sede di legittimità, dominati dall'impulso d'ufficio): interruzione rilevabile d'ufficio senza necessità di una dichiarazione di parte (Corte d'Appello di Roma, 19 gennaio 2018 secondo cui: “a seguito della dichiarazione di fallimento di una parte processuale si determina l'interruzione del processo ex art. 43, comma 3, L.F. il quale dispone, infatti, un'ipotesi di interruzione ex lege del processo rilevabile d'ufficio dal giudice senza necessità di particolari formalità e, dunque, anche a seguito di acquisizione della notizia del fallimento”; conforme in punto: Corte d'Appello di Bologna, ordinanza 2 febbraio 2018).

Il Curatore quindi potrà, anzi dovrà, valutare – nell'interesse dei creditori – se e quali giudizi pendenti alla data di fallimento ritiene di dover coltivare, residuando la possibilità per il fallito di agire personalmente in giudizio in sostituzione della Curatela, solo in caso di inerzia del Curatore che si sostanzi in un vero e proprio disinteresse e non una scelta processuale del di quest'ultimo.

La Corte di Cassazione in punto, richiamati precedenti conformi, ha infatti statuito che “la dichiarazione di fallimento, pur non sottraendo al fallito la titolarità dei rapporti patrimoniali compresi nel fallimento, comporta, a norma dell'art. 43 l.fall., la perdita della sua capacità di stare in giudizio nelle relative controversie, spettando la legittimazione processuale esclusivamente al curatore. Se, però, l'amministrazione fallimentare rimane inerte, il fallito conserva, in via eccezionale, la legittimazione ad agire per la tutela dei suoi diritti patrimoniali, sempre che l'inerzia del curatore sia stata determinata da un totale disinteresse degli organi fallimentari e non anche quando consegua ad una negativa valutazione di questi ultimi circa la convenienza della controversia” (Cassazione, 6 Luglio 2016, n. 13814).

Qualora invece il Curatore voglia riassumere un giudizio pendente alla data di fallimento dovrà farlo, previa autorizzazione ex art. 25 l.fall., mediante un legale all'uopo incaricato, salvo si tratti di controversie promosse avverso atti del giudice delegato o del tribunale fallimentare e nei giudizi per i quali le parti, secondo la disciplina comune, possanostare in giudizio senza l'assistenza di un difensore (a titolo esemplificativo e non esaustivo in caso di controversie avanti al Giudice di Pace il cui valore non eccede euro 1.100, nelle controversie tributarie di valore inferiore a Euro 2.582,28): ciò in virtù della norma di cui all'art. 82 c.p.c.-

Il Curatore quindi, in tutti gli altri casi, dovrà munirsi di un difensore e ciò anche qualora egli stesso sia un avvocato, come previsto dalla legge fallimentare.

La Legge fallimentare infatti espressamente prevede, all'art. 31, che il Curatore “non può stare in giudizio senza l'autorizzazione del giudice delegato, salvo che in materia di contestazioni e di tardive dichiarazioni di crediti e di diritti di terzi sui beni acquisiti al fallimento, e salvo che nei procedimenti promossi per impugnare atti del giudice delegato o del tribunale e in ogni altro caso in cui non occorra ministero di difensore. Il curatore non può assumere la veste di avvocato nei giudizi che riguardano il fallimento”.

È importante sottolineare che, laddove il fallimento reputi che la prosecuzione del giudizio risponda all'interesse della massa dei creditori, il Curatore dovrà attivarsi celermente, posto che la sentenza dichiarativa di fallimento, in un contesto di conoscenza della pendenza della lite, integra momento di conoscenza “legale” dell'evento interruttivo da cui decorre ex art. 303 c.p.c. il termine trimestrale per la riassunzione del processo civile interrotto (con conseguente rischio di estinzione del giudizio medesimo in difetto di tempestiva riassunzione).

Resta naturalmente inteso che tale disciplina, che presuppone la normale proseguibilità dei giudizi in sede ordinaria, non riguarda le azioni dei terzi aventi ad oggetto l'accertamento di crediti verso il fallito o di diritti su beni del fallito, relativamente alle quali opera lo speciale rito della verifica del passivo avanti al giudice delegato ai sensi degli artt. 52 e 93 e ss. l.fall.