Contratto a termine nella PA e contrattazione collettiva: sulla durata del rapporto di lavoro prevale la volontà della seconda

Marta Filippi
24 Maggio 2018

In base al principio per cui lex specialis derogat generali, valevole anche nel rapporto con le disposizioni di natura collettiva, laddove l'autonomia privata individui nel contratto a termine un tetto massimo temporale, tra proroghe e rinnovi, differente da quello previsto dalla disciplina legale, la prima prevale sulla volontà normativa.
Massima

In base al principio per cui lex specialis derogat generali, valevole anche nel rapporto con le disposizioni di natura collettiva, laddove l'autonomia privata individui nel contratto a termine un tetto massimo temporale tra proroghe e rinnovi differente da quello previsto dalla disciplina legale, la prima prevale sulla volontà normativa.

Ne consegue quindi, che, nel caso in cui tale limite temporale sia stato individuato dalle parti collettive, anche se inferiore a quello previsto dalle disposizioni di legge, la sua inosservanza comporta la nullità della clausola di apposizione del termine.

Il caso

Con ricorso ex art. 414 c.p.c., una lavoratrice conveniva in giudizio la P.A. affinché fosse condannata alla costituzione di un contratto di lavoro a tempo determinato, previo accertamento dell'illegittimo scorrimento di una graduatoria di merito formatasi a seguito di un pubblico avviso finalizzato al conferimento di incarichi temporanei di collaboratore sanitario professionale a cui ricorrere sia nel caso di conferimento di incarichi temporanei che per le sostituzioni di personale assente a qualsiasi titolo.

Fondava le sue richieste parte ricorrente deducendo di essere stata assunta con un contratto a termine della durata di 8 mesi e successivamente con un altro della stessa durata e contestando quindi la scelta dell'amministrazione di contrarre un nuovo rapporto di lavoro con colleghi presenti in graduatoria in una posizione inferiore alla sua.
A sostegno delle sua tesi veniva invocata, infine, ratione temporis, l'applicazione dell'art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001 norma che prevedeva la possibilità di prorogare, una sola volta, il contratto a termine della durata inferiore a tre anni purché la durata complessiva del rapporto non superi i 36 mesi.

Si costituiva, pertanto, la resistente invocando l'applicazione della specifica disciplina contenuta nel CCNL di settore, sostenendo la correttezza dello scorrimento della graduatoria per l'attribuzione degli incarichi a tempo determinato al fine di non superare il terminemassimo previsto per la proroga dei contratti a termine, fissato nel caso di specie, in un numero di mesi inferiori a 36 pena l'illegittimità dello stesso conferimento.

La questione

La questione giuridica sottesa al caso di specie consiste nell'individuazione della specifica fonte normativa applicabile all'ipotesi in questione attraverso l'utilizzo dei criteri sull'interpretazione presenti nell'ordinamento giuridico.

Sul tema in oggetto si intersecano infatti varie fonti normative che a più livelli insistono sul tema, ovvero costituzionale, legale e pattizio.

Le soluzioni giuridiche

In materia di contratto a termine alle dipendenze della P.A., l'orientamento della giurisprudenza sull'impossibilità di convertire in tempo indeterminato un rapporto di lavoro nato a temine stipulato in violazione delle norme imperative dettate in materia è ormai granitica.

Tuttavia, l'art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 ha introdotto uno specifico regime sanzionatorio volto alla responsabilizzazione della dirigenza pubblica e che garantisca il risarcimento del danno ai lavoratori lesi.

Tale preambolo appare fondamentale per comprendere la ratio che ha ispirato il legislatore, anche alla luce dei principi costituzionali, ovvero quella consistente nella necessità di limitare il ricorso al contratto a tempo determinato a specifiche ipotesi e, in ogni caso, di rispettarne i limiti, anche di durata.

Per quanto attiene al settore sanitario le disposizioni del CCNL (nello specifico quelle della contrattazione collettiva nazionale integrativa del CCNL del 7 aprile 1999) permettono la stipula di un solo contratto a termine per la temporanea copertura di posti vacanti nei singoli profili professionali per un periodo massimo di otto mesi disponendo, tuttavia, ai sensi dell'art. 2, L. n. 230/1962, un'eccezionale proroga dello stesso per un periodo massimo di ulteriori otto mesi qualora questa sia dovuta ad esigenze contingenti ed imprevedibili.

In tema di rinnovo del contratto a termine la disciplina collettiva prevede, invece, la possibilità per il lavoratore di essere assunto con un ulteriore contratto a termine.

Il medesimo articolo prescrive infine la nullità delle proroghe o dei rinnovi dei contratti a termine effettuati al dì fuori delle specifiche previsioni contenute nella fonte di natura collettiva, la quale, come afferma il Tribunale di Isernia, costituisce la lex specialis a cui deve far riferimento la P.A. datrice di lavoro nel caso specifico.

Nè appare invocabile quanto disposto dell'art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001 che pone quale tetto di durata massimo del contratto a termine il limite dei 36 mesi, poiché tale previsione va necessariamente raccordata con quella di cui alla contrattazione collettiva di settore che, non contenendo nessun rinvio alla prima, ne prescrive al contrario una disciplina specifica e come tale da reputarsi inderogabile per la P.A.

Osservazioni

La sentenza in commento appare interessante poichè affronta la questione del rapporto tra fonti normative e contrattazione collettiva in materia di contratto a termine.

Ora lo specifico settore sanitario si è dotato di una contrattazione collettiva ovvero quella integrativa al CCNL del 1999 che, ai sensi della L. n. 56/1987, ha previsto specifiche ipotesi di assunzione a termine regolamentandone anche la durata massima.

In tali casi il Tribunale di Isernia ha sancito in coerenza con l'orientamento maggioritario di legittimità la prevalenza della normativa di natura contrattuale rispetto alla fonte legale.

Più in generale la sentenza in commento rappresenta un significativo spunto di riflessione relativamente all'intrecciarsi di varie fonti normative che insistono sul tema a più livelli.

Primo riferimento è da rinvenirsi nel dettato costituzionale il quale sancisce il noto principio dell'accesso ai pubblici uffici tramite concorso al fine di garantire l'imparzialità ed il buon andamento nonché l'efficacia e l'efficienza dell'attività amministrativa.

Per tali motivi la legge ha disposto all'art. 36 del D.Lgs. n. 165/2001 i presupposti giuridici, i limiti e le forme nella quale la P.A. può ricorrere all'uso di contratti a tempo determinato nonché il relativo regime sanzionatorio in caso di violazione della normativa di specie.

Tuttavia, il quadro normativo va esteso anche al D.Lgs. n. 368/2001, attualmente abrogato dal D.Lgs. n. 81/2015, entrambi norme che pur intervenendo in materia di contratto a termine nel settore del rapporto di lavoro privato hanno trovato e trovano tuttora applicazione anche nei confronti dei datori di lavoro pubblici. In tale contesto si muove poi la contrattazione collettiva a cui la legge ha attribuito il potere di derogarla in determinate ipotesi.

Il giudice pertanto interviene disegnando una sorta di gerarchia tra le norme in base al criterio della specialità.

Attualmente lo stesso D.Lgs. n. 81/2015, pur riscrivendo la disciplina del contratto a termine nel settore pubblico, all'art. 19 nel disciplinare la durata massima del rapporto di lavoro a tempo determinato frutto di una successione di contratti fa salva la competenza derogatoria della contrattazione collettiva. Anche in questa ipotesi vederemo se nel settore pubblico l'autonomia privata sarà in grado di dare attuazione a tale norma e con quali previsioni. C'è da aspettarsi solo norme finalizzate ad uno sforamento dei 36 mesi o troveranno spazio anche disposizioni tese a limitare tale tetto temporale?

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