Il concordato minore nel sovraindebitamento

25 Maggio 2018

In materia di sovraindebitamento del debitore non fallibile la scelta del legislatore delegato, come emerge dalla bozza di decreto attuativo licenziata dalla Commissione Rordorf, è stata quella di promuovere una disciplina unitaria degli strumenti di regolazione della crisi che, in particolare, colloca nel medesimo capo in cui sono trattati accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo la nuova figura del concordato minore, destinato ai soggetti sovraindebitati non consumatori.
Premessa

In materia di sovraindebitamento del debitore non fallibile la scelta del legislatore delegato, come emerge dalla bozza di decreto attuativo licenziata dalla Commissione Rordorf, è stata quella di promuovere una disciplina unitaria degli strumenti di regolazione della crisi che, in particolare, colloca nel medesimo capo in cui sono trattati accordi di ristrutturazione dei debiti e concordato preventivo la nuova figura del concordato minore, destinato ai soggetti sovraindebitati non consumatori.

Il concordato minore prende così il posto, nell'idea riformatrice, dell'attuale accordo per la composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinato in particolare dagli artt. 10, 11 e 12 della L. n. 3/2012 e succ. modd., legge a sua volta destinata ad essere integralmente assorbita da una regolamentazione, come detto, unitaria della crisi, estesa ai soggetti non fallibili (rectius non liquidabili).

I principi

Può essere utile, prima di passare all'esame del concordato minore, ricordare i principi contenuti nella Legge delega n. 155/2017 in materia di sovraindebitamento.

Posta una più generale esigenza di reductio ad unitatem di tale forma di composizione della crisi rispetto a quelle previste tradizionalmente per i soggetti fallibili, è in particolare l'art. 9 della legge delega a dettare alcuni principi innovativi cui è chiamato ad attenersi il legislatore e rispetto ai quali, pertanto, si verificherà la traduzione in testo normativo nell'ambito del decreto delegato.

Si possono in questa sede così ricordare i seguenti punti programmatici fondamentali:

  • estensione della disciplina sul sovraindebitamento ai soci illimitatamente responsabili;
  • introduzione di procedimenti fra loro necessariamente coordinati, anche in un'ottica di contenimento dei costi, quando siano coinvolti più membri di una stessa famiglia;
  • attribuzione di forme di priorità e di incentivazione a quelle procedure che siano rivolte a preservare la continuazione dell'attività svolta dal debitore;
  • introduzione di una forma di esdebitazione una tantum preceduta da liquidazione al debitore meritevole, pur senza utilità da destinare ai creditori;
  • previsione espressa che nel piano del consumatore si renda possibile la ristrutturazione di debiti accompagnati da cessione del quinto dello stipendio o della pensione o da operazioni di prestito su pegno;
  • approfondimento della relazione dell'OCC in ordine alla verifica se i soggetti finanziatori abbiano o meno censito il merito creditizio del debitore al momento del prestito;
  • esclusione dall'accesso alle procedure a coloro che si sono già esdebitati nei cinque anni precedenti o che si siano esdebitati due volte od in caso di frode accertata;
  • previsione di misure protettive iniziali modellate su quelle previste nel concordato preventivo;
  • riconoscimento della possibilità di accesso ad una procedura liquidatoria anche in pendenza di esecuzione forzata individuale;
  • introduzione dell'esdebitazione delle persone giuridiche;
  • previsione di misure sanzionatorie, anche di natura processuale, a carico dei creditori che abbiano colpevolmente contribuito ad aggravare la situazione di sovraindebitamento;
  • attribuzione ai creditori ed al P.M. dell'iniziativa volta ad imporre la conversione di una delle altre procedure di ristrutturazione in procedura liquidatoria, nei casi di frode o inadempimento.
Il concordato minore: una scelta non solo lessicale

La scelta del decreto delegato di denominare l'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, per il debitore non consumatore, quale concordato minore non è il frutto di una decisione estemporanea o eccentrica rispetto al sistema.

Da un lato essa si riconduce a quel più ambizioso e generale obiettivo della riforma di tracciare una disciplina unitaria dei diversi strumenti di composizione della crisi; dall'altro, essa riflette la natura sostanziale dell'istituto così denominato, in una linea ideale di continuità con la tradizione occidentale del nomen omen, tradotto nel mondo giuridico sin dalle Istituzioni di Giustiniano con il celebre adagio nomina sunt consequentia rerum.

In effetti, come si era avuto modo di notare anche in questo portale (DI MARZIO, La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, in questo portale), se l'iniziale formulazione della legge prevedeva la possibilità di proporre ai creditori un accordo di ristrutturazione che avrebbe vincolato, secondo il generale principio posto dall'art. 1372 c.c., da un lato il debitore e dall'altro i singoli creditori aderenti all'accordo, lasciando intatte le posizioni dei creditori estranei all'accordo, le modifiche apportate all'impianto di tale legge dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, avevano delineato un vero e proprio concordato di dimensioni minori rispetto a quello preventivo previsto dalla legge fallimentare, ma certo non per questo meno complesso.

L'impianto della legge n. 3 così modificato, infatti, prevedeva, come nel concordato preventivo (artt. 160 e ss l.fall.):

  • un principio di atipicità della proposta di soluzione della crisi e soddisfacimento dei creditori;
  • la possibilità di operare una falcidia dei crediti privilegiati, in termini non peggiorativi rispetto ad un'alternativa liquidatoria;
  • una fase di ammissione alla procedura;
  • un voto secondo maggioranza riservato al ceto chirografario od alla parte incapiente dei crediti privilegiati (od a coloro che avessero rinunciato alla causa di prelazione);
  • un organo della procedura;
  • forme di pubblicità della proposta ed un procedimento di omologazione, destinato a dare rilievo erga omnes al risultato della votazione, a sua volta ispirata al principio del “silenzio assenso”.

In altri termini, il sistema normativo vigente ha dato luogo ad una vera e propria procedura concorsuale, con la conseguente possibilità, non priva di effetti pratici, di poter ricorrere analogicamente alla disciplina del concordato per colmare talune lacune normative presenti.

La riforma, quindi, da questo punto di vista del tutto condivisibilmente, elimina il riferimento, forse fuorviante, all'accordo (che come si è detto costituiva un retaggio della versione originaria della legge Centaro), per adottare in modo del tutto coerente con la disciplina positiva la denominazione di concordato minore, con riguardo allo strumento destinato al debitore non consumatore e non liquidabile che voglia procedere ad una ristrutturazione del debito e proporre ai creditori forme di soddisfacimento destinate al superamento dello stato di sovraindebitamento.

Il concordato minore articolo per articolo: sistematica e disposizioni di carattere generale

Le disposizioni in tema di sovraindebitamento non sono tutte riunite in un'unica sezione o capo del testo del decreto delegato, ma, in ossequio a quella che è una direttiva di fondo del testo normativo in itinere, le norme sono raggruppate in relazione ai diversi tipi di strumento di soluzione della crisi, preferendo perciò una sistematica per omogeneità di istituti (al di là della dimensione o dei requisiti soggettivi di accesso) piuttosto che, come era stato per la Legge n. 3/2012 e le successive novelle, una specialità ratione materiae (a sua volta identificata dal presupposto oggettivo del sovraindebitamento e dal presupposto soggettivo della non assoggettabilità ad altre procedure concorsuali).

Ritroviamo perciò al Capo III intitolato “Procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, contenuto nel Titolo IV “Strumenti di regolazione della crisi”, tre distinte sezioni: quella degli artt. 69-71 relativa alle disposizioni di carattere generale; quella degli artt. 72-78 riservata alla ristrutturazione dei debiti del consumatore; quella, infine, degli artt. 79-88 specificamente dedicata al concordato minore, qui oggetto di analisi più specifica.

La “vecchia liquidazione del patrimonio” del soggetto sovraindebitato non segue immediatamente a queste disposizioni, ma la relativa disciplina si trova all'interno del Titolo V, relativo alla “Liquidazione giudiziale” e, più in particolare, al Capo IX, sotto la rubrica “Liquidazione controllata del sovraindebitato” (artt. 273-281). Di interesse per questa materia (ed anzi manifestazione tangibile di una delle finalità di fondo di questi strumenti) è anche la disciplina della esdebitazione, contenuta nel successivo Capo X, Sezione II, intitolata “Esdebitazione di diritto e del sovraindebitato”.

La disciplina processuale è invece delineata, secondo un rinvio in termini di compatibilità con le forme semplificate di questi strumenti, al precedente Titolo III (artt. 29-59), che costituisce il contenitore del modello processuale unitario di accertamento della crisi e dell'insolvenza, per quanto non specificamente derogato in relazione al singolo istituto.

Prima di affrontare le specifiche disposizioni sul concordato minore va, inoltre, sottolineato come nelle disposizioni di carattere generale siano contenuti alcuni principi di notevole importanza.

L'art. 69, in primo luogo, oltre al rinvio per quanto non previsto e nei limiti di compatibilità alle disposizioni processuali del già citato Titolo III, afferma esplicitamente che la procedura spiega i propri effetti anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili e che la proposizione di una domanda di ammissione al concordato minore o di omologazione dell'accordo di ristrutturazione dei debiti del consumatore produce l'effetto automatico di sospensione delle procedure esecutive individuali, sino alla omologazione, salvo che il giudice non disponga diversamente.

L'estensione degli effetti ai soci illimitatamente responsabili di cui parla la norma sembra riguardare gli effetti indiretti prodotti dalla composizione della crisi della società (evidentemente sotto soglia e non liquidabile) sul patrimonio dei suoi soci illimitatamente responsabili, secondo un meccanismo analogo a quello previsto dalla vigente disciplina in tema di concordato preventivo, ai sensi dell'art. 184, comma 2,l.fall.

Il tema del sovaindebitamento del singolo socio illimitatamente responsabile non viene in questa sede direttamente affrontato. Si ricorda che allo stato attuale tale possibilità è fortemente contestata, dovendosi distinguere fra un indirizzo restrittivo che non ammette la soluzione della crisi, alla luce del possibile fallimento in estensione del socio (art. 147 l.fall.) ed altro orientamento più liberale che la consente, ritenendo tale effetto soltanto indiretto e secondario della pronuncia di fallimento riguardante la società. In realtà il nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza dà a questo quesito, in ossequio ad uno dei principi direttivi della legge delega, una risposta positiva, che va ricercata in sede di “definizioni” contenute all'art. 2 ove si legge che “si considerano consumatori anche le persone fisiche che siano soci delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, con esclusivo riguardo ai debiti estranei a quelli sociali”.

Si deve perciò ritenere, sia pure con valutazione che qui si esprime a prima lettura delle norme di nuovo conio, che il legislatore delegato abbia inteso risolvere la crisi “di impresa” del socio illimitatamente responsabile quale effetto indiretto della composizione del sovraindebitamento della società di cui è partecipe, secondo il citato meccanismo introdotto dall'art. 69, co. 3, lasciando invece la possibilità di accesso autonomo del socio a queste procedure soltanto laddove miri a superare una crisi riguardante i propri debiti non professionali: in altri termini, egli può soltanto agire in modo diretto come consumatore, laddove il sovraindebitamento riguardi debiti assunti con tale qualifica. Nel caso in cui il suo indebitamento concerna (come appare probabile) entrambe le categorie di debiti, si tratterà di coordinare una procedura di concordato minore della società non fallibile di cui è socio, dei cui effetti si gioverà, con un ulteriore ed autonomo procedimento riguardante l'accordo di ristrutturazione dei sui debiti assunti quale consumatore. Coordinamento che potrebbe presentare qualche difficoltà laddove, come pure non è da escludere, la competenza territoriale delle due procedure sia diversa (ad es. quando la residenza del socio non si trovi nello stesso luogo della sede dell'impresa).

Decisamente innovativa anche la regola della sospensione automatica delle procedure esecutive individuali in caso di semplice proposizione della domanda di omologazione del concordato minore o dell'accordo del consumatore, di cui all'art. 69, comma 4, l.fall., posto che nella disciplina vigente tale effetto si consegue soltanto con l'ammissione alla procedura (art. 10, co. 2, lett. c), per l'attuale accordo di composizione della crisi e art. 14-quinquies, comma 2, lett. b), per la liquidazione), ovvero addirittura con uno specifico provvedimento adottato in sede di fissazione dell'udienza per la omologazione del piano del consumatore (art. 12 bis della cit. L. 3/2012). Se l'effetto è perciò destinato ad essere anticipato ed a divenire comunque automatico, va però segnalato che lo stesso riguarda le procedure esecutive, non occupandosi la nuova norma dei sequestri conservativi o provvedimenti cautelari che, semmai, dovranno costituire l'oggetto di una specifica richiesta di adozione di misure protettive.

Anche l'art. 70 del decreto riveste una certa importanza, essendo rivolto a disciplinare le procedure di sovraindebitamento familiare e collegate, secondo i principi fissati nella legge delega del necessario coordinamento nella distinzione delle masse attive e passive individuali. Si tratta di una norma che è destinata ad operare soprattutto con riguardo alla procedura di ristrutturazione dei debiti del consumatore ed al cui commento pertanto si rinvia, non mancando tuttavia di evidenziare la criticità del comma 6 di tale disposizione, laddove si afferma che “il garante può presentare un piano o un concordato, a seconda della natura del debitore garantito”, posto che la Corte di Giustizia UE ha negli ultimi anni avviato un percorso di superamento della definizione della natura del fideiussore in base a quella del debitore principale garantito (cfr. ordinanza 14/09/2016 - Causa C-534/15; in precedenza anche l'ordinanza del 19/11/2015, causa C-74/15), per valorizzare piuttosto la finalità imprenditoriale o professionale perseguita rispetto a situazioni in cui il fideiussore, per non essere parte della compagine societaria o dell'organo amministrativo della società garantita, si muove su un piano consumeristico in senso lato. Ci si permette, per brevità, di rinviare su questi punti al nostro precedente scritto (FAROLFI, Sovraindebitamento: le novità della riforma, in questo portale).

L'art. 71 si limita, infine, con norma che rileva anche rispetto al concordato minore, a stabilire che le procedure di composizione delle crisi previste al Capo III si svolgono a cura degli organismi di composizione della crisi di sovraindebitamento (OCC), attualmente disciplinati dal D.M. 24/09/2014, n. 202, cui la norma continua a rinviare.

Segue: il procedimento

L'art. 79 rappresenta la plastica traduzione in precetto normativo della più generale direttiva, contenuta nella Legge delega n. 155/2017, di favore per le soluzioni della crisi che assicurano la continuità aziendale e la prosecuzione dell'attività di impresa o comunque professionale del debitore sovraindebitato. Anche qui, come più incisivamente l'art. 89 in tema di concordato preventivo, si nota una evidente graduazione, nel senso che il debitore non consumatore, incluso il professionista, può in linea di principio soltanto proporre ai creditori un concordato minore che consenta la prosecuzione della propria attività economica. Rispetto alla disciplina del concordato preventivo vanno sottolineate due differenze:

  • manca l'indicazione di una percentuale minima per la versione liquidatoria del piano concordatario;
  • è previsto che un concordato minore di contenuto liquidatorio sia possibile soltanto “se contempla l'apporto di apprezzabili risorse esterne”, di cui la norma non si cura di precisare l'entità.

Da tale differenza di disciplina si può ricavare l'idea di fondo che in materia di sovraindebitamento non sia prevista una percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari, che dovrà essere volta per volta individuata dall'OCC ed apprezzata dal giudice secondo una tendenziale esclusione di quelle sole soluzioni che garantiscano ai creditori un soddisfacimento del tutto apparente o epidermico. Non pare infatti possibile, ad avviso dello scrivente, in presenza di una norma che nulla dispone al riguardo, applicare il plafond minimo del 20% previsto in materia di concordato preventivo liquidatorio a questo strumento di soluzione della crisi da sovraindebitamento. Invece, chi scrive propende per la possibilità di applicare analogicamente l'art. 89, stante in questo caso l'eadem ratio ed una compatibilità di disciplina. In particolare, l'art. 89, comma 4, prevede che tale soglia di apprezzabilità consista in un aumento del 10% del soddisfacimento dei creditori chirografari altrimenti assicurato dalle sole risorse interne concordatarie e tale soglia, analogicamente, potrebbe applicarsi anche nel concordato minore. Aumento del 10% che va visto in senso relativo e non assoluto: ossia il grado significativo di apporto esterno ricorre quando la “nuova finanza” permette di passare in modo proporzionale ad un miglioramento del soddisfacimento del 10% e non quando ciò introduce un aumento “secco” di tale percentuale (così ad es. l'apporto è apprezzabile quando permette di passare dal 10% almeno all'11% - posto che l'1% di aumento è un decimo del soddisfacimento assicurato da risorse interne – non richiedendosi un aumento dal 10% al 20%).

Il procedimento vero e proprio inizia con il deposito della proposta di concordato minore, che deve avere un contenuto specifico e non generico, sia nella tempistica che nelle modalità di superamento della crisi, pure se l'elaborazione del piano resta aperta e la proposta atipica (afferma l'art. 80 che “il piano ha contenuto libero e può preveder la soddisfazione, anche parziale, dei crediti attraverso qualsiasi forma”).

Degno di nota, il carattere sempre facoltativo della previsione di classi di creditori, a differenza del concordato “maggiore” nel quale l'art. 90, comma 2, lett. b), prevede ben sei ipotesi di classi obbligatorie. Tale scelta più libera è peraltro consustanziale all'idea di una maggiore semplicità del concordato destinato a risolvere la crisi da sovraindebitamento. Nella stessa linea la previsione secondo cui la figura dell'attestatore è in questo caso sempre facoltativa.

Il contenuto della proposta è delineato al comma 2 dell'art. 80, richiedendo l'allegazione di numerosi documenti ed indicazioni del tutto simili a quelle già ora previste dalla disciplina della L. 3/2012.

Un po' singolare appare la diminuzione del periodo temporale richiesto per la indicazione degli atti di straordinaria amministrazione precedentemente compiuti, che passa dal quinquennio al semplice biennio. Indicare gli atti compiuti nell'ultimo quinquennio si spiegava con la coincidenza di tale periodo con il termine di eventuale proposizione di azioni revocatorie ordinarie da parte dei creditori che fossero stati pregiudicati e che, per ipotesi, scoprissero dalla proposta l'esistenza dell'atto impugnabile. Il passaggio alla indicazione di tali atti per il solo biennio precedente alla proposta va senza dubbio nella direzione di generale semplificazione ma, forse, non è del tutto coerente con la possibilità di svolgimento di un'azione revocatoria ancora tempestiva e tale da mettere in dubbio la stessa fattibilità del piano. La prassi potrà eventualmente demandare all'OCC la indicazione di elementi aggiuntivi al riguardo, la cui richiesta non sembra preclusa.

La proposta va formulata per il tramite dell'OCC costituito nel circondario del tribunale competente e deve contenere una relazione particolareggiata di tale organismo, concernente:

a) le cause di indebitamento e diligenza impiegata dal debitore nell'assunzione delle obbligazioni;

b) le ragioni dell'incapacità del debitore di adempiere;

c) gli atti del debitore eventualmente impugnati dai creditori;

d) la valutazione della completezza ed attendibilità della documentazione fornita;

e) la indicazione dei tempi e costi del procedimento;

f) la percentuale, le modalità ed i tempi di soddisfacimento dei creditori;

g) ove adottate, la indicazione dei criteri impiegati per la formazione di classi.

La relazione deve altresì indicare la diligenza seguita da eventuali finanziatori nella valutazione del merito creditizio del debitore, tenuto conto del suo reddito disponibile e di quanto necessario a mantenere un dignitoso tenore di vita (quest'ultimo si presume pari al doppio dell'indice ISEE, grazie al rinvio operato all'art. 287, comma 2).

La proposta è inammissibile, oltre che nel caso di incompletezza della documentazione, per carenza dei requisiti dimensionali di accesso (ossia superamento delle attuali soglie di fallibilità), ovvero quando il debitore è già stato esdebitato nei cinque anni precedenti la domanda o per due volte, nonché nei casi di frode accertata.

Una volta avvenuto il deposito della proposta, il successivo iter procedimentale ricalca quello attualmente previsto agli artt. 10 e ss. L. 3/2012 per l'accordo di composizione della crisi del debitore non fallibile diverso dal consumatore. Entro 30 gg. dal deposito il giudice dichiara aperto il procedimento e dispone la comunicazione ai creditori della proposta e del decreto (art. 83 comma 1). Il decreto dispone la sua pubblicazione sul sito internet del Tribunale e, nel caso in cui il debitore svolga attività di impresa, anche nel registro delle imprese; se il piano contempla beni immobili o mobili registrati il decreto dispone altresì la sua trascrizione presso gli uffici competenti; inoltre, il provvedimento assegna un termine non superiore a 30 gg. ai creditori, al fine di far pervenire all'OCC la propria adesione o mancata adesione, ed eventuali contestazioni; dispone infine – sino alla omologazione – il blocco delle azioni esecutive, sequestri e diritti di prelazione sul patrimonio del debitore, salvo che per i titolari di crediti impignorabili.

La maggioranza necessaria per l'approvazione del concordato minore passa al superamento del 50% dei crediti (a differenza del 60% attualmente previsto) e, come oggi, va calcolata sui crediti chirografari, compresa la quota incapiente dei crediti privilegiati o quella derivante da rinuncia totale o parziale alla prelazione. Sono previste alcune esclusioni dal voto legate all'esistenza di rapporti fra il creditore ed il debitore proponente.

L'art. 84, comma 3, ribadisce, nonostante la lettera del precedente art. 83, comma 2, lett. c), la regola del “silenzio assenso”, tale per cui in assenza di comunicazione all'OCC si reputa che i creditori abbiano prestato consenso alla proposta.

Il provvedimento di omologazione prevede la preventiva verifica circa la fattibilità del piano e l'effettivo raggiungimento della maggioranza dei crediti consenzienti. Il riferimento espresso alla necessaria verifica della fattibilità sembra comportare che il giudice si debba occupare dell'effettiva attuabilità del piano, anche in difetto di opposizione, eventualmente richiedendo informazioni ulteriori all'OCC o svolgendo approfondimenti, anche istruttori.

Compiute tali verifiche, si pongono due possibilità:

  • in assenza di opposizioni, il giudice omologa il concordato minore con sentenza che va idoneamente pubblicizzata e trascritta (si reputa al riguardo sufficiente la reiterazione delle modalità previste dall'art. 83);
  • invece, nel caso di opposizione, l'omologa, data con il medesimo provvedimento della sentenza, dovrà decidere l'opposizione stessa; quando questa sia proposta per ragioni di convenienza, inoltre, il giudice può omologare il concordato soltanto se lo stesso consente un soddisfacimento del credito dell'opponente in misura non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria.

L'art. 85, comma 4, ricollega una sanzione processuale al creditore che abbia consapevolmente o colposamente concorso a determinare il sovraindebitamento: egli, infatti, non può presentare opposizione o reclamo in sede di omologazione, né può far valere cause di inammissibilità, salvo il caso che derivino da comportamenti dolosi del debitore. Si comprende a questo proposito l'importanza dell'approfondimento nella relazione dettagliata dell'OCC del comportamento tenuto da eventuali soggetti finanziatori, ove non abbiano compiuto una istruttoria adeguata e non abbiano correttamente apprezzato il merito creditizio del debitore, contribuendo in tal modo al sovraindebitamento; tali finanziatori “negligenti” potrebbero trovarsi con le armi “spuntate” nel corso della procedura, non potendo opporsi alla sua omologazione salvo il caso di frode da parte del debitore.

L'esecuzione del piano è infine demandata allo stesso OCC dall'art. 86, il quale organismo interpella il giudice soltanto in caso di eventuali difficoltà. Di interesse, la previsione espressa secondo cui il debitore è tenuto a collaborare nell'esecuzione del piano e la previsione di un rendiconto finale e della liquidazione del compenso da parte del giudice. L'eventuale risoluzione del concordato, per mancato adempimento dell'OCC alle prescrizioni impartite dal giudice in sede di rendiconto, ovvero per mancata esecuzione o sopravvenuta inattuabilità del piano senza che sia possibile operarne una modifica, esclude l'esdebitazione (qualora l'inadempimento sia imputabile al debitore).

La revoca è invece consentita in caso di frode o falsità, ma non può più essere richiesta decorsi i sei mesi dall'approvazione del rendiconto.

La conversione in liquidazione controllata opera in ogni caso di revoca o risoluzione su istanza del debitore, mentre solo nei casi di frode o inadempimento può essere richiesta anche da un creditore o dal pubblico ministero.

In conclusione

In conclusione, pur dovendosi prendere atto della necessità di attendere, probabilmente, i prossimi mesi prima di poter vedere l'attuazione concreta della nuova riforma, la disciplina sopra riassunta, oltre che la più generale sistematica delle nuove norme (che annoverano la liquidazione controllata in posizione residuale), sembrano comportare una graduazione fra le diverse soluzioni di composizione della crisi per i soggetti non consumatori. Tale gerarchia vede al primo posto il concordato minore con continuità aziendale o professionale; in seconda istanza, e solo se integrato da un apprezzabile apporto di risorse esterne, il concordato minore liquidatorio, in via residuale la liquidazione vera e propria, senza risorse esterne. E' invece sicuramente da salutare con favore il tentativo di reductio ad unitatem degli aspetti procedimentali e l'espressa applicabilità analogica, per quanto non previsto e secondo canoni di compatibilità, sia delle disposizioni sul procedimento unitario di accertamento della crisi e dell'insolvenza, sia della disciplina riguardante il concordato preventivo, vero e proprio fratello “maggiore” di quello appena esaminato.

Guida all'approfondimento

DI MARZIO, La nuova composizione della crisi da sovraindebitamento, in questo portale, 2013; FAROLFI, Sovraindebitamento: le novità della riforma, ivi, 2017; GIORGETTI – NADIN, Il progetto di riforma della disciplina del sovraindebitamento, ivi, 2016; LIMITONE, La nuova procedura di liquidazione giudiziale del sovraindebitato, ivi, 2018.

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