Assegno alterato o pagato a persona diversa dal prenditore: la responsabilità della banca negoziatrice non è “oggettiva”
28 Maggio 2018
Nell'ipotesi di assegno che sia stato trafugato e sottoposto ad alterazione, oppure nell'ipotesi in cui vengano alterati i documenti personali della persona che presenta l'assegno per l'incasso, in modo da farli corrispondere al nome del prenditore dell'assegno, la responsabilità della banca negoziatrice si inquadra nell'ambito della responsabilità contrattuale nello schema del c.d. “contatto sociale” qualificato. Ne consegue che, vertendosi in tema di (in)adempimento contrattuale, non può predicarsi un criterio di responsabilità oggettiva che prescinda del tutto dall'elemento della colpa, ascrivibile all'operatore bancario. Trattandosi di responsabilità di natura contrattuale, la prova dell'esatto adempimento deve essere fornita dalla banca a cui l'inadempimento sia ascritto. La sussistenza della responsabilità deve essere valutata secondo i canoni più rigorosi rispetto a quelli dell'ordinaria diligenza, ossia quella dell'operatore professionale qualificato; la banca risponderà quindi anche per l'ipotesi di colpa lieve.
Questi i principi rinvenibili nella recentissima sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, 21 maggio 2018 n. 12477. Procedendo ad un completo –anche se apprezzabilmente sintetico- excursus storico dell'orientamento giurisprudenziale di legittimità in tema di responsabilità della banca presso cui sia stato negoziato un assegno, bancario o circolare, non trasferibile, le Sezioni Unite manifestano apertamente di voler abbandonare il criterio della responsabilità oggettiva che aveva caratterizzato, più o meno rigorosamente, l'orientamento di legittimità degli ultimi quasi venti anni. La fonte normativa che disciplina la fattispecie è rinvenibile nell'art. 43 r.d. 21 dicembre 1933 n.1736 , il cui comma 1 stabilisce che «l'assegno emesso con clausola di non trasferibilità può essere pagato soltanto al prenditore», per cui il prenditore non può girarlo, se non ad un banchiere per l'incasso. Il comma 2 prosegue espressamente prevedendo che «colui che paga un assegno non trasferibile a persona diversa dal prenditore o dal banchiere giratario per l'incasso risponde del pagamento». In altri termini, da tempo la giurisprudenza ha ritenuto che l'art. 43 l. assegno debba essere letto nel senso che al fine di agevolare l'incasso dell'assegno (assolutamente) intrasferibile, essendo possibile la girata per l'incasso solamente ad un banchiere, costui si sostituisce alla banca trattaria (o alla banca emittente dell'assegno circolare) nell'espletamento del servizio bancario, comprendente all'evidenza anche l'esatta identificazione del prenditore/beneficiario, ed è dunque responsabile per l'ipotesi di inesatto pagamento. Pertanto, promanando direttamente dalla legge, la responsabilità della banca girataria per l'incasso non si configurerebbe come obbligazione ex delicto, ma, per l'appunto, come obbligazione ex lege, di natura contrattuale, come predicato dalle Sezioni Unite con la sentenza 26 giugno 2007 n. 14712. Giova ricordare che l'espressione “colui che paga”, adoperata nella norma in esame, va intesa in senso ampio: non si riferisce solo alla banca trattaria (o all'emittente, in caso di assegno circolare) ma anche alla diversa banca cui l'assegno sia girato per l'incasso, perché è quest'ultima che immette il titolo nel circuito bancario (cfr., tra le tante, Cass. civ., 6 ottobre 2005 n. 19512). In effetti, venne più tardi ad osservare la Corte Suprema con la pronuncia 3405/2016: «non c'è dubbio che soltanto la banca negoziatrice è tenuta ed è concretamente in condizione di controllare l'autenticità della firma di colui che girando l'assegno per l'incasso, lo immette nel circuito di pagamento». Ne consegue che il banchiere giratario per l'incasso che paga un assegno circolare non trasferibile a persona diversa dal beneficiario indicato dal titolo incorre in una responsabilità, nei confronti di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo, che ha natura contrattuale, pur non essendovi rapporto negoziale di sorta tra banca emittente (o trattaria) e banca negoziatrice. La responsabilità dell'istituto negoziatore ha natura contrattuale, osservavano le Sezioni Unite già con la sentenza 14712/2007; ribadisce la pronunzia in commento che ciò discende non già in conseguenza della “sostituzione” nell'espletamento del servizio bancario da parte della banca negoziatrice (teoria “contrattualistica”), quanto piuttosto nella c.d. teoria del “contatto sociale” qualificato, in forza del quale sussiste l'obbligo per un determinato soggetto di mantenere un certo comportamento in adempimento di veri e propri doveri di protezione nell'adempimento dei quali altro consociato abbia riposto affidamento. Alla teoria del “contatto sociale” ha mostrato adesione la giurisprudenza di merito (di recente: App. Firenze, 25 ottobre 2011 n. 1379; Trib. Siena, 3 agosto 2017 n. 764) Il punto che ha determinato il contrasto giurisprudenziale risolto con la pronunzia in esame è quello della necessità o meno dell'elemento soggettivo della colpa in capo alla negoziatrice, vuoi riferita all'identificazione del presentatore del titolo, vuoi relativa all'alterazione di quest'ultimo. A partire da Cass. civ., 1098/1999, e così pressoché fino ai giorni nostri, l'obbligo della banca negoziatrice di provvedere ad un nuovo pagamento in favore del reale prenditore, al fine di essere liberata dalla propria obbligazione, era ritenuto disancorato da un addebito di responsabilità a titolo di colpa nella operazione di negoziazione del titolo. Di recente, la pronunzia 22 giugno 2016 n. 3405 della I Sezione Civile della Suprema Corte affermò in maniera esplicita che la responsabilità della banca girataria «prescinde da qualsiasi addebito di colpa», sancendo così la sussistenza di una vera e propria responsabilità oggettiva. A questo principio si conformò la pronunzia 19 luglio 2016 n. 14777, mentre esso venne contrastato dalle successive 16332/2016 e 26947/2016, oltre che dalla precedente 1377/2016. Risolvendo il contrasto con la pronunzia in commento, le Sezioni Unite prendono le mosse proprio dalla collocazione della responsabilità della banca negoziatrice nell'alveo della responsabilità contrattuale, facendone discendere affermazioni di principio inevitabili:
Su quest'ultimo punto, è la stessa Cassazione che, con sentenza 2 luglio 2014 n. 15145, indica che «la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell'accorto banchiere» e che il grado di esigibilità della diligenza stessa è una «verifica che dovrà svolgersi in base ad un apprezzamento rivolto a verificare se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto». Del resto, anche il Garante per la protezione dei dati personali, nelle linee guida per il trattamento dei dati relativi al rapporto banca-clientela del 25 ottobre 2007, aveva stabilito che «la banca ha l'onere di verificare l'identità dell'interessato basandosi su elementi idonei di valutazione e che la banca deve poter dimostrare di aver identificato l'interessato con modalità più accurate, state il particolare contesto o le operazioni da svolgere». Se da una parte non può che essere salutato con favore l'abbandono del criterio di una inammissibile responsabilità oggettiva, che costituisce il fulcro della risoluzione del conflitto nonché la vera novità della pronunzia in commento, altrettanto positivamente deve essere valutato l'accento ribadito dalle Sezioni Unite in ordine al metro di valutazione della responsabilità, che non può limitarsi a quello della ordinaria diligenza (art. 1176, comma 1, c.c.), bensì, in ragione della professionalità richiesta, deve rispondere ai più stringenti canoni dell'accorto banchiere (art. 1176, comma 2, c.c.), che pure non richiede la disponibilità di speciali apparecchiature o sistemi sofisticati di controllo. |