Rapporto di lavoro tra familiari: può essere esclusa l’iscrizione all’INPS in virtù della gratuità della prestazione?

29 Maggio 2018

Vorrei assumere mia moglie come collaboratrice di studio commerciale: il compenso che erogo non è deducibile ma i contributi previdenziali, sì. Devo fargli una normale busta paga oppure è l'INPS che mi calcola i contributi dovuti?

Vorrei assumere mia moglie come collaboratrice di studio commerciale: il compenso che erogo non è deducibile ma i contributi previdenziali, sì. Devo fargli una normale busta paga oppure è l'INPS che mi calcola i contributi dovuti?

Secondo l'art. 2094 c.c. è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore.

Il Legislatore, per mezzo di tale norma, ha fornito una definizione di prestatore di lavoro subordinato, mentre la giurisprudenza ha enucleato gli indici della subordinazione, individuandoli nell'eterodirezione, nello stabile inserimento del lavoratore all'interno dell'organizzazione datoriale e nel coordinamento con la stessa.

Ne consegue che ogni attività lavorativa si presume essere posta in essere a titolo oneroso, salva prova contraria in punto di sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa.

Il discorso è diverso per quanto riguarda il rapporto di lavoro instaurato tra persone legate da vincolo di parentela, di affinità o di coniugio.

La collaborazione prestata all'interno di un contesto familiare viene resa in virtù di un'obbligazione di natura morale, basata sulla “affectio vel benevolentiae causa”, ovvero sul legame solidaristico ed affettivo proprio dell'ambito familiare.

Il carattere di gratuità della prestazione non sussiste, invece, come chiarito dall'INPS con Circolare n. 179 dell'8 agosto 1989, nell'ipotesi in cui il familiare che beneficia della prestazione lavorativa sia socio di una società di capitali: ed infatti al ricorrere di tale circostanza il rapporto di lavoro intercorre con la società, soggetto diverso dal coniuge o dal familiare convivente, sicchè si è in presenza di un rapporto di lavoro subordinato.

Nel caso in cui il familiare del lavoratore sia titolare di tutti i poteri sociali (socio unico) o abbia la maggioranza delle quote sociali, il rapporto, ancorchè intercorso con la società, si presume reso a titolo gratuito. Nonostante l'INPS, in detta Circolare, in riferimento a tale fattispecie, non riporti la frase “se le parti non forniscono prove rigorose, cioè non soltanto formali, ma convincenti nel loro complesso, dell'onerosità del rapporto stesso e della sua natura subordinata”, come, invece, fatto allorquando si è riferita, in generale, al rapporto di lavoro tra coniugi, appare logico e coerente ritenere che, anche in tal caso, se vengono fornite, da chi ne abbia interesse, prove rigorose ma convincenti nel loro complesso dell'onerosità del rapporto stesso e della sua natura subordinata, il rapporto in questione perde il carattere della gratuità.

La circostanza che il lavoro sia reso da un familiare contribuisce a determinare, in molti casi, la natura occasionale della prestazione lavorativa, così da escludere l'obbligo di iscrizione all'INPS in capo al familiare.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con nota prot. 37/0010478 del 10 giugno 2013 ha ricondotto, nell'ambito delle collaborazioni occasionali affectionis causa che, in quanto tali, sono escluse dell'obbligo di iscrizione presso l'Ente Previdenziale, quelle rese dai pensionati, dal familiare impiegato full time presso altro datore di lavoro.

Nei suddetti casi, la collaborazione del familiare si considera “presuntivamente” di natura occasionale e, pertanto, il personale ispettivo, ove non ritenga di accedere a tale impostazione per la presenza di specifici indici sintomatici di una “prestazione lavorativa” in senso stretto, dovrà comunque dimostrarne la sussistenza mediante puntuale ed idonea documentazione probatoria di carattere oggettivo ed incontrovertibile.

Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con la suddetta nota, ha fornito una linea guida al fine di orientare il giudizio sulla non abitualità della prestazione, al di fuori delle fattispecie sopra declinate (pensionati e familiare impiegato full time presso altro datore di lavoro), individuando un parametro di natura quantitativa di tipo convenzionale da poter utilizzare in linea generale al fine di poter uniformare l'attività ispettiva.

Tale parametro è stato desunto dall'art. 21, comma 6-ter, D.L. n. 269/2003 (conv. da L. n. 326/2003) concernente la disciplina delle prestazioni di natura occasionale rese dal familiare nell'ambito delle imprese appartenenti ai settori dell'artigianato, che fissa in 90 giorni nel corso dell'anno il limite temporale massimo della collaborazione occasionale e gratuita prestata nel caso in cui il familiare sia impossibilitato al lavoro. Lo stesso può dunque essere ragionevolmente applicato agli artigiani, al commercio e al settore agricolo, in ragione dei comuni aspetti di carattere previdenziale.

Si ricorda, infatti, che la norma considera collaborazioni occasionali, in deroga alla normativa previdenziale vigente, le prestazioni rese da parenti entro il terzo grado, aventi anche il titolo di studente per un periodo complessivo nel corso dell'anno non superiore a novanta giorni.

In tal senso, nei diversi contesti settoriali, appare opportuno legare la nozione di occasionalità al limite quantitativo dei 90 giorni, intesi come frazionabili in ore, ossia 720 ore nel corso dell'anno solare. Nel caso di superamento dei 90 giorni, il limite quantitativo si considera comunque rispettato anche laddove l'attività resa dal familiare si svolga soltanto per qualche ora al giorno, fermo restando il tetto massimo delle 720 ore annue.

Sulla base di quanto innanzi, ne consegue, nel caso prospettato dall'abbonato, che l'obbligo di versamento contributivo sia escluso in virtù del carattere familiare del rapporto di lavoro posto in essere nonché di una presunta occasionalità dello stesso.

Tuttavia, qualora l'organo ispettivo fornisca prove rigorose dell'onerosità del rapporto stesso, della sua natura subordinata e della non occasionalità dello stesso, viene meno la gratuità della prestazione con conseguente obbligo di iscrizione, da parte del datore di lavoro, del proprio familiare all'INPS.

Nella questione prospettata dall'abbonato, valgono, quindi, i principi supra enucleati; la prestazione si presume espletata a mero titolo di affetto e gratuità, nell'ambito di una collaborazione occasionale, salvo che l'Inps non fornisca prove rigorose, cioè non soltanto formali, ma convincenti nel loro complesso, dell'onerosità del rapporto stesso e della sua natura subordinata.

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