L’esercizio abusivo della professione legale è condannabile
29 Maggio 2018
Un soggetto che aveva esercitato abusivamente la professione di avvocato, veniva condannato a tre mesi di reclusione dalla Corte di Appello di Firenze. L'imputato, avverso la pronuncia di condanna, ricorreva per cassazione rilevando l'insussistenza del reato poiché le persone offese non avevano ricevuto alcuna prestazione professionale a fronte delle somme anticipate, e perché le sue attività, riferibili a libere prestazioni di mera consulenza (redazione di un atto citazione non utilizzato, trattative con il difensore di controparte ecc.) e del tutto sporadiche, non avevano rilevanza penale.
Sulla base delle emergenze probatorie, è risultato che il ricorrente fosse stato cancellato dall'albo degli avvocati e che le persone offese non ne fossero al corrente; inoltre era emerso che l'imputato aveva compiuto atti propri della professione legale assumendo l'incarico professionale, predisponendo un mandato alle lite e avviando formali contatti con la controparte.
In relazione a tale condotta la Corte di Cassazione ha evidenziato che la Corte di appello ha correttamente applicato il principio già espresso dalla Cass. pen. sez. V, 6 novembre 2011, n. 646, secondo cui “l'esercizio abusivo della professione legale, ancorché riferito allo svolgimento dell'attività riservata al professionista iscritto nell'albo degli avvocati, non implica necessariamente la spendita al cospetto del giudice o di altro pubblico ufficiale della qualità indebitamente assunta, sicché il reato si perfeziona per il solo fatto che l'agente curi pratiche legali dei clienti o predisponga ricorsi anche senza comparire in udienza qualificandosi come avvocato”.
Inoltre, specifica la Corte “il delitto in esame ha natura istantanea e non esige (…) un'attività continuativa od organizzata, ma si perfeziona con il compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione abusivamente esercitata”. |