Nuove ipotesi “extra-large” di incompatibilità per amministratori giudiziari, curatori, commissari, liquidatori e coadiutori (e perché non di altri?)

Filippo Lamanna
30 Maggio 2018

Un chiaro esempio di "psicosi normativa", che dimostra tra l'altro e sinanche la perplessità (o l'inconsapevolezza) che ha lo stesso legislatore nel muoversi all'interno della sfera normativa delle nomine dei collaboratori degli organi gestori, anche concorsuali, è quanto disposto dal decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 54 approdato solo alcuni giorni fa in Gazzetta Ufficiale (la n. 121 del 26 maggio 2018).

Un chiaro esempio di "psicosi normativa", che dimostra tra l'altro e sinanche la perplessità (o l'inconsapevolezza) che ha lo stesso legislatore nel muoversi all'interno della sfera normativa delle nomine dei collaboratori degli organi gestori, anche concorsuali, è quanto disposto dal decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 54 approdato solo alcuni giorni fa in Gazzetta Ufficiale (la n. 121 del 26 maggio 2018).

Esso è stato emanato - in attuazione dell'art. 33, commi 2 e 3, L. n. 161/2007 - Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) - (se ne è data notizia con news del 28 maggio 2018 in questo portale) in principalità per disciplinare con disposizioni ulteriori, in modo quanto mai rigoroso, il regime delle incompatibilità degli amministratori giudiziari nominati nell'ambito delle procedure di prevenzione penale e dei loro coadiutori.

Si tratta di un'evidente reazione ai noti fatti di cronaca che hanno portato all'incriminazione della ex Presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, accusata di aver attribuito incarichi di amministratore giudiziario favorendo solo alcuni professionisti, i quali, a loro volta, avrebbero affidato numerosi incarichi di coadiutore al marito della stessa o a parenti ed amici di altri magistrati.

Non sorprende che, dinanzi a fatti così gravi, per quanto ancora oggetto di accertamento, il legislatore abbia ritenuto di intervenire con una certa solerzia, stringendo ancor di più le maglie in materia di nomine e creando ipotesi di incompatibilità non più orizzontali (rapporti intercorrenti tra il soggetto nominato ed i soggetti prevenuti) , ma verticali (in senso discendente dal magistrato al soggetto nominato).

Tuttavia, come spesso accade, si rischia di esagerare per eccesso.

Le nuove disposizioni disegnano infatti casi di incompatibilità che è solo eufemistico definire extra-large.

Il provvedimento prevede, infatti, in via generale ed oggettiva, l'incompatibilità degli amministratori giudiziari e dei loro coadiutori per rapporti di parentela, affinità, convivenza e, comunque, anche soltanto di assidua frequentazione con qualunque magistrato risulti addetto all'ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l'incarico.

In sostanza, l'incompatibilità è prevista non già con riferimento ai soli magistrati dell'ufficio che conferiscano gli incarichi, ma – per una sorta di proprietà transitiva - con qualunque altro magistrato addetto al medesimo ufficio cui appartengono i magistrati conferenti gli incarichi stessi. L'incompatibilità con i magistrati conferenti avrebbe peraltro potuto già dedursi dalle analoghe ipotesi di astensione obbligatoria o per ragioni di opportunità previste dal C.P.C. o dal C.P.P..

Il decreto esige che l'amministratore nominato depositi entro due giorni dalla comunicazione della nomina una dichiarazione attestante l'insussistenza delle cause di incompatibilità, a pena di essere sostituito d'urgenza, sostituzione che viene disposta anche nel caso in cui, dalla dichiarazione depositata, emerga la sussistenza di una causa di incompatibilità. Quando poi venga resa una dichiarazione di circostanze non corrispondenti al vero da parte di un soggetto iscritto ad un albo professionale, il tribunale deve segnalarlo all'ordine o al collegio professionale ai fini della valutazione di competenza in ordine all'esercizio dell'azione disciplinare, nonché al presidente della Corte di appello affinchè dia notizia della segnalazione a tutti i magistrati del distretto.

Per di più nella dichiarazione il soggetto incaricato deve comunque indicare l'esistenza di rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di fatto, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado o frequentazione assidua con magistrati, giudicanti o requirenti, che appartengano addirittura all'intero distretto di Corte di appello nel quale ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale è pendente il procedimento e il presidente della Corte di appello deve tener conto delle risultanze delle dichiarazioni ai fini dell'esercizio, su tutti gli incarichi conferiti, del suo potere di sorveglianza. A questo proposito, peraltro, salta all'occhio come il legislatore si sia dimenticato di chiarire che cosa succede se il rapporto con i soggetti nominati ce l'abbia proprio… lo stesso Presidente della Corte.

Analoghe, anche se non identiche, le prescrizioni dettate per i coadiutori degli amministratori giudiziari, che a loro volta devono redigere entro due giorni la medesima dichiarazione circa le incompatibilità, ma consegnandola in tal caso all'amministratore giudiziario che, entro i due giorni successivi, deve depositare in cancelleria la dichiarazione del coadiutore; se il coadiutore non consegna la dichiarazione o se dalla dichiarazione emerge la sussistenza di una causa di incompatibilità, l'amministratore giudiziario non potrà avvalersi del coadiutore nominato.

Ebbene, tutte queste prescrizioni sono state inopinatamente estese – apportando talune modifiche alla legge fallimentare, alla disciplina della procedura di amministrazione straordinaria e a quella delle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento - ai curatori fallimentari e ad alcuni altri organi delle predette procedure concorsuali.

Il provvedimento prevede infatti in via estensiva le stesse ipotesi extra-large di incompatibilità anche per i curatori fallimentari e i relativi coadiutori, nonché per i commissari che nella prima fase di apertura delle procedure di amministrazione straordinaria siano autonomamente nominati dal Tribunale (e non dal MISE) e ai loro coadiutori, ed anche, in materia di sovraindebitamento, al gestore eventualmente nominato dal giudice quale affidatario del patrimonio del debitore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori quando sia proposto ai creditori un accordo di ristrutturazione ed il piano preveda tale gestore, ed infine al liquidatore che venga a sua volta nominato quando venga aperta la procedura di liquidazione giudiziale.

Che si tratti di un'area di incompatibilità soggettivamente davvero eccessiva, si è già detto.

Si tratta infatti un'abnorme estensione, che finirà per rendere di fatto impraticabile qualunque rapporto anche di semplice amichevolezza o frequentazione tra professionisti e magistrati, anche se essi non abbiano alcun rapporto tra di loro nell'ambito specificamente lavorativo.

E se questo in qualche misura potrebbe forse ammettersi – alla luce dei ricordati fatti di cronaca e della delicatezza della stessa materia trattata - per le nomine fatte nell'ambito della prevenzione penale, specie antimafia, pare davvero sproporzionato ed esorbitante nel contesto delle ordinarie nomine degli organi concorsuali.

E non è escluso che già sotto tale profilo le nuove norme possano destare dubbi di (in-)costituzionalità sotto il profilo dell'irragionevolezza.

Ma sta poi di fatto anche che la nuova normativa si rivela anche incomprensibilmente e ingiustificatamente disparitaria, il che aggrava ed amplifica quanto mai i suddetti dubbi.

Non si comprende ad esempio per quale motivo le nuove ipotesi di incompatibilità previste per i curatori dei fallimenti e per i commissari delle procedure di amministrazione straordinaria (e per i già detti organi di due procedure di sovraindebitamento) non debba riguardare invece i commissari o liquidatori giudiziali dei concordati preventivi, pur potendo immaginarsi anche per questi organi la sussistenza delle stesse ragioni di cautela che sottendono le incompatibilità previste per i primi.

Non si comprende nemmeno perché esse debbano poi valere ad es. per un consulente del lavoro, o per un consulente fiscale, essendo costoro catalogabili (di norma) nella categoria dei coadiutori, e non invece per un avvocato che debba difendere il fallimento in giudizio, o non per un ingegnere o un geometra che debbano svolgere l'attività di periti stimatori (and so on), ossia per professionisti che, come dovrebbe sapersi, non possono collocarsi invece propriamente nella medesima categoria dei coadiutori (che comprende solo chi svolge un'attività propria del curatore, e che, anziché sostituirlo come è a dirsi per i delegati, collabora con lui e lo assiste nell'ambito e per gli scopi propri della procedura rientranti sotto il dominio delle competenze e delle attribuzioni del curatore; laddove invece i professionisti o gli altri prestatori d'opera operano, per differenza, in ogni altro settore, e vengono officiati di un'attività di lavoro autonomo allorchè il fallimento, per le proprie finalità, necessiti di un'attività di tipo specialistico che il curatore non è chiamato ad espletare e di cui, pertanto, non risponde in via diretta: così Cass. 09/05/2011, n. 10143).

è infatti del tutto evidente che anche per i professionisti e per gli altri esperti cui siano conferibili incarichi di collaborazione esterna ben potrebbe ritenersi sussistente la stessa ragione di selezione negativa che sta alla base delle nuove incompatibilità previste per i coadiutori. E del resto l'estensione delle incompatibilità riguardanti i coadiutori prescinde evidentemente dal fatto che la nomina non provenga dal magistrato (ma bensì dal curatore su autorizzazione del Comitato dei creditori ex art. 32 l.fall.), allo stesso modo in cui non dal magistrato, ma sempre dal curatore (di norma su autorizzazione del comitato dei creditori) sono nominati avvocati e periti.

Si sconosce anche perché queste incompatibilità non debbano invece riguardare i delegati del curatore (nominati ex art. 32, primo comma, l.fall.), pur in presenza, anche in tal caso, di quelle stesse ragioni di selezione negativa che sottendono le incompatibilità previste per i coadiutori e che non recedono certamente nel caso di nomina dei delegati (anch'essi soggetti ad autorizzazione preventiva del comitato dei creditori) sol perché il compenso ai delegati va poi sottratto dal compenso destinato ai curatori, mentre ciò non è previsto per il compenso dei coadiutori, quanto meno tenuto conto che sarà sempre un magistrato a liquidare il compenso sia nell'uno che nell'altro caso.

Al di là dei dubbi di costituzionalità che suscita tale quadro di evidente incoerenza e disparità di trattamento, è comunque assai forte il sospetto che chi ha scritto le nuove norme non abbia alcuna contezza della distinzione concettuale e giuridica tra delegati, coadiutori e professionisti/esperti, e che abbia avuto in mente, probabilmente, o una nozione di coadiutori onnivora ed omnicomprensiva, intendendo inclusa in essa ogni altra categoria di collaboratori degli organi di gestione concorsuale, oppure abbia avuto presente solo la casistica dei coadiutori nominati nell'ambito delle procedure di prevenzione penale ai sensi dell'art. 35, quarto comma, del codice antimafia di cui al citato D.Lgs. n. 159/2011, laddove infatti, da un lato, non esiste un comitato dei creditori, di talchè l'amministratore giudiziario chiede sempre ad un magistrato (il giudice delegato) di essere autorizzato a farsi coadiuvare da tecnici o da altri soggetti qualificati ovvero, in caso di complessità della gestione, da un apposito “ufficio di coadiuzione”, e, dall'altro, gli avvocati liberi professionisti non vengono officiati affatto, se non, eccezionalmente, quando non sia possibile ricevere assistenza dall'Avvocatura dello Stato (cfr. art. 39 del citato D.Lgs.).

Ma su questi sospetti di incompetenza del conditor juris – per quanto, e proprio in quanto, apparentemente giustificati - conviene forse non aggiungere altro, pietatis causa.

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