L’emissione dell’avviso di accertamento verso il contribuente fallito

31 Maggio 2018

La dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, da un lato, in ragione dell'urgenza correlata alla necessità dell'Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un'insinuazione tempestiva al passivo, in quanto detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori e, da un altro...
Massima

La dichiarazione di fallimento del contribuente sottoposto a verifica fiscale giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, L. n. 212/2000, da un lato, in ragione dell'urgenza correlata alla necessità dell'Erario di intervenire nella procedura concorsuale, senza che rilevi la possibilità di un'insinuazione tempestiva al passivo, in quanto detto intervento può essere funzionale a proporre opposizioni volte a contestare le posizioni di altri creditori e, da un altro, in quanto il contribuente fallito perde la capacità di gestire il proprio patrimonio, sicché le osservazioni dovrebbero essere presentate, nel detto termine dilatorio di 60 giorni, dal curatore, l'attività del quale, tuttavia, essendo svolta sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori risulta, per il relativo onere di informazione, incompatibile con il rispetto dello stesso.

Il caso

Il caso esaminato dalla Corte di Cassazione riguarda un ricorso proposto dalla Curatela Fallimentare contro un provvedimento della Commissione Tributaria Regionale di Milano che ha rigettato tre distinti appelli, separatamente proposti dalla Curatela, avverso tre sentenze rese in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Pavia relativi all'impugnazione dei rispettivi avvisi di accertamento notificati senza attendere l'osservanza del termine dilatorio dei 60 giorni, di cui all'art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000, decorrente dalla consegna del processo verbale di constatazione.

Il dettato normativo appare molto chiaro nella sua formulazione e impone che il rispetto del suddetto termine possa essere derogato solo in caso di motivi di particolare e motivata urgenza. I giudici competenti hanno statuito che lo stato di fallimento del contribuente rappresenterebbe una condizione di fatto sufficiente ad integrare i requisiti di “particolare e motivata urgenza” concedendo pertanto la facoltà all'amministrazione finanziaria dell'esercizio di tale deroga e quindi la possibilità di emettere anticipatamente l'atto di accertamento, senza l'obbligo di esplicitare i motivi di tale urgenza né la tantomeno la sussistenza degli stessi.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di parte contribuente.

La questione

L'art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 prevede che l'avviso di accertamento possa essere emanato decorsi 60 giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione al contribuente; la mancata osservanza di tale tempistica, per espressa previsione di legge, condurrebbe alla nullità dell'accertamento. Esiste tuttavia una deroga a tale principio: in casi di “particolare e motivata urgenza” tale termine può non essere rispettato.

Gli orientamenti giurisprudenziali contrastanti scaturiscono sostanzialmente dalla mancanza di una norma o di un'interpretazione autentica dell'articolo in questione idonea a definire il concetto di “adeguata motivazione sulla particolare urgenza” ovvero sull'obbligatorietà dell'indicazione della stessa nell'atto di accertamento.

La sentenza in commento conferma e perfeziona una precedente posizione statuendo che l'intervenuta dichiarazione di fallimento del contribuente giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio a prescindere dalla sua esternalizzazione nell'atto impositivo, discendendo l'urgenza sia dalla necessità dell'Erario di procurarsi tempestivamente il titolo utile per insinuarsi al passivo fallimentare - a prescindere dal fatto che ciò avvenga tempestivamente nei termini o tardivamente - sia dal fatto che il contribuente, in stato di fallimento, si viene a trovare in una situazione in cui le modalità di esercizio delle sue capacità non sembrano compatibili con la possibilità di comunicare entro sessanta giorni le osservazioni richieste ex art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 (Cass. n. 13294/2016 e Cass. n. 8892/2018).

Le soluzioni giuridiche

La stessa Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria n. 7318 del 2012, ammette l'esistenza di pareri contrastanti in merito al c.d. accertamento “anticipato”.

Inizialmente, con le sentenze 19785/2008 e 3988/2011 l'accertamento “anticipato” non poteva essere dichiarato nullo in quanto la tutela del contribuente veniva garantita, sia mediante l'autotutela ordinaria, sia all'interno della fase contenziosa.

Successivamente è intervenuta la sentenza n. 6088/2011 con la quale veniva statuito che la nullità poteva essere dichiarata in quanto la violazione della norma impediva al contribuente di interagire con la parte pubblica e di evitare l'emanazione dell'atto di accertamento.

Un terzo filone giurisprudenziale sanciva la nullità solo se l'Ufficio non indicava le ragioni particolari e motivate dell'urgenza che avevano dato origine all'emanazione dell'accertamento in via anticipata (cfr. Cass. 22320/2010 e 10381/2011). Tale corrente di pensiero è stata recentemente ribadita dall'ordinanza del 10 aprile 2018 n. 8749 in cui la Suprema Corte statuiva che l'avviso di accertamento era da considerarsi illegittimo qualora emesso antecedentemente il termine dilatorio a meno che l'Amministrazione finanziaria provasse la sussistenza delle ragioni legate all'urgenza consistenti in elementi di fatto che esulavano dalla propria sfera di controllo e fuoriuscivano dalla sua diretta responsabilità.

L'ultimo filone, avvalorato dalla sentenza in commento, precisa che l'avviso di accertamento emanato prima del termine ex art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 impone un termine per l'esercizio dell'amministrazione amministrativa piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell'urgenza nell'emissione, anticipata, dell'atto impositivo (cfr. Cass. n. 11944/2012, 18184/2013, Sez. V 24316/2014). Quindi, in presenza di casi di urgenza, l'effetto derogatorio opera a prescindere dalla sua esternazione all'interno dell'atto impositivo. La sentenza dichiarativa di fallimento giustifica l'emissione dell'avviso di accertamento senza l'osservanza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 a prescindere dalla sua esternazione all'interno dell'atto impositivo discendendo l'urgenza dalla necessità dell'Erario di procurarsi tempestivamente il titolo utile per insinuarsi al passivo fallimentare.

Per quanto concerne le ragioni e la prova della sussistenza in concreto di tale urgenza, la sentenza in commento giustifica l'emissione “ante tempus” dell'avviso di accertamento notificato ad una società contribuente sottoposta a procedura fallimentare, non solo quando non motivato, ma anche qualora siano scaduti i termini per l'insinuazione al passivo. Secondo i Giudici di Legittimità il credito erariale accertato verrà soddisfatto coattivamente in sede concorsuale e, dunque, una procedura satisfattiva in corso si presta di per sé ad essere qualificata “urgente” in quanto l'Erario, quale futuro creditore concorsuale, ha un evidente interesse ad inserirsi al più presto nella procedura fallimentare. Secondo la Corte, tale interesse sussiste a prescindere dal fatto che l'inserimento del credito possa avvenire tramite insinuazione al passivo in via tempestiva oppure tardiva, per la ragione che entrando nella procedura concorsuale, il creditore, in questo caso l'Erario, potrà esercitare i poteri che la veste di intervenuto gli assegna, come ad esempio il controllo dell'operato degli organi fallimentari oppure eventuali opposizioni dirette a contestare le posizioni di altri creditori.

Sempre nella stessa sentenza, i giudici avvalorano la sopracitata tesi con una seconda motivazione, ovvero che il contribuente, in stato di fallimento, si viene a trovare in una situazione in cui le modalità di esercizio delle sue capacità non sembrano compatibili con l'attesa da parte dell'Erario della scadenza del termine dilatorio per l'emissione dell'avviso di accertamento, giacché detta capacità passa, sotto il profilo della gestione del patrimonio, in capo al curatore, il quale, però, esercita l'attività di gestione sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori ai sensi dell'art. 31, comma 1, della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942) e, tra l'altro secondo scansioni che prevedono relazioni (art. 33 legge fallimentare). Ne deriva che, poiché la vigilanza suppone il previo adempimento di un onere di informazione, risulta palese che la normale facoltà attribuita al contribuente con l'inciso “può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori” si presenta di difficile immediata realizzazione, sì da risultare dunque incompatibile con il termine di sessanta giorni.

Osservazioni

Con la sentenza n. 24823/2015 delle Sezioni Unite viene stabilito che il principio del contradditorio preventivo, ovvero la facoltà di comunicare osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori, non costituisce un istituto di applicazione generalizzata nell'ordinamento interno, ma è obbligatorio solo nei casi in cui la legge lo prevede (es. accertamenti da studi di settore e redditometro). Nella disciplina Comunitaria Iva (D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito dalla L. 29 ottobre 1993 n. 427), sulla scorta di quanto affermato dalla Core di Giustizia Ue (Sentenza Kamino), il principio del contradditorio, ancorché obbligatorio, non causa automaticamente la nullità dell'accertamento nel caso non venga rispettato, a meno che il contribuente non sia in grado di evidenziare la rilevanza delle osservazioni che avrebbe formulato in tale sede. La terza fattispecie, oggetto della sentenza commentata, espone il caso degli accertamenti derivanti da accessi, ispezioni e verifiche, in cui il contribuente ha il diritto di formulare osservazioni entro 60 giorni dalla consegna del processo verbale di constatazione e l'atto emesso prima del decorso di tale termine è nullo, salvo che l'Ufficio non dimostri l'esistenza di particolari ragioni di urgenza (Cass. n. 5899/2017).

Le sentenze della Cassazione delineano quindi un quadro non omogeneo sulla possibilità del contribuente di esercitare la propria difesa, con una visione sistematica di tale istituto diversificata nelle distinte fattispecie. Tale quadro viene ulteriormente intricato dalla mancanza di una norma o di un'interpretazione autentica dell'art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 idonea a definire il concetto di “adeguata motivazione sulla particolare urgenza” ovvero l'obbligatorietà o meno dell'indicazione nell'atto di accertamento della motivazione dell'urgenza con la contestuale prova della sussistenza della stessa.

La sentenza in commento avvalora dunque l'orientamento dei Giudici di Legittimità nello statuire che il fallimento del contribuente costituisce di per sé una ragione di “particolare e motivata urgenza” che consente, anche senza indicare nell'atto impositivo la motivazione e la sussistenza dell'urgenza, la deroga del termine dilatorio previsto dall'art. 12, comma 7 della L. 212/2000.

Non si può fare a meno di ricordare, però, che, come sancito da giurisprudenza di merito (Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia del 19 gennaio 2016, n. 5), la violazione del diritto del contribuente al contraddittorio preventivo, ossia antecedente all'emanazione dell'atto di accertamento, determina l'illegittimità dell'atto e, di conseguenza, il suo annullamento. Il riconoscimento di tale diritto è espressione di un principio di natura generale, ricavabile sia dalla Costituzione (art. 97) che dagli articoli 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, i quali garantiscono il diritto di ogni individuo a essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo.

Anche la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con la sentenza n. 6434/2016, del 22 luglio 2016, pronunciata il 30 maggio 2016 , ha stabilito che l'emissione di un avviso di accertamento, notificato a seguito di un invio di un questionario, senza essere preceduto da un contradittorio, è illegittimo. In tale pronuncia, infatti, viene sancito che: “Il contraddittorio amministrativo appare dunque strumentale a garantire il diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost. e a far sì che le parti processuali si trovino su un piano di sostanziale parità. Peraltro, voler applicare l'art. 12, comma 7, alle sole verifiche in loco sarebbe discriminatorio nei confronti di quei contribuenti che hanno (come nel caso di specie) subito invece accertamenti "a tavolino". Essi pure infatti hanno diritto ad evidenziare le proprie ragioni prima che la pretesa del fisco si cristallizzi in un atto impositivo”.

Inoltre, come sancito recentemente dalla Corte di Cassazione, con l'ordinanza del 19 ottobre 2017, n. 24636, è sempre necessario uno specifico verbale per le contestazioni riferite ad annualità diverse da quella oggetto di verifica. In assenza del verbale, infatti, l'atto di accertamento conseguente è illegittimo per violazione del diritto al contraddittorio.

Il contradittorio amministrativo appare dunque strumentale a garantire il diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione ed altresì che le parti processuali si collochino su un piano, se non di compiuta parità, almeno in condizioni di teorica parità, di guisa che il processo risulti giusto, come prescrive l'art. 111 della Costituzione che si ispira all'art. 6 della Carta Europea dei Diritti dell'Uomo recepita dall'art. 9 della Costituzione Europea.

Sull'inderogabile necessità di utilizzare l'istituto del contraddittorio con il contribuente prima dell'emissione dell'avviso di rettifica, quale efficace metodo per il rafforzamento della quantificazione della pretesa tributaria e la riduzione della conflittualità nel rapporto con il contribuente, si è espressa anche l'Agenzia delle Entrate nel paragrafo 1 della Circolare n. 16/E del 28 aprile 2016.

In tale documento, si legge anche che il confronto preventivo costituisce la modalità istruttoria più valida, poiché consente al contribuente di fornire chiarimenti e documentazione utili a inquadrare in modo più realistico la fattispecie oggetto di stima e, nello stesso tempo, permette all'Amministrazione finanziaria di pervenire a valutazioni più trasparenti e sostenibili.

Infine, si ricorda che, nel provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 15 luglio 2016, emesso in attuazione dell'art. 1, commi da 634 a 636, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 (Comunicazione per la promozione dell'adempimento spontaneo nei confronti dei soggetti destinatari di un processo verbale di constatazione contenente rilievi fiscali), si fanno numerosi rinvii alla Legge 7 gennaio 1929, n. 4. In particolare, nel punto 5.1., viene specificato che i contribuenti, a cui sia stato notificato un PVC, possono regolarizzare le violazioni, usufruendo del ravvedimento operoso (riduzione ad un quinto del minimo dell'importo delle sanzioni) ai sensi dell'art. 13, comma 1, lettera b-quater, del D.lgs. 472/1997, il quale, a sua volta, fa riferimento all'art. 24 della medesima legge 4 del 1929.

Lo specifico rinvio alla Legge n. 4 del 1929 deve essere interpretato come la conferma che sia ancora in vigore l'art. 24, il quale impone la notifica di un processo verbale quando si vogliono constatare violazioni in materia tributaria. Se ciò non fosse confermato, vi sarebbe, tra l'altro, una disparità di trattamento tra un contribuente, a cui è stato notificato un PVC, ma che può procedere al ravvedimento operoso con la riduzione delle sanzioni, ex art. 13 del D.lgs. 472/1997, e un altro contribuente, che al contrario, non avendo ricevuto un PVC, non può usufruire della suddetta riduzione

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