Delegati, coadiutori, difensori e consulenti di curatori e commissari nelle procedure concorsuali: autorizzazione ad avvalersene e poteri di nomina

Filippo Lamanna
01 Giugno 2018

L'attuale quadro normativo in materia di delegati, coadiutori, legali, esperti e consulenti del curatore e dei commissari e liquidatori delle procedure concorsuali – che conviene per semplicità raggruppare insieme con l'appellativo di “collaboratori” degli organi gestori - è assai variegato e confuso, sia quanto a chi detiene i poteri di nomina di tali collaboratori, sia quanto...
L'incoerenza del quadro normativo

L'attuale quadro normativo in materia di delegati, coadiutori, legali, esperti e consulenti del curatore e dei commissari e liquidatori delle procedure concorsuali – che conviene per semplicità raggruppare insieme con l'appellativo di “collaboratori” degli organi gestori - è assai variegato e confuso, sia quanto a chi detiene i poteri di nomina di tali collaboratori, sia quanto alla decisione di utilizzarli, sia, ancor prima, in ordine logico, quanto alla stessa individuazione delle categorie di collaboratori e a come esse si distinguano concettualmente e giuridicamente l'una dall'altra.

I collaboratori del curatore nel fallimento

Per il fallimento, ad esempio, l'art. 32 l.fall. individua esplicitamente ed ex professo solo due categorie:quella dei delegati e quella dei coadiutori.

Sennonchè dottrina e giurisprudenza danno tradizionalmente di tali categorie una nozione alquanto restrittiva, che, come tale, non consente di ricomprendervi figure diverse.

In particolare, non sembrano riconducibili a tali categorie né la figura del legale o in genere del difensore, né quella dei periti stimatori.

Il “delegato” è, secondo la tradizionale accezione, un sostituto del curatore, cioè un soggetto che, temporaneamente e per determinate operazioni (ed eccezionalmente, poiché l'art. 32, primo comma, stabilisce in via generale che il curatore deve esercitare personalmente le funzioni del proprio ufficio), surroga il curatore stesso in specifiche mansioni che costui deve ordinariamente svolgere.

Anche il “coadiutore”, a sua volta, svolge un'attività propria del curatore, ma, anziché sostituirlo, collabora con lui e lo assiste nell'ambito e per gli scopi propri della procedura rientranti sotto il dominio delle competenze e delle attribuzioni di tale organo (si pensi ad es. ai consulenti fiscali o ai consulenti del lavoro).

Nel testo originario del ‘42, l'art. 32 l.fall. si limitava a subordinare la facoltà di avvalersi di delegati e coadiutori all'autorizzazione del giudice delegato, né poneva particolari limiti sui compensi da erogare.

L'aumento dei costi dovuto al proliferare dell'utilizzo di delegati e coadiutori per lo svolgimento di attività che il curatore avrebbe potuto e dovuto svolgere da solo ha indotto il legislatore della riforma del 2006 (D.Lgs. n. 5/2006) a rimodulare la norma, prevedendo per i delegati, al primo comma, che il compenso ad essi dovuto, liquidato dal giudice, deve essere detratto dal compenso del curatore, e per i coadiutori, al secondo comma, che del compenso riconosciuto a tali soggetti deve tenersi conto ai fini della liquidazione del compenso finale del curatore.

Quanto ai coadiutori, con la riforma si è prevista l'autorizzazione non più del giudice delegato, ma del comitato dei creditori. L'ultimo passo si è compiuto poi, in punto autorizzazioni, con il D.Lgs. 169/2007, che anche per i delegati ha previsto l'autorizzazione da parte del comitato dei creditori, escludendo inoltre dalle attività delegabili gli adempimenti di cui agli articoli 89, 92, 95, 97 e 104-ter.

La differente regolamentazione dei compensi si deve palesemente al fatto che, nel caso dei delegati, vi è, come poc'anzi riferito, lo svolgimento di un'attività in via meramente surrogatoria, sì che è del tutto conseguente imputare al curatore tale attività – per quanto indirettamente svolta da un diverso soggetto – e quindi anche il relativo compenso; laddove invece, a proposito dei coadiutori, è altrettanto logico che il relativo compenso venga liquidato in modo distinto ed autonomo, trattandosi non di un'attività sostitutiva, ma sussidiaria, che giustifica quindi solo un'eventuale riduzione del compenso del curatore in misura congruamente proporzionale al numero dei coadiutori nominati e all'effettiva necessità di dar luogo a tale attività ausiliaria.

Molto probabilmente a spingere il legislatore verso queste modifiche è stata, oltre che una generalizzata presa di coscienza sull'aumento dei costi per lo svolgimento oneroso tramite terzi di attività proprie del curatore, l'ancor maggiore incidenza che questi costi avevano avuto nelle amministrazioni straordinarie, che in quest'ambito si sono invero dimostrate un vero pozzo senza fondo a causa degli estesi poteri gestori attribuiti ai commissari, di cui si è spesso registrato l'abuso proprio nell'ambito delle nomine dei collaboratori.

Non è un caso, del resto, se già con due direttive del 2 marzo 2004 e del 1° ottobre 2004, poi riprese e riviste nel 2010, il Ministero dello Sviluppo Economico ha invitato i commissari a limitare al massimo le deleghe, minacciando di tenerne conto in sede di compensi. Analogamente, il MISE ha invitato i commissari ad un uso molto sobrio delle nomine di esperti ed avvocati, coadiutori, consulenti ed advisors, evidenziando che la gestione di un'impresa in amministrazione straordinaria non equivale alla gestione di un'impresa in bonis e richiede una particolare attenzione ai costi per evitare l'ingiustificata erosione dei fondi destinati ai creditori.

Sta di fatto che anche la stessa ambiguità della distinzione concettuale tra delegati e coadiutori ha consentito il protrarsi di prassi viziose o abusive.

Solo con la norma che, in ambito fallimentare, ha previsto per la prima volta la decurtazione dei compensi dei curatori in caso di nomine di delegati e coadiutori si è limitato, almeno in una certa misura, il proliferare dei costi, ma paradossalmente in occasione della riforma del 2006 questa limitazione normativa non è stata estesa alle amministrazioni straordinarie, che pure ne avrebbero avuto maggiormente bisogno, ma si è dovuto attendere il Decreto Sviluppo del 2012 (d.l. n. 83/2012 conv. in L. n. 134/2012) per vedere introdotta un'analoga disposizione limitativa, ancorchè solo per i delegati, mentre nulla è stato comunque detto sull'incidenza del compenso dei coadiutori su quello dei commissari.

Ad ogni modo entrambi i suddetti collaboratori, delegati e coadiutori, svolgono attività che dovrebbe svolgere il curatore nell'ambito dei propri doveri funzionali e delle proprie competenze.

Quando invece per le finalità della procedura sia necessaria un'attività che esula dalle attribuzioni e dalle competenze proprie del curatore non si potrà parlare né di delegati, né di coadiutori.

questo è il caso, in generale, dei professionisti o dei prestatori d'opera officiati per lo svolgimento di un'attività di lavoro autonomo.

Costoro operano, infatti, per differenza, in ogni altro settore, e vengono officiati allorchè il fallimento, per le proprie finalità, necessiti di un'attività di tipo specialistico che il curatore non è chiamato ad espletare e di cui, pertanto, non risponde in via diretta (così Cass. 09/05/2011, n. 10143, che illustra anche in modo particolarmente chiaro ed esaustivo le nozioni di delegato e di coadiutore).

Ecco dunque che, alla luce di tale caratterizzazione, emerge l'esistenza di almeno una terza categoria di “collaboratori” del curatore – quella dei professionisti ovvero degli esperti o consulenti – che si aggiunge a quelle dei delegati e dei coadiutori.

Nella categoria dei professionisti rientrano, alla luce di quanto previsto dall'art. 25 n. 6 l.fall., in primo luogo, gli avvocati, o, meglio, tutti coloro che possono svolgere attività difensive in procedimenti giudiziali (come ad es. i dottori commercialisti nell'ambito del processo tributario). L'art. 25 n. 6 utilizza infatti il più generico appellativo di “difensori”.

Vi rientrano altresì i periti stimatori, di cui è traccia nell'art. 87, secondo comma, l.fall., che parla infatti, e per l'appunto, di “stimatori”.

Entrambe le norme individuano dunque queste due figure professionali sulla base della loro funzione generica, giacchè non parlano di avvocati, ma di “difensori”, né di ingegneri o architetti o geometri o periti industriali ecc., ma di “stimatori”.

Merita di essere ricordato anche l'art. 104-ter, quarto comma, in materia di programma di liquidazione, laddove la miniriforma del 2015 ha introdotto la previsione secondo cui “Il curatore, fermo restando quanto disposto dall'articolo 107, può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti o società specializzate alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo”. La norma, aggiungendo al novero dei professionisti o esperti anche le “società specializzate”, enuclea in via eccezionale figure professionali da utilizzare come delegati (in quanto affidatarie di incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo proprie del curatore) e sembra anche porsi, detto tra parentesi, in contraddizione derogatoria con quanto previsto dall'art. 32, primo comma, nel punto in cui quest'altra norma, prevedendo la possibilità di nomina dei delegati, esclude però che il curatore possa avvalersene non solo in materia di verifica di crediti, ma anche di adempimenti in materia di liquidazione dell'attivo previsti proprio dall'art. 104-ter.

A parte ciò, queste disposizioni sembrano dunque chiaramente presupporre una terza, distinta e residuale categoria di collaboratori, che non rientrano né nel concetto di delegati, né in quello di coadiutori.

è quindi da ritenere che il novero dei professionisti o prestatori d'opera officiabili non sia un numero chiuso, e che vi possa rientrare invece qualunque esperto in arti o professioni o mestieri (comprese le “società”), anche se non eretti in ordini o collegi.

A titolo di completezza (e con rammarico) segnalo quanto fosse sorprendentemente più completo il Codice di commercio 1882, che, da un lato, nell'art. 727 prevedeva, al secondo comma, che il giudice delegato “nomina(sse), a proposta del curatore, gli avvocati, i procuratori, i notari, gli uscieri, i periti, i mediatori e i custodi, l'opera dei quali dev'essere impiegata per ciascun affare del fallimento”; e “liquida(sse) le spese, i compensi e le indennità che devono ai suddetti pagarsi”, chiaramente enucleando tutte le più ricorrenti figure di collaboratori ed assoggettandole ad una medesima disciplina in punto di individuazione del titolare dei poteri di nomina (il giudice delegato, chiamato allo stesso compito anche dall'art. 200 per la nomina degli stimatori) e di liquidazione dei compensi; e dall'altro, nell'art. 751 prevedeva che il curatore trattasse “personalmente tutti gli affari del suo ufficio” ove non fosse stato “autorizzato dal giudice delegato a farsi rappresentare da altri, per singole operazioni, a sue spese”, anticipando così quel criterio di riduzione dei costi dei delegati poi nuovamente introdotto solo nel 2006, e soggiungendo che “Egli può inoltre essere autorizzato dal giudice delegato, sentita la delegazione dei creditori, ove circostanze particolari lo richiedano, a farsi coadiuvare nell'amministrazione, sotto la sua responsabilità, da una o più persone stipendiate. Può anche essere autorizzato ad impiegare il fallito per facilitare la sua amministrazione, e in tal caso le condizioni della prestazione d'opera del fallito sono determinate dal giudice delegato”, dettando anche in tal caso una disciplina per la liquidazione del compenso dei coadiutori simile a quella attuale .

Riprendendo le fila del discorso, per la residuale categoria dei professionisti/esperti si pongono due problemi che, invece, per la diversa ipotesi di utilizzo dei delegati e coadiutori, sono superati dalla disciplina espressa apprestata dall'art. 32.

Tali problemi attengono all'individuazione di chi abbia, da un lato, il potere autorizzatorio che sta alla base del potere di nomina, e, dall'altro, di chi abbia il potere di liquidare i compensi.

L'art 32, quanto al primo problema, rende chiaro che, per avvalersi di delegati e coadiutori, il curatore deve essere autorizzato - previamente - dal comitato dei creditori (anche se non è escluso un potere autorizzatorio postumo, ossia un potere di ratifica, allorchè, per le più diverse ragioni giustificative e di urgenza, il curatore non abbia potuto rivolgersi previamente al comitato).

Si badi: la norma non disciplina affatto espressamente il potere di nomina, da intendersi propriamente come il potere – concettualmente distinto ed autonomo - di individuazione del singolo soggetto che dovrà svolgere l'attività di delegato o coadiutore, e a cui verrà dunque in concreto conferito l'incarico.

Quando l'art. 32 afferma, al primo comma, che il curatore “può delegare ad altri specifiche operazioni”, o, al secondo comma, che egli può farsi “coadiuvare da tecnici o altre persone retribuite” non attribuisce specificamente al curatore il potere di individuare chi svolgerà le specifiche operazioni o chi in qualità di tecnico potrà coadiuvarlo, ma è opinione comune, del tutto ragionevole a mio parere, che per implicito la norma intenda (e il legislatore intendesse) attribuirgli proprio tale potere.

Una conferma di tale diverso orientamento normativo si rinviene testualmente proprio nel citato art. 25 n. 6, in relazione all'art. 31, secondo comma, ove è stato previsto - letteralmente - un potere di nomina dei difensori promanante dal curatore (“il giudice delegato … liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito ai difensori nominati dal medesimo curatore”), pur nel contesto di una necessaria autorizzazione ad agire che promana invece dal giudice delegato.

E, sebbene qualche anno fa vi sia stato chi, in giurisprudenza, ha voluto offrire una diversa lettura della norma (cfr. Tribunale Firenze 22/03/2007, in Fall., 2007, 673, con nota di Minutoli), ipotizzando un immutato potere di nomina dei difensori in capo al giudice delegato, la tesi sembra essere stata definitivamente e motivatamente smentita dalla S. Corte, che ormai dà per certo ed indiscutibile il potere di nomina in capo al curatore. Ad es. Cass. civ., sez. I, 04/06/2012, n. 8929, esclude che vi sia stato da parte del legislatore un eccesso di delega in sede di riforma, e ha ritenuto quindi infondata la relativa eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 31 legge fall. in relazione all'art. 25 n. 6, con riferimento al potere del curatore di nominare autonomamente un difensore (implicitamente dando così per presupposto il suddetto potere di nomina), tale norma non esorbitando – a suo giudizio - dai limiti della delega, e rispondendo invece al criterio di speditezza della procedura, che rappresenta l'obiettivo preminente del legislatore delegante.

Aggiungo che analogo riferimento ad un potere diretto di nomina da parte del curatore si rinviene anche nel citato art. 87, secondo comma (“Il curatore, quando occorre, nomina uno stimatore”).

Né potrebbe considerarsi derogatoria rispetto a questo criterio-guida la previsione dell'art. 25 n. 7), laddove si attribuisce al giudice delegato il potere di nominare gli arbitri (su proposta del curatore). Gli arbitri, infatti, non possono propriamente considerarsi collaboratori del curatori, stante l'imparzialità che dovrebbe caratterizzarne la funzione.

In ultima analisi, credo sia possibile concludere che il potere di nomina di qualunque collaboratore del curatore, nel fallimento, spetti sempre ed esclusivamente al curatore, e a nessun altro.

E non solo mi pare che questa soluzione sia condivisibile in diritto. Sono convinto per di più della sua preferibilità anche sul piano della politica giudiziaria, poiché va a mio parere salutata con favore la sottrazione all'organo giudicante di un potere di nomina di professionisti che aveva finito per creare in passato, quanto meno in alcuni fori, qualche ombra sull'effettività di un suo esercizio davvero imparziale ed equilibrato, con grave danno per l'immagine di autorevolezza e terzietà del giudice delegato.

Il fatto però che il potere di nomina, nell'attuale disciplina, spetti sempre al curatore, non implica affatto a) né che il curatore sia totalmente libero di avvalersi di chiunque egli desideri chiamare alle funzioni di delegato, coadiutore, professionista o esperto; b) né che non debba farsi previamente autorizzare ad avvalersi di questo o quel collaboratore o dal giudice delegato o dal comitato dei creditori.

a) Sul primo aspetto, quello dei limiti in cui il curatore può considerarsi libero di effettuare la nomina del singolo soggetto di cui intende avvalersi nella veste di delegato, coadiutore, professionista o esperto, sembra dirimente una banale considerazione: al giudice delegato e al comitato dei creditori sono affidati poteri di sorveglianza sul curatore che presuppongono necessariamente ed evidentemente la possibilità di sindacarne l'attività, se contraria alle finalità concorsuali e in particolare agli interessi dei creditori. Senza tale potere di sindacato, il controllo sarebbe infatti fine a se stesso.

Che questo controllo, quando venga in luce un contrasto che trovi poi sfogo nel reclamo ex art. 36 l.fall., sia soggetto ad alcuni limiti, come dimostra il fatto che tale norma prevede come motivi di impugnativa le sole violazioni di legge, ha poco rilievo ai fini della disamina della tematica qui investigata, poiché non par dubbio che la selezione di un certo professionista o di un certo esperto possa costituire violazione di legge sotto vari aspetti (ad es. se il curatore abbia un interesse personale alla nomina, se faccia accordi contra legem con il nominato, ecc.).

Pertanto non è in discussione che il comitato dei creditori o il giudice delegato, ciascuno nei casi di autorizzazione di propria competenza, possano esercitare un controllo sui criteri di scelta dei collaboratori in concreto nominati dal curatore.

Di più. Non sembra neppure irrituale che i giudici delegati possano prefigurare con circolari o atti d'indirizzo di carattere generale quei criteri di selezione che, a loro giudizio, meritino di essere seguiti e che possano come tali escludere un diniego di autorizzazione quando le nomine decise dai curatori nei singoli casi appaiano censurabili.

In questo senso, come vedremo, meriterebbero anzi applicazione generalizzata alcuni criteri adottati dalle prassi più virtuose e da ultimo normativizzati dal Ministero dello Sviluppo nell'ambito delle procedure di amministrazione straordinaria.

b) Quanto al secondo aspetto, mi pare che l'insieme del quadro normativo sia espressivo di una generalizzata necessità di autorizzazione, demandata vuoi al comitato dei creditori (in via basica, giusta quanto previsto dall'art. 32), vuoi (in via speciale e con riferimento a singoli casi) al giudice delegato.

Mi pare sia rinvenibile una sola eccezione, quella del citato art. 87, secondo comma.

Tale norma, infatti, in una situazione – quella di redazione dell'inventario - che cade temporalmente poco dopo l'apertura del fallimento, consente la nomina dello stimatore da parte del curatore, apparentemente senza necessità di alcuna previa autorizzazione, e verosimilmente proprio a causa dell'urgenza, quando per di più è quasi certo che ancora manchi un comitato dei creditori già regolarmente costituito.

Soggiungo, per replicare alla facile obiezione che, però, in mancanza del comitato dei creditori, potrebbe essere il giudice delegato ad autorizzare tale nomina, che, da un lato, la suddetta urgenza di provvedere sembra giustificare ex se che possa farsi a meno anche dell'autorizzazione del giudice delegato, e, dall'altro, che un potere autorizzatorio del giudice delegato sarebbe stato e sarebbe alquanto distonico nel contesto di una riforma, quella attuata nel 2006 (con il D.Lgs. n. 5/2006) e poi proseguita nel 2007 (con il D.Lgs. n. 169/2007), che ha traslato in generale il baricentro dei poteri organizzatori/gestori dal giudice delegato al curatore, trasferendo al comitato dei creditori molti dei poteri di collaborazione alla gestione attiva del curatore (esplicati mediante autorizzazioni tutorie) che prima competevano al giudice delegato.

Mi sembra anche utile precisare, peraltro, che la suddetta norma, intesa come attributiva al curatore del potere di nomina dello stimatore senza la contestuale necessità di un'autorizzazione ad avvalersene da parte del comitato dei creditori (né del giudice delegato), ha carattere palesemente eccezionale, alla stregua di una disciplina che, in via generale, prevede come necessaria tale autorizzazione, sì che essa va interpretata, di necessità, in senso restrittivo.

Pertanto, se si pone mente al fatto che l'art. 87 si riferisce, a ben vedere, ad uno stimatore da nominarsi in sede di inventario, il quale, a rigore, riguarda solo i beni mobili (giacchè non si inventariano in senso proprio i beni immobili, per i quali è prevista solo quell'astratta forma di apprensione costituita dalla trascrizione della sentenza di fallimento nei registri immobiliari), dovrebbe concludersi che analogo potere il curatore non abbia affatto quando intenda avvalersi di uno stimatore immobiliare, anch'egli da considerare (non un coadiutore, ma) un professionista esterno.

Vero è che è ormai invalsa in molti tribunali la prassi di equiparare le due figure e quindi considerare possibile anche per lo stimatore immobiliare la nomina da parte del curatore senza alcuna previa autorizzazione, ma si tratta, appunto, di un'estensione interpretativa che, a ben vedere, va molto al di là del tenore dell'art. 87, comma 2, e che a mio parere è impedita dal tenore eccezionale della suddetta norma.

Di conseguenza il curatore dovrebbe munirsi di una previa autorizzazione per potersi avvalere di uno stimatore immobiliare, ferma restando la facoltà, che in generale gli compete, di nominarlo (individuando il particolare soggetto cui conferire l'incarico).

Quanto all'organo cui è demandato il potere di autorizzazione ad avvalersi di uno stimatore immobiliare, indubbiamente non è facile individuarlo, in mancanza di specifici indici normativi.

Mi pare non dimeno congruente ritenere che tale potere spetti al comitato dei creditori.

Infatti non soltanto le riforme concorsuali del 2006 e del 2007 hanno palesemente traslato in capo al comitato dei creditori, come appena ricordato, molti dei poteri autorizzatori che prima erano attribuiti al giudice delegato, ma anche le singole norme che disciplinano tali poteri sembrano dimostrare che al giudice delegato restano poteri autorizzatori limitati e residuali, con riferimento a soli due casi espressamente contemplati e nemmeno correlati l'uno con l'altro.

Così il già richiamato art. 25 n. 6, da leggersi unitamente all'art. 31, secondo comma, prevede che l'autorizzazione ad agire in giudizio (salve le ipotesi eccettuate espressamente) debba essere conferita al curatore dal giudice delegato. Tale potere autorizzatorio, avente ad oggetto l'esercizio di azioni, è attribuito parimenti al giudice delegato da altre norme che prevedono l'esercizio di specifiche azioni. Al giudice delegato è attribuito tale potere data la particolare importanza dell'attività difensiva, le rischiose conseguenze che essa implica e la necessità quindi di affidare il potere di collaborazione alla gestione attiva del curatore (mediante autorizzazione) ad un organo di particolare competenza, come è appunto il giudice delegato. Coerentemente l'art. 41 prevede, al comma ottavo, che l'azione di responsabilità verso i componenti del comitato dei creditori, proponibile dal curatore durante lo svolgimento della procedura, debba essere autorizzata dal giudice delegato (“Con il decreto di autorizzazione il giudice delegato sostituisce i componenti del comitato dei creditori nei confronti dei quali ha autorizzato l'azione”). Ovviamente in tal caso non è richiesto né che sia sentito previamente il comitato, né che questo esprima un parere, visto che proprio il comitato, o un suo membro, è il soggetto passivo della proponenda azione. quando tale situazione di conflitto non ricorra, la partecipazione del comitato dei creditori è invece variabilmente prevista, fermo restando il potere autorizzatorio del giudice delegato. In tal senso, l'art. 146 prevede, al secondo comma, che “sono esercitate dal curatore previa autorizzazione del giudice delegato, sentito il comitato dei creditori: a) le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori; b) l'azione di responsabilità contro i soci della società a responsabilità limitata, nei casi previsti dall'articolo 2476, comma settimo, del codice civile”. Allo stesso modo, l'art. 38, al secondo comma, prevede addirittura un potere alternativo di autorizzazione in capo al comitato dei creditori, statuendo che durante il fallimento l'azione di responsabilità contro il curatore revocato è proposta dal nuovo curatore, “previa autorizzazione del giudice delegato, ovvero del comitato dei creditori”.

L'esercizio di tutte tali azioni è dunque condizionato all'autorizzazione del giudice delegato e in un caso, in via alternativa, del comitato dei creditori.

La seconda ipotesi di potere autorizzatorio attribuito singulatim al giudice delegato si rinviene nell'art. 104-ter, stante il riferimento fatto da tale norma a professionisti o società specializzate, di cui spetta al giudice delegato autorizzare l'utilizzo per lo svolgimento di incombenti in materia liquidativa. La previsione di tale potere in capo al giudice delegato si deve forse all'elevato costo che questo utilizzo può comportare.

Al di fuori di questi due casi (esercizio di azioni e delega di incombenti liquidativi) sembra dover prevalere in ogni altro caso il criterio della necessaria autorizzazione da parte del comitato dei creditori, se non altro, in primo luogo, per continuità analogico-sistematica con quanto previsto dall'art. 32 a proposito delle due tipiche categorie di collaboratori, quelle dei delegati e dei coadiutori.

Per entrambe tali categorie, infatti, come si è già rilevato, la suddetta norma, nel testo attualmente vigente, prevede, ai fini della nomina, la necessaria e previa autorizzazione del comitato dei creditori, così ponendo termine a quell'instabile alternanza del potere autorizzatorio, diviso tra giudice delegato e comitato dei creditori, conosciuta fino ad un recente passato.

Mi pare che la soluzione qui propugnata non sia contraddetta, ma semmai confermata dall'art. 25 n. 4, laddove tale norma statuisce che il giudice delegato, su proposta del curatore, liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito alle persone la cui opera è stata richiesta dal medesimo curatore nell'interesse del fallimento. Tale norma fa infatti riferimento letterale sì ad incarichi conferiti, evidentemente dal curatore, e quindi ad incarichi che hanno portato ad una nomina da parte di costui, ma specifica poi, non senza che ciò possa passare inosservato, che le relative prestazioni d'opera sono “richieste dal curatore”, lasciando intendere che tale richiesta sia rivolta non tanto ai prestatori d'opera, quanto, ancor prima, o al giudice delegato o al comitato dei creditori, per ottenerne l'autorizzazione. Vero è che, secondo un'opposta corrente interpretativa, la norma dovrebbe interpretarsi in senso esattamente contrario, ossia come se l'espressione “persone la cui opera è stata richiesta dal medesimo curatore nell'interesse del fallimento” significasse che il curatore richiede tali opere senza alcuna autorizzazione né del giudice delegato, né del comitato dei creditori. Ma tale conclusione, oltre a conferire alla locuzione “richieste” il significato - opposto a quello apparente - di prestazioni “ordinate” o “affidate”, ponendo come soggetto attivo dell'ordine o dell'affidamento il curatore (nel senso che costui avrebbe ordinato le prestazioni ai terzi o le avrebbe loro affidate sua sponte), quando invece una richiesta è di solito una semplice domanda o invocazione o sollecitazione, che sembrerebbe piuttosto da rivolgere a chi possa autorizzare il ricorso alla prestazione; essa si pone comunque in contrasto con quelle altre norme che prevedono in generale l'autorizzazione del comitato dei creditori affinchè il curatore possa avvalersi di collaboratori (in primis l'art. 32 per la nomina dei delegati e coadiutori), o che in via ancor più generale attribuiscono al comitato dei creditori il potere di autorizzare gli atti del curatore (art. 41, comma 1) e sempre e comunque quelli di più consistente rilievo economico (art. 35 l.fall.).

In definitiva, a me pare che, siccome sarebbe distonico rispetto al sistema giusfallimentare basare un generale potere del curatore di decidere se avvalersi o meno di professionisti esterni sul solo art. 87, comma 2, che è l'unica norma apparentemente idonea a sostenere un potere del curatore di decidere se avvalersi di un esperto per l'attività di stima oltre che di nominare egli stesso lo stimatore, laddove invece tutte le altre norme, ossia gli artt. 32, 25 n. 4, 25 n. 6 e 104-ter, subordinano sempre questo tipo di decisioni ad autorizzazioni del giudice delegato o del comitato dei creditori, sono portato a dedurne che le attività professionali diverse da quelle per cui è espressamente disciplinato il potere di autorizzarle debbano essere comunque quantomeno autorizzate dal comitato dei creditori, in conformità con la preferenza che l'attuale sistema normativo mostra di avere per l'attribuzione a quest'organo di ogni potere autorizzatorio per il compimento di atti da parte del curatore, non spettante in via residuale e singulatim al giudice delegato. Conclusione che mi pare del resto perfettamente in linea con il criterio uniforme delineato dalla succitate tre norme di carattere generale: l'art. 35 l.fall., che in generale prevede in capo al comitato dei creditori il compito di integrare, con le proprie autorizzazioni, i poteri del curatore nel compimento di atti di rilevante rilievo economico; l'art. 41, primo comma, che attribuisce in via generale al comitato dei creditori il potere di autorizzare gli atti del curatore; l'art. 104-ter che sottopone all'approvazione del comitato dei creditori l'atto di maggior rilievo economico-strategico dell'intera procedura, il programma di liquidazione.

Il secondo problema da risolvere è, come anticipato, per i collaboratori rientranti nella residuale categoria dei professionisti/esperti, quello dell'individuazione dell'organo cui è affidato il potere di liquidarne i compensi.

Si tratta però, fortunatamente, di un problema meno complicato, poiché, anche se manca una norma di carattere generale anche a questo riguardo, la soluzione può facilmente rinvenirsi nelle previsioni del citato art. 25, in particolare quelle contenute al n. 4 e al n. 6, poiché tali disposizioni prevedono indifferentemente sempre in capo al giudice delegato il potere liquidativo, sia per i difensori che per le altre persone la cui opera è stata richiesta dal curatore nell'interesse del fallimento, conformandosi così alle analoghe previsioni di cui all'art. 32, primo e secondo comma, relative al potere di liquidare i compensi di delegati e coadiutori.

Merita semmai segnalare che il potere del giudice delegato viene considerato, dalla prevalente giurisprudenza, finanche infungibile. Secondo la S. Corte, infatti (Cass. civile sez. I, 19/02/1999, n. 1394), l'art. 25 attribuisce al giudice delegato la competenza esclusiva in ordine alla liquidazione dei compensi dovuti ai consulenti. Ne consegue che lo stesso tribunale non può procedere, in assenza di reclamo, a modificare il decreto adottato al riguardo dal giudice delegato, cui deve riconoscersi natura giurisdizionale, recando esso statuizioni in merito al diritto soggettivo al compenso, e che, proprio per la mancanza del reclamo, sia divenuto definitivo.

Le incoerenze del sistema nel raffronto con le nuove ipotesi di incompatibilità di curatori, commissari, liquidatori e coadiutori

Sta di fatto che non soltanto la breve rassegna fin qui svolta sull'attuale disciplina fallimentare in tema di nomina dei collaboratori del curatore fa emergere le segnalate criticità, ma, se si sposta il focus su altre norme speciali che lambiscono la medesima materia o su quelle che in via parallela la disciplinano con riferimento alle altre procedure concorsuali, ci si avvede che il legislatore si muove in quest'ambito davvero alla rinfusa, e quasi schizofrenicamente.

Un primo esempio di incoerenza, che dimostra sinanche la perplessità (o l'inconsapevolezza) che ha il medesimo legislatore nel muoversi all'interno della sfera normativa delle nomine dei collaboratori degli organi gestori concorsuali, è quanto disposto dal decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 54, che, approdato in Gazzetta Ufficiale (la n. 121) pochi giorni fa, il 26 maggio 2018 (se ne è data notizia con news de www.ilFallimentarista in data 30 maggio 2018), è stato emanato per disciplinare in principalità, con disposizioni ulteriori, in modo quanto mai rigoroso, il regime delle incompatibilità degli amministratori giudiziari nominati nell'ambito delle procedure di prevenzione penale e dei loro coadiutori.

Si tratta di un'evidente reazione ai noti fatti di cronaca che hanno portato all'incriminazione di una ex Presidente della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, accusata di aver attribuito incarichi di amministratore giudiziario favorendo alcuni professionisti, i quali, a loro volta, avrebbero affidato incarichi di coadiutore al marito della stessa o a parenti ed amici di altri magistrati.

Non sorprende che, dinanzi a fatti così gravi, per quanto ancora oggetto di accertamento, il legislatore abbia ritenuto di intervenire con una certa solerzia, stringendo ancor di più le maglie normative in materia di nomine e creando ipotesi di incompatibilità non più orizzontali (rapporti intercorrenti tra il soggetto nominato ed i soggetti prevenuti), ma verticali (in senso discendente dal magistrato al soggetto nominato).

Tuttavia, le nuove disposizioni disegnano casi di incompatibilità palesemente “extra-large”.

Il provvedimento prevede, infatti, in via generale ed oggettiva, l'incompatibilità degli amministratori giudiziari e dei loro coadiutori per rapporti di parentela, affinità, convivenza e, comunque, anche soltanto di assidua frequentazione, con qualunque magistrato risulti addetto all'ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l'incarico.

In sostanza, l'incompatibilità è prevista non già con riferimento ai soli magistrati dell'ufficio che conferiscano gli incarichi, ma – per una sorta di proprietà transitiva o di un virus epidemico - con qualunque altro magistrato addetto al medesimo ufficio cui appartengono i magistrati conferenti gli incarichi stessi.

Il decreto esige che l'amministratore nominato depositi entro due giorni dalla comunicazione della nomina una dichiarazione attestante l'insussistenza delle cause di incompatibilità, a pena di essere sostituito d'urgenza; sostituzione che verrà disposta anche nel caso in cui, dalla dichiarazione depositata, emerga la sussistenza di una causa di incompatibilità. Quando poi venga resa una dichiarazione di circostanze non corrispondenti al vero da parte di un soggetto iscritto ad un albo professionale, il tribunale deve segnalarlo all'ordine o al collegio professionale ai fini della valutazione di competenza in ordine all'esercizio dell'azione disciplinare, nonché al presidente della Corte di appello affinchè dia notizia della segnalazione a tutti i magistrati del distretto.

Per di più nella dichiarazione il soggetto incaricato deve comunque indicare l'esistenza di rapporti di coniugio, unione civile o convivenza di fatto, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo grado, o frequentazione assidua, con magistrati, giudicanti o requirenti, che appartengano addirittura all'intero distretto di Corte di appello nel quale ha sede l'ufficio giudiziario presso il quale è pendente il procedimento.

Il presidente della Corte di appello dovrà tener conto delle risultanze delle dichiarazioni ai fini dell'esercizio, su tutti gli incarichi conferiti, del suo potere di sorveglianza. A questo proposito, peraltro, salta all'occhio come il legislatore si sia dimenticato di chiarire che cosa succede se il rapporto con i soggetti nominati ce l'abbia proprio… lo stesso Presidente della Corte.

Analoghe, anche se non identiche, le prescrizioni dettate per i coadiutori degli amministratori giudiziari, che a loro volta devono redigere entro due giorni la medesima dichiarazione circa le incompatibilità, ma consegnandola in tal caso all'amministratore giudiziario che, entro i due giorni successivi, deve depositare in cancelleria la dichiarazione del coadiutore. Se il coadiutore non consegna la dichiarazione o se dalla dichiarazione emerge la sussistenza di una causa di incompatibilità, l'amministratore giudiziario non può avvalersi del coadiutore nominato.

Ebbene, tutte queste prescrizioni sono state tout court estese – apportando talune modifiche alla legge fallimentare, alla disciplina della procedura di amministrazione straordinaria e a quella di due procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento - ai curatori fallimentari e ad alcuni organi delle predette procedure concorsuali.

Il provvedimento prevede infatti, in via estensiva, le stesse ipotesi di incompatibilità sopra indicate anche per i curatori fallimentari e i relativi coadiutori, nonché per i commissari che nella prima fase di apertura delle procedure di amministrazione straordinaria siano autonomamente nominati dal Tribunale (e non dal MISE) e ai loro coadiutori, ed anche, questa volta in materia di sovraindebitamento, al gestore eventualmente nominato dal giudice quale affidatario del patrimonio del debitore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori quando sia proposto agli stessi un accordo di ristrutturazione ed il piano preveda la presenza di tale gestore, ed infine al liquidatore che venga a sua volta nominato quando sia dichiarata aperta la procedura di liquidazione giudiziale.

Che si tratti di un'area di incompatibilità soggettivamente davvero eccessiva, si è già detto.

Si tratta infatti un'estensione abnorme, che finirà per rendere di fatto impraticabile qualunque rapporto anche di semplice amichevolezza o frequentazione tra professionisti e magistrati, anche se essi non abbiano alcun rapporto tra di loro nell'ambito specificamente lavorativo.

E se questo in qualche misura potrebbe forse ammettersi – alla luce dei ricordati fatti di cronaca e della delicatezza della stessa materia trattata - per le nomine fatte nell'ambito della prevenzione penale, specie nell'ambito delle misure di prevenzione antimafia, pare davvero sproporzionato ed esorbitante nel contesto delle ordinarie nomine degli organi concorsuali.

E non è escluso che già sotto tale profilo le nuove norme possano destare dubbi di (in-)costituzionalità sotto il profilo dell'irragionevolezza.

Ma sta poi di fatto che la nuova normativa si rivela anche incomprensibilmente ed ingiustificatamente disparitaria, il che aggrava ed amplifica quanto mai i suddetti dubbi.

Non si comprende ad esempio per quale motivo le nuove ipotesi di incompatibilità previste per i curatori dei fallimenti e per i commissari delle procedure di amministrazione straordinaria (e per i già detti organi di due procedure di sovraindebitamento) non debba riguardare invece i commissari o liquidatori giudiziali dei concordati preventivi, pur potendo immaginarsi anche per questi organi la sussistenza delle stesse ragioni di cautela che sottendono le incompatibilità previste per i primi.

Non si comprende nemmeno perché esse debbano poi valere, ad esempio, per un consulente del lavoro, o per un consulente fiscale, essendo costoro catalogabili (di norma) nella categoria dei coadiutori, e non invece per un avvocato che debba difendere il fallimento in giudizio, o non per un ingegnere o un geometra che debbano svolgere l'attività di periti stimatori (and so on), ossia per professionisti che, come già detto, non possono collocarsi propriamente nella medesima categoria dei coadiutori.

è infatti del tutto evidente che anche per i professionisti e per gli altri esperti cui siano conferibili incarichi di collaborazione esterna ben potrebbe ritenersi sussistente la stessa ragione di selezione negativa che sta alla base delle nuove incompatibilità previste per i coadiutori. E del resto l'estensione delle incompatibilità riguardanti i coadiutori prescinde evidentemente dal fatto che la nomina non provenga dal magistrato (ma bensì dal curatore su autorizzazione del Comitato dei creditori ex art. 32 l.fall.), allo stesso modo in cui non dal magistrato, ma sempre dal curatore (di norma su autorizzazione del comitato dei creditori) sono nominati avvocati e periti.

Si sconosce anche perché queste incompatibilità non debbano invece riguardare i delegati del curatore (nominati ex art. 32, primo comma, l.fall.), pur in presenza, anche in tal caso, di quelle stesse ragioni di selezione negativa che sottendono le incompatibilità previste per i coadiutori e che non recedono certamente nel caso di nomina dei delegati (anch'essi soggetti ad autorizzazione preventiva del comitato dei creditori) sol perché il compenso ai delegati va poi sottratto dal compenso destinato ai curatori, mentre ciò non è previsto per il compenso dei coadiutori, quanto meno tenuto conto che sarà sempre un magistrato a liquidare il compenso sia nell'uno che nell'altro caso, non mutando quindi l'eventuale situazione di favoritismo che possa trovare sfogo nella liquidazione di compensi eccessivi a favore di taluni soggetti.

Al di là dei dubbi di costituzionalità che suscita tale quadro di evidente incoerenza e disparità di trattamento, è comunque assai forte il sospetto che chi ha scritto le nuove norme non avesse alcuna contezza della distinzione concettuale e giuridica tra delegati, coadiutori e professionisti/esperti, e che abbia avuto in mente, probabilmente, e sbagliando, o una nozione di coadiutori onnivora ed omnicomprensiva, intendendo inclusa in essa ogni altra categoria di collaboratori degli organi di gestione concorsuale, oppure abbia avuto presente solo la casistica dei coadiutori usualmente nominati nell'ambito delle procedure di prevenzione penale ai sensi dell'art. 35, quarto comma, del codice antimafia di cui al citato D.Lgs. n. 159/2011, laddove infatti, da un lato, non esiste un comitato dei creditori, di talchè l'amministratore giudiziario chiede sempre ad un magistrato (il giudice delegato) di essere autorizzato a farsi coadiuvare da tecnici o da altri soggetti qualificati ovvero, in caso di particolare complessità della gestione, da un apposito “ufficio di coadiuzione”; mentre, dall'altro, gli avvocati liberi professionisti non vengono officiati affatto, se non, eccezionalmente, ossia solo quando non sia possibile per gli amministratori giudiziari ricevere assistenza legale dall'Avvocatura dello Stato (cfr. art. 39 del citato D.Lgs.).

Le incoerenze sistemiche nel raffronto con le norme sull'amministrazione straordinaria

La schizofrenia legislativa emerge anche dal raffronto con l'art. 41 del D.Lgs. 270/1999 in tema di amministrazione straordinaria.

Tale norma, che nel disciplinare l'intrasmissibilità delle attribuzioni del commissario straordinario e le modalità delle nomine dei collaboratori corrisponde, nella diversa sedes materiae, all'art. 32 l.fall., è, nella versione modificata dal cd. Decreto Sviluppo (D.L. n. 83/2012 conv. in L. 134/2012), molto più chiara e completa dell'art. 32.

Essa infatti prevede espressamente sia le figure dei delegati e coadiutori, sia quelle dei professionisti ed esperti esterni, confermando in questa sede, con una norma esplicita, quell'inferenza sull'esistenza di una terza categoria residuale di collaboratori che include professionisti ed esperti, che abbiamo tratto invece in via meramente interpretativa nell'ambito della disciplina fallimentare.

Recita la predetta norma: “1. Il commissario esercita personalmente le attribuzioni del proprio ufficio, con facoltà di delegare ad altri, sotto la propria responsabilità, le funzioni inerenti alla gestione corrente dell'impresa. Negli altri casi, la delega può essere conferita soltanto per singole operazioni e con l'autorizzazione del Ministero dell'industria. L'onere per il compenso del delegato è detratto dal compenso del commissario. 2. Il commissario può essere autorizzato dal comitato di sorveglianza a farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite, compreso il fallito, sotto la propria responsabilità e ad attribuire a professionisti ed esperti incarichi di consulenza e collaborazione tecnica e professionale limitatamente ai casi di effettiva necessità e previa verifica circa la insussistenza di adeguate professionalità tra i dipendenti dell'impresa”.

La norma dunque contempla espressamente la nomina di professionisti ed esperti, cui conferire incarichi di consulenza e collaborazione tecnica e professionale, ponendo criteri restrittivi di evidente ragionevolezza(limitatamente ai casi di effettiva necessità e previa verifica circa la insussistenza di adeguate professionalità tra i dipendenti dell'impresa).

Deve segnalarsi che non vi sono altre norme che, in tema di amministrazione straordinaria, facciano dipendere il potere del commissario di esercitare le azioni in giudizio da autorizzazioni altrui.

Spetta dunque certamente al commissario l'autonomo potere di decidere se esercitare le azioni senza che nemmeno il MISE possa metter bocca (in evidente disformità rispetto a quanto stabilito dall'art. 25 l.fall. circa il potere del giudice delegato di autorizzare il curatore all'esercizio di azioni), ma la nomina dei professionisti, legali compresi, è soggetta all'autorizzazione del comitato di sorveglianza.

Quanto alla decisione di agire o resistere in giudizio assunta dai commissari, anche secondo la S. Corte essa non è sindacabile dal Ministero, né sottoposta ad autorizzazione del comitato di sorveglianza ex art. 42 (Cass. civile, sez. I, 29/04/1994, n. 4167: “il commissario dell'amministrazione straordinaria, in quanto munito degli stessi poteri del commissario della liquidazione coatta amministrativa, in forza del rinvio di cui all'art. 1 del d.l. 30 gennaio 1979 n. 26 - convertito in l. 3 aprile 1979 n. 95 -, è direttamente abilitato all'esercizio dell'azione revocatoria, ai sensi dell'art. 67 della legge fallimentare, senza necessità di preventivo consenso dell'autorità di vigilanza - art. 203 e 206 della citata legge fallimentare”).

Se spetta al comitato di sorveglianza autorizzare la nomina del professionista, il comitato non può tuttavia sindacare direttamente la scelta del singolo professionista, ma solo la violazione delle regole che devono presiedere alla scelta più razionale.

Il comitato, inoltre, secondo il medesimo criterio stabilito nell'ambito del fallimento per il comitato dei creditori, deve anche autorizzare il ricorso ai coadiutori, mentre, a differenza che nel fallimento, non spetta al comitato di sorveglianza il potere di autorizzare l'utilizzo di delegati, spettando esso al MISE.

Peraltro, mentre per l'autorizzazione all'utilizzo dei delegati e dei coadiutori la norma non pone vincoli precisi, salva la specificazione che per le deleghe deve trattarsi di singoli atti, e per i coadiutori che della loro attività è responsabile il commissario, per l'utilizzo dei professionisti, invece, alcuni limiti li pone, esigendo – come appena detto - che l'incarico sia dato limitatamente ai casi di effettiva necessità e previa verifica circa la insussistenza di adeguate professionalità tra i dipendenti dell'impresa.

Peraltro i criteri di nomina, soggetti a controllo autorizzatorio del comitato di sorveglianza, sono stati oggetto di una disciplina secondaria ancor più specifica con il decreto MISE 28.7.2016, dettato in attuazione dell'art. 39, secondo comma, D.Lgs. 270/1999, che esaminerò fra poco.

Infine, deve segnalarsi la previsione dell'art. 62, terzo comma, D.Lgs. 270/1999, che, similmente all'art. 87, comma 2, l.fall. sembra attribuire al commissario l'autonomo potere di nomina degli esperti stimatori, peraltro senza distinguere tra stima mobiliare ed immobiliare. Non dimeno l'art. 62 non sembra dettato affatto in deroga all'art. 41, con la conseguenza che non è escluso in linea di principio che la nomina debba essere preceduta dall'autorizzazione del comitato di sorveglianza a norma dell'art. 41.

segue …e nel confronto con la liquidazione coatta amministrativa

Per quanto riguarda la liquidazione coatta amministrativa, il terzo comma dell'art. 199 l.fall. stabilisce che “Si applicano al commissario liquidatore le disposizioni degli artt. 32, 37 e 38, primo comma, intendendosi sostituiti nei poteri del tribunale e del giudice delegato quelli dell'autorità che vigila sulla liquidazione”.

Il che significa che il commissario liquidatore può nominare coadiutori (di questi tratta, infatti, l'art. 32 richiamato tra le altre norme), previa autorizzazione dell'autorità amministrativa di vigilanza.

Dunque in tale procedura il potere autorizzatorio stranamente non appartiene al comitato di sorveglianza.

Non risultano su quest'aspetto precedenti giurisprudenziali, ma è generalizzata in dottrina l'idea che tale comitato abbia – nella liquidazione coatta amministrativa - soltanto poteri consultivi, non quelli molto più penetranti (compresi i poteri autorizzativi) di cui dispone il comitato dei creditori nel fallimento, per cui è da ritenere che le autorizzazioni che nel fallimento competono al comitato dei creditori siano date, nella L.C.A., dall'autorità che vigila sulla liquidazione.

Anche nella liquidazione coatta amministrativa, peraltro, non rientrando il legale nella nozione di coadiutore di cui all'art. 32, richiamato dall'art. 199, è da ritenere che la nomina dello stesso sia lasciata all'autonoma valutazione del liquidatore, almeno stando alla prevalente giurisprudenza, propensa a ritenere anche che al commissario liquidatore nella liquidazione coatta amministrativa non si applichi, neppure in via analogica, l'art. 31, comma 2, l.fall. che prevede la necessaria autorizzazione del giudice delegato affinchè il curatore possa stare in giudizio. Si reputa infatti che se il legislatore, con l'art. 201, ha mostrato di voler attribuire al commissario gli stessi poteri che competono al curatore fallimentare, ne ha però regolato l'esercizio con un rinvio non generalizzato, ma di carattere specifico.

È comune pertanto l'idea che i poteri dei commissario liquidatore in materia di esercizio delle azioni giudiziali debbano essere integrati dall'autorizzazione dell'autorità amministrativa che esercita la vigilanza sulla liquidazione solo quando si tratta di promuovere l'azione di responsabilità di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. (ex art. 206, comma 1) o di porre in essere gli atti di cui al all'art. 35, stante il rinvio di cui al secondo comma dell'art. 206 (Cass. 10/05/2016, n. 9453; Cass. 10/10/2008, n. 24908; Cass. 22/06/1990, n. 6278; Cass. 19/06/1972, n. 1935; e Cass. penale 17/03/2016, n. 20108).

segue … e nel confronto con il concordato preventivo

Quanto al concordato preventivo, ricordo che la nomina dei professionisti durante il procedimento che va fino all'omologa, se si tratta di stimatori, va ancora fatta dal giudice delegato a norma dell'art. 172, terzo comma, l.fall.

I legali, invece, sono nominati direttamente dal debitore, data la sua perdurante capacità d'agire durante il concordato, ed essendo correlata la nomina - per comune opinione – ad un atto di ordinaria amministrazione, quale è da reputare - salvi i casi di eccezionale rilevanza della materia del contendere - l'esercizio di azioni, che come tale resterebbe svincolato dall'autorizzazione del giudice delegato prevista dall'art. 167 l.fall. (per gli atti di straordinaria amministrazione).

Quanto al potere di avvalersi di coadiutori/consulenti, pur non essendo previste nel concordato le figure del delegato e del coadiutore (l'art. 32, infatti, non è richiamato dall'art. 165 che enumera i poteri del commissario giudiziale), si reputa nella prassi che il commissario possa anche servirsi di un professionista per l'espletamento dell'incarico determinato dalle esigenze della procedura, ma che la nomina debba essere autorizzata dal giudice delegato (in applicazione dell'art. 167).

Alcuni precedenti in tal senso si rinvengono quanto alle analoghe ipotesi dell'ormai abrogata amministrazione controllata (Cass. civile, sez. I, 03/05/1982, n. 2735; Cass. civile, sez. I, 17/07/1985, n. 4209; Cass. civile, sez. I, 03/05/1982, n. 2735; Cass. civile, sez. I, 03/12/1981, n. 6400).

Quanto al liquidatore giudiziale con riferimento all'attività svolta in fase post-omologa, in mancanza di disposizioni in materia che siano contenute nel decreto di omologazione, bisogna far capo all'art. 182, che però si limita richiamare alcune disposizioni della legge fallimentare applicabili al curatore, e tra queste non vi sono le norme che trattano dei coadiutori. Considerato, però, che la fase esecutiva concordataria ha indubbiamente subito – come suo dirsi - una progressiva “fallimentarizzazione”, nel senso che la stessa è stata disciplinata sulla falsariga della liquidazione fallimentare, è ragionevole far capo, anche per le fattispecie non regolamentate, alle corrispondenti fattispecie fallimentari. A questo riguardo il criterio preferibile fa perno sulla considerazione che il liquidatore, come il curatore, deve chiedere al giudice delegato il prelievo per qualunque spesa, e nell'autorizzazione al prelievo data dal giudice deve ritenersi implicita anche l'autorizzazione al compimento dell'attività da cui la spesa stessa venga generata.

segue …e nel confronto con il concordato fallimentare

Per quanto riguarda il concordato fallimentare, viene in luce più che altro il problema della nomina dell'esperto chiamato ad attestarne la fattibilità.

Costui dovrebbe essere designato (per depositare la relazione giurata di stima del valore di mercato dei cespiti oggetto della proposta di concordato fallimentare), come sembra più corretto dal tribunale in formazione collegiale ex art. 124, comma 3, l.fall., o, al più, dal Presidente del Tribunale o della sezione fallimentare (ipotesi meno accreditata).

Più dubbia è la soluzione del problema del criterio con cui liquidare il compenso spettante all'esperto (che nel caso in questione dovrebbe di norma essere un dottore commercialista).

Il Tribunale di Milano ha ripetutamente ritenuto che esso debba essere determinato sulla base della tariffa professionale dei dottori commercialisti.

segue … e nel confronto con la procedura di liquidazione giudiziale nel sovraindebitamento

In tale procedura, paradossalmente, il liquidatore sembra godere di poteri maggiori del curatore, poiché l'art. 14-novies della legge 27/01/2012, n. 3, al secondo comma, prevede ad esempio che “Le vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal liquidatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti (…)” e al quarto comma che “I requisiti di onorabilità e professionalità dei soggetti specializzati e degli operatori esperti dei quali il liquidatore può avvalersi ai sensi del comma 1, nonchè i mezzi di pubblicità e trasparenza delle operazioni di vendita sono quelli previsti dal regolamento del Ministro della giustizia di cui all' articolo 107, settimo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”. Soggiunge l'art. 14-decies che “1. Il liquidatore esercita ogni azione prevista dalla legge finalizzata a conseguire la disponibilità dei beni compresi nel patrimonio da liquidare e comunque correlata con lo svolgimento dell'attività di amministrazione di cui all'articolo 14-novies, comma 2. Il liquidatore può altresì esercitare le azioni volte al recupero dei crediti compresi nella liquidazione”.

Come si vede, sono enumerati con chiarezza i poteri del liquidatore circa la nomina di soggetti specializzati ed operatori esperti, nonché l'esercizio di azioni, senza che tali nomine e tali azioni, almeno in apparenza, siano sottoposte ad alcuna autorizzazione.

Ne risulta confermata, anche sotto questo profilo, la confusione sistemica delle norme dettate nelle diverse procedure in materia di nomina e poteri di azione.

Alla ricerca di prassi virtuose : il “beauty contest”

Da svariati anni i Tribunali fallimentari, nel quadro più generale della ideazione ed applicazione di “prassi virtuose”, emanano circolari e atti di indirizzo prefigurando i criteri ottimali cui i curatori dovrebbero attenersi nella nomina di delegati, coadiutori e professionisti/esperti, oltre che per definire in via anticipata l'entità dei relativi compensi ponendo in essere trattative finalizzate a contenerli.

Valga come esempio, una per tutti, la maxi-circolare n. 4/2010 del Tribunale di Milano su “nomine e compensi” emanata il 27 settembre 2010 (che integrava e riunificava i testi delle precedenti circolari emanate il 23.3.2010 e 10.6.2010), reperibile sul sito istituzionale di tale Ufficio, che ha dato luogo all'adozione di molte simili circolari presso altri fori.

All'inizio, tali circolari si limitavano a porre criteri-limite: un certo numero di incarichi conferibili, l'incompatibilità di determinati soggetti in caso di conflitto d'interessi, un certo limite ai compensi, ecc.

In progresso di tempo, si è registrata una ancor più virtuosa evoluzione verso criteri basati sul concetto di “beauty contest”.

Come da definizione corrente, il beauty contest, letteralmente “concorso di bellezza”, è un meccanismo che viene utilizzato per dare risorse ai soggetti che sono in grado di utilizzarle al meglio da un punto di vista economico-finanziario. Il concetto fu introdotto, com'è noto, da John Maynard Keynes nel capitolo 12° della sua “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta” del 1936, come strumento di intervento nell'economia per spiegare le fluttuazioni dei prezzi nella borsa valori. L'idea era che un'asta pubblica può avere come criterio selettivo non tanto (o non solo) la capacità di formulare la maggiore offerta, ma la capacità di esprimere requisiti in grado di garantire “mediamente” il miglior svolgimento del servizio.

Pertanto, diversamente dal meccanismo dell'asta, il beauty contest, nell'accezione che è andato acquisendo, non prevede che un bene venga venduto, o un servizio affidato, o un incarico conferito, al miglior offerente, ma, semmai, all'offerente più idoneo.

A tal fine devono essere evidentemente utilizzati più parametri.

Negli ultimi anni tale sistema è stato utilizzato, ad esempio, nell'assegnazione delle licenze Umts e Wi-Max, ma poi ha avuto una ancor più estesa applicazione e da ultimo viene sovente utilizzato per effettuare le selezioni di avvocati chiamati a difendere enti pubblici.

I compensi per gli avvocati sono peraltro, a tutti gli effetti, “vantaggi economici” e come tali, quando l'ente conferente abbia natura pubblica, devono essere attribuiti secondo criteri e modalità predeterminati ai sensi dell'art. 12 della legge n. 241/1990 sulla trasparenza amministrativa (ma conviene anche ricordare che, ai sensi dell'art. 1, comma 35, della cd. legge Anticorruzione 6 novembre 2012, n. 190 che ha istituito l'ANAC, il Governo è stato delegato ad adottare un decreto legislativo per il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, mediante la modifica o l'integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità).

In quest'ambito la Corte dei Conti ha avuto modo di chiarire che “l'affidamento di incarichi di consulenza e/o di collaborazione da conferire a soggetti esterni alla Pubblica amministrazione non può prescindere dal preventivo svolgimento di una selezione comparativa adeguatamente pubblicizzata” (Sezione consultiva regionale lombarda della Corte dei Conti, 15.5.2014; cfr. anche la sentenza del Consiglio di Stato n. 3405/2010).

La suddetta regola si reputa applicabile anche alle società pubbliche (Corte dei Conti, Regione Lazio, n. 683/2013; Corte dei Conti, sez. I, n. 178/2015).

In ambito privatistico, l'utilizzo del beauty contest per l'acquisto di servizi è stato suggerito da Confindustria nelle Linee Guida sui modelli organizzativi 231/2001, approvate dal Ministero della Giustizia il 21.7.2014. In tali Linee Guida si raccomanda che “il ricorso alla procedura di assegnazione diretta” avvenga “solo per casi limitati e chiaramente individuati” e che venga elaborato a livello aziendale un “modello di valutazione delle offerte (tecniche/economiche) informato alla trasparenza e a criteri il più possibile oggettivi”.

Se si ritiene che questi principi, ancorchè espressi nell'ambito dell'attività della P.A., abbiano un potenziale applicativo generale, dovrebbe convenirsi sul fatto che la prefigurazione di criteri selettivi anche nell'ambito delle procedure concorsuali, quanto alle modalità con cui i curatori scelgono i propri collaboratori e alle modalità per darvi adeguata pubblicità, sia ampiamente giustificata ed anzi consigliabile, sebbene – come ha recentemente ricordato il Consiglio Superiore della Magistratura nella delibera 12 ottobre 2016 (Risoluzione generale in tema di poteri di vigilanza dei dirigenti degli uffici giudiziari in ordine ai conferimenti degli incarichi di curatore fallimentare, perito, consulente, custode, amministratore giudiziario e ad altri ausiliari del giudice) - il legislatore abbia solo in un caso (art. 179-quater, disp. att. cod. proc. civ.) richiesto che il registro degli incarichi conferiti dai giudici sia pubblico e liberamente consultabile, in un altro caso (art. 23 disp. att. cod. proc. civ.) rimette al Presidente del tribunale di garantire l'adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi, non imponendo la pubblicità dei dati contenuti nel registro, e in un altro caso ancora l'art. 14, comam 4, del decreto legge 27 giugno 2015 n. 83, convertito con modificazioni dalla L 6 agosto 2015, n. 132, consente l'accesso agli albi e agli elenchi - previsti ai commi l e 2 del medesimo articolo - ai soli magistrati ed al personale delle cancellerie e segreterie di tutti gli uffici giudiziari della giustizia ordinaria. Precisa però il C.S.M., da un lato, che ragioni di trasparenza conducono all'auspicio che il legislatore provveda ad assicurare una omogenea pubblicità per ogni forma di incarico affidato da ciascun magistrato dell'ufficio e dei conseguenti provvedimenti adottati, e, dall'altro, che, pur in assenza di una opzione univoca da parte del legislatore, appare certamente opportuno invitare il Ministro della Giustizia a valutare, nell'ambito dei poteri conferiti dall'art. 2 legge 2 dicembre 1991, n. 399, se disporre in via obbligatoria un'adeguata pubblicità degli incarichi affidati sul sito istituzionale dell'ufficio giudiziario, con cadenza annuale, escluso ogni dato sensibile, dovendo comunque richiamarsi e promuoversi questa buona prassi già adottata, a fini di trasparenza, da vari tribunali, con l'indicazione del numero del procedimento e dell'oggetto, del magistrato che affida l'incarico, dell'ausiliario e della sua qualifica, della data di conferimento dell'incarico medesimo.

è peraltro evidente che il sistema del beauty contest, con l'accessoria e connessa predeterminazione e pubblicazione preventiva dei criteri di selezione, e, per chiudere il cerchio della trasparenza, con la successiva pubblicazione delle nomine effettuate, supera i limiti della tradizionale selezione basata esclusivamente su rapporti fiduciari, esigendo invece una procedura comparativa basata su criteri qualitativi ed economici.

Merita segnalare che la già considerata legge sull'amministrazione straordinaria contempla un caso esemplare di procedura selettiva basata sul beauty contest.

Mi riferisco alle modalità di vendita delle aziende in esercizio ex art. 63 D.Lgs. n. 270/1999, norma a tenore della quale: “1. Per le aziende e i rami di azienda in esercizio la valutazione effettuata a norma dell'articolo 62, comma 3, tiene conto della redditività, anche se negativa, all'epoca della stima e nel biennio successivo. 2. Ai fini della vendita di aziende o di rami di azienda in esercizio, l'acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all'atto della vendita. 3. La scelta dell'acquirente è effettuata tenendo conto, oltre che dell'ammontare del prezzo offerto, dell'affidabilità dell'offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali”.

Come si vede, la norma prevede una griglia di diversi parametri selettivi, che vanno ben oltre la sola entità del prezzo. Nella prassi, di conseguenza, si è soliti attribuire un punteggio ai vari parametri selettivo-comparativi previsti dalla norma (ad es. prevedendosi un punteggio massimo pari a 50 punti su 50 per il prezzo di riferimento posto a base d'asta; attribuendosi poi un punteggio più basso con un massimo 30 punti su 100 al criterio dell' occupazione; un punteggio ancora inferiore nel massimo di 20 punti su 100 al criterio del piano industriale, a sua volta scomponibile in sottoparametri, e così in ipotesi max 6 punti in relazione al parametro dell'affidabilità, max 7 punti in riferimento agli investimenti programmati per il biennio successivo alla cessione, max 7 punti relativamente all'incremento dei livelli occupazionali, e così via).

Quando si tratti di scegliere, invece, un avvocato, si dovrebbe selezionare quello con le competenze più idonee, il quale, nel contempo, proponga un compenso competitivo e di mercato.

Merita segnalare che proprio nel settore ove era più opaco il sistema di nomina dei professionisti, quello delle procedure di amministrazione straordinaria, si è recentemente verificata al Ministero dello Sviluppo Economico, sotto il Ministro Calenda, una svolta in direzione diametralmente opposta, con l'emanazione del già citato Decreto MISE 28 luglio 2016, in attuazione (finalmente) dell'art. 39, secondo comma, D.Lgs. n. 270/1999 (a tenore del quale “Il Ministro dell'industria stabilisce altresì preventivamente, con proprio decreto, i criteri per la scelta degli esperti la cui opera è richiesta dalla procedura e gli obblighi da osservare circa la pubblicità degli incarichi conferiti e dei relativi costi, al fine di garantire piena trasparenza alla procedura”).

Statuisce tale decreto:

- che i criteri dettati con riferimento ai commissari straordinari dall'art 38, comma 1-bis, del d.lgs. 270/1999, in tema di incompatibilità, si applicano ai soggetti, a qualsiasi titolo chiamati a collaborare con la procedura;

- che è precluso il conferimento di incarichi a soggetti legati al commissario straordinario o ai componenti del comitato di sorveglianza da vincoli di parentela o affinità, nonché a soggetti appartenenti al medesimo studio professionale e nei casi in cui possa profilarsi un conflitto di interesse, da dover rilevare anche nel caso in cui la situazione di conflitto insorga successivamente al conferimento dell'incarico (in particolare, il Commissario deve astenersi dal nominare come consulenti della procedura professionisti dai quali sia stato nominato come consulente in procedure ad essi affidate, regola che era stata per la prima volta indicata nella già detta maxi-circolare milanese del 2010);

- che gli incarichi vanno attribuiti nel rispetto del criterio di rotazione, avendo cura di non concentrare i carichi di lavoro in capo ad un unico o a pochi professionisti, salvo il caso in cui il carattere ripetitivo delle attività da affidare suggerisca l'opportunità di una trattazione unitaria, anche in ragione del conseguente beneficio economico per la procedura;

- che l'affidamento dell'incarico deve avvenire, nel rispetto del principio di trasparenza e tenuto conto dell'eventuale natura fiduciaria, previa acquisizione di almeno tre preventivi da esperti, professionisti, associazioni/società professionali, selezionati in base ai criteri del decreto, nell'ambito dei quali deve individuarsi la proposta più conveniente per la procedura;

- che le modalità di remunerazione degli incarichi assegnati devono essere sempre preventivamente concordate attraverso la stipula di contratti con i professionisti prescelti, aventi efficacia dalla data dei contratti medesimi, data che dovrà necessariamente seguire e non precedere quella della autorizzazione preventiva del comitato di sorveglianza (altra regola che era stata già indicata nella maxi-circolare milanese del 2010);

- che i compensi degli esperti vanno determinati, di regola, e fatti salvi i casi di particolare complessità o urgenza dell'incarico, in misura non superiore ai valori medi di cui alle tabelle allegate rispettivamente ai Decreti del Ministero della Giustizia in data 20 luglio 2012, n. 140, ed in data 10 marzo 2014, n. 55, ridotti del 50%, ferma restando in ogni caso la facoltà di proporre ai legali, se ritenuto più conveniente, un sistema di remunerazione a raggiungimento di risultato (pay per result o success fee) (e qui riecheggia addirittura alla lettera quanto stabilito con la ricordata circolare milanese del settembre 2010); - che gli incarichi di collaborazione, consulenza o professionali conferiti dai commissari straordinari a far data dal 1 gennaio 2016, ivi compresi quelli che riguardano la organizzazione aziendale e con esclusione degli incarichi di prestazioni di beni e servizi direttamente connessi alla gestione corrente dell'impresa, sono pubblicati dai commissari straordinari medesimi, entro trenta giorni dal relativo conferimento, sul sito internet di ciascuna procedura;

- che con cadenza semestrale i commissari devono inoltre trasmettere al competente ufficio del Ministero dello sviluppo economico ai fini della sua pubblicazione sul sito internet del Ministero, un prospetto contenente l'elenco degli incarichi a qualsiasi titolo conferiti dai Commissari, con la indicazione delle medesime informazioni pubblicate sul sito della procedura.

In sostanza, tale decreto applica le regole del beauty contest prevedendo l'indicazione di almeno una terna di esperti/professionisti e dei relativi preventivi (possono essere quindi di più) e dei criteri di remunerazione preventivamente concordati, fermo restando che i compensi professionali non devono superare, ma al più essere inferiori, ai valori medi tariffari ridotti del 50%, salva applicazione di patti “pay per result” o “success fee”.

Le prescrizioni del decreto vanno peraltro integrate con quelle dell'art. 15 D.Lgs. 33/2013 (Trasparenza della pubblica amministrazione), in base alle quali, in estrema sintesi, da un lato i professionisti in gara devono allegare il proprio curriculum; dall'altro, la prescritta pubblicità degli incarichi e dei compensi con le informazioni di cui ai punti da a) a d) dell'art. 15-bis, comma 1, del predetto decreto legislativo, costituisce condizione di efficacia per il pagamento dei compensi, e la sua omissione fa scattare a carico del soggetto responsabile della pubblicazione e del soggetto che ha effettuato il pagamento una sanzione pari alla somma corrisposta.

Mi pare che davvero questi criteri, nei limiti di compatibilità con la disciplina fallimentare, meriterebbero un'applicazione generalizzata.

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