Le opposizioni all'esecuzione in ambito tributario: attualità e prassi

Leonardo Margiotta
05 Giugno 2018

Tale elaborato evidenzia la struttura e la funzione del procedimento di esecuzione forzata tributaria (oltre alla disciplina dell'opposizione all'esecuzione) disciplinato dal D.P.R. n. 602/1973, con specifico riguardo alle regole per dare attuazione al credito tributario (o altri crediti erariali, quali i crediti previdenziali), mediante procedure espropriative speciali, affidate ex lege agli agenti della riscossione.
Sull'esecuzione forzata: procedimento amministrativo

Al fine di meglio comprendere il procedimento di opposizione all'esecuzione in ambito tributario, giova preliminarmente analizzare le “fasi” antecedenti alla summenzionata procedura.

In caso di mancato pagamento da parte del contribuente delle somme risultanti nella relativa cartella, ovvero dagli avvisi di accertamento divenuti esecutivi, è possibile procedere all'esecuzione forzata*, fuori dalle ipotesi di riscossione straordinaria, a condizione che sia decorso il termine di sospensione legale intercorrente dalla data di presa in carico del ruolo, di centottanta giorni.

*In evidenza

L'esecuzione forzata, sui beni mobili ed immobili, è divisa in tre fasi:

a) il pignoramento;

b) la vendita del bene pignorato;

c) l'assegnazione delle somme ricavate, rispettivamente disciplinate dagli artt. 62 e ss. del d.P.R. n. 602/1973.

Altrimenti, se il riscossore non procede entro l'anno all'avviso dell'esecuzione, questa deve essere preceduta da una nuova intimazione di pagamento (l'intimazione è un avviso mediante il quale il riscossore richiede il pagamento dei debiti tributari iscritti a ruolo, entro un termine breve di cinque giorni dalla notifica dell'atto, cui segue l'immediato inizio dell'esecuzione coattiva), a pena di inefficacia dell'atto esecutivo emesso.

In caso di riscossione a mezzo di avviso d'accertamento esecutivo (ossia quelli emessi a partire dal 1° ottobre 2011), l'espropriazione è soggetta al termine decadenziale dei tre anni successivi a quelli in cui l'accertamento è divenuto definitivo ex art. 29, co. 1, lett. e) del D.L. n. 78/2010.

La messa in esecuzione dei crediti erariali è disciplinata dal d.P.R. n. 607/1973, a cui si applicano gli articoli del codice di procedura civile, ove compatibili e non espressamente derogati.

Giova sottolineare che, in considerazione della natura speciale del credito tributario, la relativa procedura di esecuzione non è affidata all'ufficiale giudiziario ordinario, cui spetta dare esecuzione agli ordini di pagamento oggetto di un riconoscimento giudiziale, bensì ad un ufficiale speciale della riscossione dipendente dello stesso ente preposto all'esazione dei tributi erariali, cui la legge riconosce poteri, prerogative e funzioni tipici.

Sulla tutela del credito fiscale: procedure amministrative speciali

Tendenzialmente, prima della fase esecutiva o espropriativa, a garanzia delle ragioni dello Stato l'ordinamento giuridico consente altre azioni, già conosciute nel modello processuale civile.

Sono queste le fattispecie a confine tra il procedimento di autotutela esecutiva dell'amministrazione ed ordinario processo dinanzi al giudice detto, appunto, dell'esecuzione. Trattasi, infatti, di poteri tipicamente giurisdizionali che, nella vicenda tributaria, restano assorbiti nell'ambito della funzione pubblica, a tutela delle ragioni del credito tributario: vi sono, innanzitutto, l'ipoteca e il fermo amministrativo dei veicoli e dei beni mobili registrati, previsti, rispettivamente, dagli artt. 77 e 86 del d.P.R. n. 602/1973. Entrambi questi rimedi sono attuati mediante procedure telematiche, impugnabili davanti alle Commissioni Tributarie, cui spetta la giurisdizione in merito alle vicende poste a garanzia del credito tributario. Vi è poi un terzo istituto, il pignoramento diretto, disciplinato dall'art. 72 bis.

Nel dettaglio:

La procedura inerente all'iscrizione ipotecaria ha formato oggetto di vari, recenti interventi legislativi: D.Lgs. n. 46/1999, D.L. n. 70/2011 e D.L. n. 193/2001, D.L. n. 69/2013.

Attualmente, la disciplina prevede che, decorso inutilmente il termine di legge di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, il provvedimento di ruolo diviene definitivo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore (o dei co-obbligati), per un importo pari al doppio dell'importo complessivo del credito per cui si procede.

Vi è di più.

Per esigenze cautelari, e al fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere, il soggetto responsabile della riscossione può iscrivere la garanzia ipotecaria anche quando non si siano ancora verificate le condizioni per procedere all'espropriazione previste dall'art. 76, commi 1 e 2, purché l'importo complessivo del credito per cui si procede non sia inferiore, complessivamente, ad Euro 20.000,00 (ventimila). Se tale importo non supera il cinque per cento del valore dell'immobile da sottoporre ad espropriazione, il concessionario, prima di procedere all'esecuzione, deve iscrivere ipoteca.

Solo decorsi sei mesi dall'iscrizione, senza che il debito sia stato estinto, si procede all'espropriazione.

Il riscossore, affinché sia ritenuta valida la procedura, è obbligato a notificare al responsabile dell'immobile una comunicazione “preventiva”, con l'avviso che, in mancanza del pagamento entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta l'ipoteca.

L'iscrizione di ipoteca è stato oggetto di un lungo dibattito, anzitutto con riferimento alla giurisdizione. Infatti, sia questa procedura sia quella di fermo, sono state inserite tra gli atti impugnabili di cui all'art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992. Con un intervento della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., ss.uu., 5 giugno 2008, n. 14831), la questione è stata diversamente risolta affermandosi che la giurisdizione in materia di fermo e di ipoteca spetta al giudice ordinario nel caso in cui i crediti sottesi a tali provvedimenti rivestano natura non tributaria, con ciò operando, di fatto, un riparto di giurisdizione.

Per quanto riguarda la natura giuridica dell'istituto, si è ampiamente discusso se questo abbia una funzione cautelare o, viceversa, è da configurare come un mero atto della esecuzione.

Inizialmente, la giurisprudenza ne aveva riconosciuto una natura neutra, come tale non impugnabile autonomamente, sul presupposto che l'iscrizione stessa fosse atto preordinato e strumentale all'espropriazione immobiliare e, quindi, alla soddisfazione del credito. In seguito, la giurisprudenza l'ha qualificata come atto esecutivo preordinato alla esecuzione, svalutandone la ritenuta funzione cautelare, sebbene tale interpretazione non sia del tutto in linea con la possibilità, espressamente ammessa dall'ordinamento, di utilizzarla “anche al solo fine di assicurare la tutela del credito da riscuotere” (cfr. Cass. civ., ss.uu., 12 ottobre 2011, n. 20931).

Giova precisare, da ultimo, che la giurisprudenza ha ritenuto nulle tutte le ipoteche iscritte in assenza di una preventiva comunicazione al contribuente, in ragione della violazione dell'obbligo che incombe sugli uffici pubblici di attivare il contraddittorio endo-procedimentale, mediante la preventiva comunicazione all'interessato della prevista adozione di un atto o provvedimento che abbia la capacità di incidere negativamente, determinandone una lesione, sui diritti e sugli interessi del contribuente medesimo. Stante la sua natura reale, ancorché nella, tuttavia l'iscrizione conserva la propria efficacia fino a quando il giudice non ne ordini la cancellazione.

Orbene, ulteriore procedura a tutela del credito fiscale è il fermo amministrativo, disciplinato dall'art. 86 del d.P.R. n. 602/1973. Anche in tal caso decorso inutilmente il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, il soggetto responsabile della riscossione può predisporre il fermo dei beni mobili - del debitore (o dei co-obbligati) - iscritti in pubblici registri, dandone notizia alla direzione regionale delle entrate ed alla regione di residenza.

Con specifico riferimento alla procedura di iscrizione di fermo, questa è avviata con la notifica al debitore (o ai co-obbligati), di una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza di pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, verrà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari; tuttavia, secondo quanto stabilito dall'art. 52, comma 1, lett. m) bis del D.L. n. 69/2013, che ha modificato l'art. 86, comma 2, del d.P.R. n. 602/1973, si fa salvo il caso in cui il debitore (o i co-obbligati), nel predetto termine, dimostrino all'agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all'attività di impresa o della professione.

Recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono tornate sull'argomento, a proposito della natura giuridica del fermo amministrativo.

Quanto alla natura giuridica del fermo amministrativo, giova evidenziare che tale istituto fu introdotto dall'art. 5 del D.L. n. 669/1996, convertito dalla Legge n. 30/1997, il cui art. 90-bis prevedeva che se, in sede di riscossione coattiva di crediti iscritti a ruolo, non era possibile, per mancato reperimento del bene, eseguire il pignoramento dei veicoli a motore e degli autoscafi di proprietà del contribuente iscritti in pubblici registri, la direzione regionale delle entrate ne avrebbe disposto il fermo.

Pertanto, la finalità dell'istituto era quella di impedire la circolazione del mezzo, al fine di consentirne il ritrovamento e il successivo pignoramento.

Il D.Lgs. n. 26/1999 ha sostituito integralmente il titolo II del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e, in seguito, il D.Lgs. n. 193/2001 ha trasferito il potere discrezionale di disporre il fermo direttamente al concessionario, dopo il decorso di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento. Con norma di interpretazione autentica è stato chiarito che, fino alla emanazione del decreto ministeriale con il quale sarebbero stati stabiliti modalità, termini e le procedure per l'attuazione del fermo, questo poteva essere eseguito dai concessionari nel rispetto delle disposizione di cui al D.M. n. 503/1998.

Al riguardo, interessa precisare che, a norma dell'art. 35, comma 26-quinquies, del D.L. n. 223/2006, convertito nella Legge n. 248/2006, che ha modificato l'art. 19 d.P.R. n. 546/1992, il legislatore ha aggiunto agli atti impugnabili innanzi alle Commissione Tributarie anche il fermo amministrativo e l'iscrizione di ipoteca.

Infine, l'art. 52, comma 1, lett. m) D.L. n. 69/2013, convertito nella L. n. 98/2013, ha modificato il comma 2 dell'art. 86, nel senso, tra l'altro, che “la procedura di iscrizione di fermo di beni mobili registrati è avviata dall'agente della riscossione con la notifica … di una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari, salvo che il debitore o i co-obbligati, nel predetto termine, dimostrino all'agente della riscossione che il bene mobile è strumentale all'attività di impresa o della professione”.

Ora, il fermo, che, al pari dell'ipoteca, si colloca tra la notificazione della cartella di pagamento e il pignoramento, è stato definito dalla giurisprudenza alla stregua di un atto discrezionale del riscossore, “nel senso che la sua adozione non costituisce passaggio indefettibile per l'avvio della procedura esecutiva” (cfr. Cass. civ. ss. uu., n. 15354/2015).

Dopo varie ricostruzioni succedutesi nel tempo, si è registrato un ultimo revirement della Corte di Cassazione sul rilievo che il legislatore del 2011 ha svincolato il fermo dall'esito infruttuoso del pignoramento, venendo meno la condizione del mancato reperimento del bene cui era prima subordinato.

Tale circostanza ha indotto a ritenere che il presidio non può essere ricostruito in termini di misura alternativa alla esecuzione, come del resto conferma anche la collocazione della relativa disciplina all'interno del Capo III del Titolo II del d.P.R. n. 602/1973: decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione della cartella di pagamento, il riscossore potrà procedere ad esecuzione forzata sulla base del ruolo, ovvero disporre il fermo dei beni mobili registrati.

Secondo a quanto sopra argomentato, la giurisprudenza qualifica il fermo come misura puramente afflittiva, volta a indurre il debitore all'adempimento, pur di ottenerne la rimozione e, conseguentemente, impugnabile secondo le regole del rito ordinario di cognizione, attraverso un'azione di accertamento negativo della pretesa di eseguire il fermo, in cui al giudice adìto sarà devoluta la cognizione sia della misura che del merito della pretesa creditoria.

Ulteriore profilo analizzato dalla giurisprudenza attiene al concetto di strumentalità del bene, che impedisce l'adozione di un provvedimento di fermo.

La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 19668/2014 indica con tale nozione (strumentalità), il bene utilizzato per produrre un altro bene o servizio, sia che si estingua totalmente in un solo atto di produzione, come una materia prima (bene strumentale a fecondità semplice), sia che possa essere invece utilizzato più volte, come una macchina (bene strumentale a fecondità ripetuta, detto anche bene capitale). L'Agenzia delle Entrate ha adottato numerose circolari interpretative per delimitare la nozione di “bene mobile strumentale” (cfr. Circolare n. 37/E/1997, n. 48/E/1998, n. 1/E/2007, n. 11/E/2007; Risoluzione n. 59/E/2007), precisando che il requisito della strumentalità deve essere circoscritto ai soli casi in cui il conseguimento dei ricavi caratteristici dell'impresa dipende direttamente dall'impiego del veicolo (regolarmente riportato nei registri contabili).

Dulcis in fundo, la strumentalità dei beni d'impresa dipende dalla relazione esistente tra l'utilizzo del bene fermato e la natura dell'attività svolta, e va accertata con riferimento alla titolarità del bene da parte del contribuente, alla natura dell'attività dallo stesso svolta e, infine, al rilievo del bene in seno all'attività del contribuente.

Infine, fra gli strumenti a tutela del credito fiscale vi è il c.d. pignoramento diretto disciplinato dall'art. 72-bis del d.P.R. n. 602/1973, di recente novellato dal D.L. n. 69/2013. Trattasi di un peculiare regime - in parte derogatorio rispetto a quella del codice di procedura civile - che riguarda il pignoramento di affitti (art. 72) e dei crediti verso terzi, ovvero delle cose del debitore in possesso di terzi (artt. 72-bis e 73).

Con il limite* dei crediti pensionistici (e fermo restando quanto previsto dall'art. 545, commi 4, 5 e 6, c.p.c.), l'atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione di cui all'art. 543, comma 2, n. 4, c.p.c., l'ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede:

i) nel termine di sessanta giorni dalla notifica dell'atto di pignoramento, per le somme per le quali il diritto alla percezione sia maturato anteriormente alla data di tale notifica;

ii) alle rispettive scadenze, per le restanti somme.

*Limiti al pignoramento

Ai sensi dell'art. 72-ter del d.P.R. 602/1973 gli stipendi sono pignorabili nella misura di:

- 1/10 per gli importi fino a 2.500,00 euro;

- 1/7 per gli importi da 2.500,00 a 5.000,00 euro;

- 1/5 per gli importi superiori a 5.000,00 (come previsto dal codice di procedura civile).

A tal fine l'Agenzia delle Entrate acquisisce le informazioni relative ai rapporti di lavoro accedendo direttamente, in via telematica, alle specifiche banche dati INPS (art. 72-ter, comma 2-ter, d.P.R. 602/1973.

L'unico immobile di proprietà non può essere pignorato se adibito ad uso abitativo.

Per gli altri immobili ricordiamo che, ai sensi dell'art. 76, comma 2, del d.P.R. 602/1973 (come modificato dall'art. 8 del D.L. n. 50/2017, convertito nella L. 96/2017) l'agente della riscossione non può procedere all'espropriazione immobiliare se il valore dei beni (prima si considerava il singolo bene), diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito per il quale si procede, è inferiore a 120.000,00 euro.

L'espropriazione può essere avviata se è stata iscritta l'ipoteca e sono decorsi almeno sei mesi dall'iscrizione senza che il debito sia stato estinto (art. 76 d.P.R. 602/1973).

Nell'atto di pignoramento, il riscossore non deve citare in giudizio il debitore, ma può ordinare direttamente all'affittuario o, rispettivamente, al terzo di pagare gli affitti o il credito direttamente a sé, ovvero di consegnare i beni. Il terzo può, in ogni caso, produrre all'ente riscossore una specifica dichiarazione che indichi la non correttezza dei dati relativi ai crediti pignorati, o comunque formulare, prima in via informale e, se necessario, attraverso il ricorso al giudice dell'esecuzione, eventuali eccezioni relative alla pignorabilità del credito, o ad errori di calcolo.

In altre parole, il terzo ha la possibilità di opporsi all'ordine di pagamento del riscossore, ma solo nei casi in cui tali beni non appartengano al debitore ovvero nessun titolo ne legittimi l'esecuzione presso terzi o, ancora, la quantificazione o la qualificazione dei crediti risulti errata o carente. Viceversa, in caso di mancata ottemperanza del terzo, il riscossore deve attivare le procedure ordinarie presso il medesimo giudice dell'esecuzione.

Al contribuente, invece, è riconosciuta la ordinaria tutela giurisdizionale sia attraverso l'opposizione agli atti esecutivi per la regolarità dei singoli atti dell'esecuzione (617 c.p.c.), sia attraverso l'opposizione all'esecuzione (615 c.p.c.) diretta a contestare la pignorabilità dei singoli beni. Infatti, trattandosi di una procedura esecutiva, essa è sottratta alla giurisdizione tributaria e rientra in quella del giudice ordinario, cui ai sensi dell'art. 2, comma 1, del D.Lgs. 546/1992 è devoluta la giurisdizione per le controversie riguardanti gli atti, successivi alla notifica della cartella di pagamento. In tal senso si è pronunciata la Suprema Corte di Cassazione, che ha ribadito che la cognizione delle Commissioni Tributarie si arresta innanzi agli atti dell'esecuzione tributaria (cfr. Cass. civ., ss.uu., 5 maggio 2007, n. 11077/2007).

Si rammenta che la disciplina dell'esecuzione dei crediti tributari non prevede la possibilità di opporsi al diritto di credito tributario in presenza di regolare notifica degli atti presupposti (avviso di accertamento, cartella di pagamento, intimazione di pagamento), se questi non sono stati impugnati tempestivamente dal contribuente. In tali casi, l'opposizione è possibile solo per vizi propri degli atti esecutivi.

Tuttavia, è fatta salva l'impugnazione cumulativa, per l'ipotesi di mancata notifica degli atti prodromici alla notifica degli atti esecutivi, in tal caso rappresentando l'avvio di tale procedura il momento di effettiva conoscenza della pretesa tributaria a monte.

Proprio la possibilità di proporre opposizione, ha indotto la Corte Costituzionale a confermare la legittimità della procedura sul rilievo che i debitori sottoposti ad esecuzione, ai sensi dell'art. 72-bis, “possono in ogni caso proporre opposizione all'esecuzione ed agli atti esecutivi di cui all'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973”, cioè possono proporre l'opposizione alla esecuzione ed agli atti esecutivi, ai sensi degli artt. 615 e seguenti del c.p.c., con le limitazioni di cui all'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973 (così Corte Costituzionale, ordinanza n. 393 del 19 novembre 2008).

Sulle opposizioni all'esecuzione: competenza e giurisdizione

Innanzitutto, come è noto, il Giudice competente a conoscere dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c o per l'opposizione di terzo ex art. 619 c.p.c. è il Giudice del luogo dell'esecuzione, salvo i casi di cui all'art. 480, terzo comma, c.p.c. (elezione di domicilio del creditore procedente in atto di precetto); mentre per l'opposizione agli atti esecutivi è competente il Giudice davanti al quale si svolge l'esecuzione, il tutto ex art. 27 c.p.c.

Nel caso di riscossione esattoriale la disciplina prevista dal codice di procedura civile viene integrata dalle norme speciali in materia di riscossione e contenzioso tributario, ex art. 49, comma 2, d.P.R. n. 602/1973; tali norme speciali prevedono, in particolare:

  1. la giurisdizione tributaria esclusiva per tutte quelle cause relative agli atti elencati all'art. 19, D.Lgs. 546/1992 (contenzioso tributario), quali la cartella di pagamento;
  2. la giurisdizione del Giudice ordinario per quelle controversie riguardanti l'esecuzione forzata tributaria, successivi alla notifica della cartella di pagamento o, se necessario, dell'intimazione di pagamento ex art. 50 d.P.R. n. 602/1973.

Pertanto, secondo quanto emerge dalla predette disposizioni, qualsiasi controversia relativa alla regolarità della cartella di pagamento o dell'intimazione di pagamento (se recante crediti tributari, ovviamente) dovrà essere conosciuta dalla sola Commissione Tributaria territorialmente competente ex art. 4 del D.Lgs. 546/1992.

Ad esempio, si pensi al caso dell'impugnazione della cartella esattoriale avente ad oggetto crediti solamente fiscali, atto di per sé comparabile ad un atto di precetto e non ad un titolo esecutivo vero e proprio (il titolo esecutivo in ambito tributario è rappresentato, per esempio, dall'avviso di accertamento e/o liquidazione non opposto nel termine di legge, salvo alcuni casi, quali quelli di accertamento fiscale ex art. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600/1973, mentre la cartella di pagamento, di norma, è un atto che appartiene alla successiva fase di recupero forzato del credito accertato o fase di riscossione), che viene pacificamente impugnato avanti la Commissione Tributaria competente per territorio.

Nel caso di esecuzione già iniziata con un pignoramento, la eventuale causa di merito per l'accertamento della regolarità degli atti presupposto, potrà essere proposta dopo avere chiesto ed ottenuto la sospensione della procedura esecutiva, con una domanda di natura cautelare che, di regola, viene giudicata dal medesimo Giudice dell'Esecuzione con ordinanza (salvo reclamo).

Di conseguenza, solo dopo aver deciso la fase cautelare, sarà il Giudice dell'Esecuzione a dare un termine al debitore opponente per riassumere la causa in parola avanti il Giudice competente a conoscere per il merito.

Tuttavia, ulteriore punto di riflessione affrontato a più riprese dalla Suprema Corte di Cassazione riguarda il caso in cui il debitore, nell'eventualità di pignoramento fiscale, adisca direttamente il Giudice Tributario territorialmente competente, senza prima impugnare il pignoramento avanti il Giudice dell'Esecuzione.

Al riguardo, recentemente gli Ermellini sono tornati a pronunciarsi a Sezioni Unite con la sentenza 5 giugno 2017, n. 13913, cercando di dare una risposta al quesito.

Pertanto, al fine di meglio capire il ragionamento svolto dai Giudici di Legittimità occorre partire dalla massima diffusa recentemente dalla dottrina: “in materia di esecuzione forzata tributaria, l'opposizione agli atti esecutivi riguardante l'atto di pignoramento, che si assume viziato per l'omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti dal pignoramento), è ammissibile e va proposta - ai sensi del D.Lgs. n. 546/1992, art. 2, comma 1, secondo periodo, art. 19, d.P.R. n. 602/1973, art. 57 e art. 617 c.p.c. - davanti al giudice tributario”.

Ora, tale decisione muove sostanzialmente da un presupposto fondamentale: ossia il mancato perfezionamento del procedimento di riscossione prima della notificazione/esecuzione del pignoramento fiscale, nella specie la lamentata mancata notificazione della cartella di pagamento, quale atto presupposto per poter procedere alla riscossione coatta del credito tributario.

In particolare, si evidenzia che la procedura di riscossione “a monte” non essendosi perfezionata, non poteva conseguentemente proseguire nei confronti del contribuente.

Competente a conoscere del merito di tale eccezione e, quindi, a verificare la correttezza della procedura di riscossione era (ed è) sicuramente il Giudice Tributario.

Pertanto, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la summenzionata importante sentenza n. 13913 depositata il 5 giugno 2017, ha finalmente stabilito la competenza del giudice tributario in merito all'esecuzione forzata tributaria per il pignoramento in mancanza della notifica della cartella esattoriale.

Quindi, nello specifico, la principale questione prospettata alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione attiene all'individuazione del giudice ordinario o tributario cui è devoluta la cognizione dell'opposizione proposta avverso un atto di pignoramento effettuato in forza di crediti tributari e basata sulla dedotta mancata o invalida previa notificazione della cartella di pagamento recante la suddetta pretesa creditoria (o comunque di un altro atto che deve precedere l'inizio dell'espropriazione).

Al riguardo, si riporta in seguito il quadro normativo essenziale di riferimento:

a) dall'art. 2 del D.lgs. n. 546/1992, che (dopo le modifiche apportate dall'art. 12, comma 2, della legge n. 488 del 2001 e dalla legge n. 203 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248/2005) ha attribuito in generale alle commissioni tributarie, per i giudizi di merito, la giurisdizione in materia tributaria, precisando, nel secondo periodo del comma 1, che “Restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui all'art. 50 del d.P.R. 20 settembre 1973, n. 602, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”;

b) dall'art. 19 del citato D.P.R. n. 546 del 1992, recante l'elenco degli atti impugnabili davanti alle commissioni tributarie, suscettibile (secondo la nota e consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione) di ampliamento per interpretazione estensiva (in relazione, ad esempio, ad ogni atto autoritativo contenente una ben individuata pretesa tributaria a carico del contribuente);

c) dall'art. 49, comma 2, del D.P.R. n. 602 del 1973, per il quale il procedimento di espropriazione forzata nell'esecuzione tributaria è regolato “dalle norme ordinarie applicabili in rapporto al bene oggetto di esecuzione” in quanto non derogate dal capo II del medesimo D.P.R. e con esso compatibili;

d) dall'art. 57 del citato D.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse né le opposizioni regolate dall'art. 615 cod. proc. civ. (salvo quelle concernenti la pignorabilità dei beni) né quelle regolate dall'art. 617 cod. proc. civ. ove siano relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo;

e) dall'art. 9, secondo comma, cod. proc. civ., che attribuisce al tribunale (in via generale e residuale) la competenza esclusiva delle cause in materia di imposte e tasse.

Da queste norme si evince, in ordine al riparto di giurisdizione (sostanzialmente nello stesso senso, ex plurimis, Cass. n. 18505 del 2013), che:

1) le cause concernenti il titolo esecutivo, in relazione al diritto di procedere ad esecuzione forzata tributaria, si propongono davanti al giudice tributario (art. 2, secondo periodo del comma 1 del D. Lgs. n. 546 del 1992; art. 9, secondo comma, cod. proc. civ.);

2) le opposizioni all'esecuzione di cui all'art. 615 cod. proc. civ. concernenti la pignorabilità dei beni si propongono davanti al giudice ordinario (art. 9, secondo comma, cod. proc. civ.);

3) le opposizioni agli atti esecutivi di cui all'art. 617 cod. proc. civ., ove siano diverse da quelle concernenti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo, si propongono al giudice ordinario (art. 9, secondo comma, cod. proc. civ.);

4) le opposizioni di terzo all'esecuzione di cui all'art. 619 cod. proc. civ. si propongono al giudice ordinario (art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992; art. 9, secondo comma, cod. proc. civ.).

Rimane, tuttavia, aperto il problema dell'individuazione del giudice davanti al quale proporre l'opposizione agli atti esecutivi ove questa concerna la regolarità formale o la notificazione del titolo esecutivo e, in particolare, ove il contribuente, di fronte al primo atto dell'esecuzione forzata tributaria (cioè all'atto di pignoramento), deduca (come nella specie) di non avere mai ricevuto in precedenza la notificazione del titolo esecutivo.

In tale circostanza, il difetto di notifica della cartella non può che configurarsi quale un vizio della procedura esecutiva/di riscossione, quindi un vizio conestabile con una opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (processualmente, si tratta di un vizio speculare alla mancata regolare notifica dell'atto di precetto prima della esecuzione del pignoramento).

La prudenza consiglierebbe il contribuente ed il suo professionista di presentare la causa di opposizione, con le relative domande cautelari e di merito, avanti il Giudice dell'Esecuzione, sulla scorta di una lettura rigorosa dell'art. 2, D.Lgs. 546/1992.

Sarà, poi, il Giudice dell'Esecuzione medesimo, previo ogni opportuno provvedimento in ordine alla istanza cautelare di sospensione della efficacia dell'esecuzione, a dare termine alla parte interessata per riassumere la causa avanti il Giudice del merito per l'esame delle relative domande di merito del ricorrente.

Tale soluzione, tuttavia, avrebbe l'effetto di duplicare le spese vive per dare impulso alle due fasi del giudizio di opposizione, quella cautelare, avanti il Giudice dell'Esecuzione, e quella di merito, avanti il Giudice del merito.

Se, invece, il contribuente scegliesse di adire immediatamente il Giudice del merito, in mera teoria, tale Giudice, a tutto voler concedere, non potrebbe giudicare sulla efficacia della procedura esecutiva e sulla nullità del pignoramento, in quanto, ai sensi dell'art. 2, D. Lgs. 546/1992, “restano escluse dalla giurisdizione tributaria soltanto le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella di pagamento e, ove previsto, dell'avviso di cui al D.P.R. 20 settembre 1973, n. 602, art. 50, per le quali continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo decreto del Presidente della Repubblica”.

Sul punto che precede, pertanto, sussistono due opposti orientamenti della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite:

In base al primo di essi (espresso, tra le altre pronunce, da Cass., SS.UU., n. 14667 del 2011; Cass., Sezione V, n. 24915 del 2016; spunti nello stesso senso in Cass., SS.UU., n. 15994 e n. 5993 del 2012, anche se in relazione alla diversa fattispecie di una “opposizione ex art. 617 cod. proc. civ., diretta a far valere vizi della cartella di pagamento” emessa per un credito tributario), l'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato da nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, si risolve nell'impugnazione del primo atto in cui viene manifestato al contribuente l'intento di procedere alla riscossione di una ben individuata pretesa tributaria: l'opposizione, pertanto, è ammissibile e va proposta davanti al giudice tributario (ai sensi degli artt. 2, comma 1, secondo periodo, e 19 estensivamente interpretato del D. Lgs. n. 546/1992).

In base al secondo e più recente orientamento (espresso, tra le altre pronunce, da Cass., SS.UU., n. 21690/2016 e n. 8618/2015; Cass., Sezione III, n. 24235 e n. 9246 del 2015), l'opposizione agli atti esecutivi riguardante un atto di pignoramento, che il contribuente assume essere viziato per nullità derivata dall'omessa notificazione degli atti presupposti, è ammissibile e va proposta dinanzi al giudice ordinario, ai sensi dell'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973 e degli artt. 617 e 9 cod. proc. civ., perché la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria sussiste quando sia impugnato un atto dell'esecuzione forzata tributaria successivo alla notificazione della cartella di pagamento (come, appunto, un atto di pignoramento), restando irrilevante il vizio dedotto e, quindi, anche quando detto vizio sia indicato nella mancata notificazione della cartella di pagamento.

In tale ipotesi, il giudice ordinario dovrà verificare solo se ricorra il denunciato difetto di notifica all'esclusivo fine di pronunciarsi sulla nullità del consequenziale pignoramento basato su crediti tributari.

Il suddetto contrasto giurisprudenziale è stato finalmente risolto con la sopra citata sentenza delle Sezioni Unite (cfr. Cass. civ., ss.uu., n. 13913/2017), dando prevalenza e continuità al primo (meno recente) orientamento, che si lascia preferire per ragioni letterali e sistematiche.

La Suprema Corte, sotto l'aspetto letterale, l'art. 2, comma 1, secondo periodo, del D. Lgs. n. 546/1992, individua il discrimine tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria nella “notificazione della cartella di pagamento” (ovvero, a seconda dei casi, dell'avviso di cui all'art. 50 del D.P.R. n. 602 del 1973, dell'avviso cosiddetto “impoesattivo” o dell'intimazione di pagamento): prima di tale notifica la controversia è devoluta al giudice tributario, dopo, al giudice ordinario.

La disposizione richiede, dunque, per radicare la giurisdizione del giudice ordinario, la notificazione del titolo esecutivo (o degli altri atti costituenti presupposti dell'esecuzione forzata tributaria).

Ne deriva che l'impugnazione di un atto dell'esecuzione forzata tributaria (come il pignoramento effettuato in base a crediti tributari) che il contribuente assume essere invalido perché non preceduto dalla suddetta notificazione integra una opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. nella quale si fa valere una nullità “derivata” dell'atto espropriativo (sulla riconducibilità di siffatta impugnazione all'opposizione di cui all'art. 617 cod. proc. civ., ex plurimis, Cass. civ. n. 252 del 2008) e che è devoluta alla cognizione del giudice tributario, proprio perché si situa (beninteso, secondo la deduzione difensiva del contribuente) prima della notificazione in discorso.

In questa prospettiva, ai fini della giurisdizione, non ha importanza se, in punto di fatto, la cartella (o un altro degli atti equipollenti richiesti dalla legge) sia stata o no effettivamente notificata: il punto attiene al merito e la giurisdizione non può farsi dipendere dal raggiungimento della prova della notificazione e, quindi, secundum eventum.

Rileva invece, ai fini indicati, il dedotto vizio dell'atto di pignoramento (mancata notificazione della cartella) e non la natura, propria di questo, di primo atto dell'espropriazione forzata (art. 491 cod. proc. civ.).

Va poi osservato, sempre da un punto di vista letterale, che l'orientamento secondo cui è ammissibile davanti al giudice ordinario l'impugnazione del pignoramento incentrata sulla mancata notifica della cartella di pagamento (o dei suddetti atti assimilabili) si scontra con l'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo.

Né appare convincente ripartire la giurisdizione, nell'ipotesi in esame, in base al petitum formale contenuto nell'impugnazione proposta dal contribuente, in quanto non solo il petitum sostanziale è unico (il contribuente ha interesse a rendere non azionabile la pretesa tributaria, facendo valere una soluzione di continuità nell'iter procedimentale richiesto dall'ordinamento) e non solo una simile ricostruzione sarebbe inutilmente artificiosa, obbligando ad una duplice azione davanti a giudici diversi, ma nella specie sarebbe problematico individuare in concreto l'atto presupposto dal pignoramento ove l'atto di pignoramento sia l'unico atto portato a conoscenza del contribuente.

Del resto, l'invalidità della notificazione della cartella o l'omissione della medesima notificazione non integrano, in sé, un vizio della cartella, ove non si accompagnino alla intervenuta decadenza dal potere di procedere alla riscossione.

Inoltre, ammettere davanti al giudice ordinario l'impugnazione del pignoramento per omessa notifica della cartella appare comunque in contrasto con il menzionato divieto di cui all'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973; divieto che, per la sua collocazione sistematica e per la sua sopra ricordata formulazione, deve ritenersi assoluto (cioè diretto non esclusivamente al giudice tributario).

Ed ancora, sotto l'aspetto sistematico, poi, giova evidenziare che l'atto di pignoramento non preceduto dalla notifica della cartella di pagamento integra il primo atto in cui si manifesta al contribuente la volontà di procedere alla riscossione di un ben individuato credito tributario e, pertanto, in quanto idoneo a far sorgere l'interesse ad agire, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., rientra nell'ambito degli atti impugnabili davanti al giudice tributario in forza dell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 (quale interpretato estensivamente dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione: ex plurimis, Sezioni Unite n. 9570 e n. 3773 del 2014).

Il sopra indicato più recente orientamento interpretativo avallato dalla Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 21690/2016, che attribuisce alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia concernente un atto compreso tra quelli di cui al citato art. 19 del D. Lgs. n. 546/1992, risulta essere disarmonico rispetto al disegno previsto dal legislatore il quale, di contro, riservare al giudice tributario la cognizione delle controversie relative a tali atti.

Invece, con l'adozione del primo orientamento giurisprudenziale, troverebbe una più agevole sistemazione il disposto dell'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui stabilisce che non sono ammesse le opposizioni regolate dall'art. 617 c.p.c. riguardanti la regolarità formale e la notificazione del titolo esecutivo.

Tale inammissibilità, infatti, può ben essere interpretata nel senso di comportare il divieto di proporre dette opposizioni davanti al giudice ordinario, senza però che ciò impedisca di proporre la questione al giudice tributario, facendo valere, come nella specie, l'invalidità del pignoramento per la mancata notificazione della cartella di pagamento.

In tal modo, tutto sembra ricomporsi in armonia con l'originario disegno del legislatore che, nel prevedere nell'art. 57 del d.P.R. n. 602/1973 l'inammissibilità davanti al giudice ordinario di alcune opposizioni in sede di esecuzione forzata, ha evidentemente presupposto che le situazioni soggettive poste a base di esse possano essere preventivamente tutelate soltanto davanti al giudice tributario.

In conclusione

La giurisdizione inerente all'opposizione all'esecuzione, è così ripartita:

1) si propongono al giudice ordinario, a norma dell'art. 57 D.P.R. n. 602/1973, le opposizioni concernenti la pignorabilità dei beni ex art. 615 c.p.c., nonché le opposizioni agli atti esecutivi regolate dall'art. 617 c.p.c. (con alcune eccezioni di seguito evidenziate);

2) si propongono, di contro, al giudice tributario, le “altre” opposizioni regolate dall'art. 615 c.p.c., concernenti il diritto di procedere all'esecuzione forzata (ad esempio, il ricorso contro la comunicazione di iscrizione ipotecaria, in cui si lamenta l'omessa notifica dell'atto presupposto, deve essere proposto dinanzi alla giurisdizione tributaria, riguardando sempre una questione sulla regolarità del titolo esecutivo (cfr. Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2013, n. 18505), oltre alle opposizioni agli atti esecutivi, regolate dall'art. 617 c.p.c., relative alla regolarità formale e alla notificazione del titolo esecutivo.

In più, la Suprema Corte ha ritenuto di consentire al contribuente di adìre immediatamente il Giudice del merito, laddove l'atto esecutivo esattoriale fosse solamente il primo da lui ricevuto e, quindi, fosse l'atto con il quale l'erario abbia messo a conoscenza il contribuente/debitore per la prima volta della propria pretesa creditoria.

Tale assunto spinge l'interprete a svolgere almeno due considerazioni:

a) da un lato, si deve ricordare che la prova della regolare notificazione degli atti presupposti al contribuente compete all'Erario. Se quest'ultimo dovesse provare che la notificazione della cartella e/o dell'atto presupposto fosse avvenuta regolarmente, ecco che il Giudice tributario, per coerenza sistematica, dovrebbe dichiararsi incompetente a conoscere della controversia in favore del Giudice ordinario. Egli, quindi, non potrebbe pronunciarsi sul merito della controversia. In tale caso, ci si chiede, quindi, se il contribuente, a seguito della declaratoria di incompetenza da parte del Giudice tributario, possa proseguire la lite avanti il Giudice ritenuto competente per eccepire un diverso vizio della procedura di riscossione rilevabile in tale stato del procedimento, quale l'intervenuta prescrizione del credito tributario.

Pertanto, una pronuncia in rito sulla incompetenza del Giudice tributario adìto, insuscettibile per natura a formare giudicato sulle domande di merito, ma solo a stabilire quale Giudice è ritenuto competente a conoscere della controversia, non potrebbe impedire un esame di una questione sostanziale quale quella della prescrizione del credito tributario (salvo, ovviamente, ogni limite posto dalla legge a svolgere tale indagine, quale il disposto dell'art. 57 e 58 d.P.R. n. 602/1973);

b) in secondo luogo, si deve ricordare che in tutti i casi in cui la procedura di riscossione è stata formalmente rispettata, l'opposizione al pignoramento esattoriale eseguita ex artt. 615, 617 e 619 c.p.c. va proposta avanti il Tribunale Civile, nei limiti previsti dall'art. 57 d.P.R. n. 602/1973. È altrettanto vero che, statisticamente, gran parte delle vertenze avverso i pignoramenti esattoriali muovono su contestazioni relative alla mancata notificazione di almeno uno degli atti presupposto.

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