È possibile trasmettere una memoria via Pec nel processo penale?

05 Giugno 2018

Nel processo penale, il difensore può trasmettere una memoria al giudice a mezzo Pec? L'impiego di una modalità di trasmissione che esula da quelle contemplate dall'art. 121 c.p.p. e, dunque, irregolare, determina l'irricevibilità dell'atto? La Corte ha rilevato che la questione dell'utilizzo della Pec nel processo penale è tuttora dibattuta. Allo stato, trova fonte normativa solo ...
Massima

In tema di divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, l'art. 6, comma 2-bis, l. 13 dicembre 1989, n. 401, prevede la facoltà di presentare memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida del provvedimento, non prescrivendo espressamente che tale facoltà debba essere esercitata mediante deposito nella cancelleria. Ne consegue che una memoria difensiva può essere trasmessa al Gip anche a mezzo Pec, purché sia sottoposta al giudicante competente per la decisione.

Fonte: ilprocessotelematico.it

Il caso

Il Gip del tribunale di Vicenza convalidava il provvedimento con il quale il Questore prescriveva ad alcune persone di presentarsi per un anno presso un posto di polizia in occasione delle manifestazioni sportive alle quali partecipava la squadra del Cesena calcio

Avverso questa decisione il difensore proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra l'altro, la nullità dell'ordinanza per l'omessa valutazione di una memoria depositata al Gip prima della convalida. Al riguardo, il difensore ha osservato di aver presentato memoria, con la quale aveva contestato l'insufficienza e la contraddittorietà delle prove a carico del suo assistito, palesando l'insussistenza della necessità della comminazione anche dell'obbligo di firma. Di tale atto il Gip non aveva fatto alcuna menzione nell'ordinanza di convalida, non curandosi neppure di rispondere alle questioni sollevate. La memoria era stata trasmessa con Pec, inoltrata il giorno precedente a quello della richiesta di convalida del pubblico ministero al giudice delle indagini preliminari del tribunale di Vicenza di turno. Questa soluzione, secondo la difesa, sarebbe stata scelta d'intesa con la cancelleria del giudice.

La questione

Nel processo penale, il difensore può trasmettere una memoria al giudice a mezzo Pec? L'impiego di una modalità di trasmissione che esula da quelle contemplate dall'art. 121 c.p.p. e, dunque, irregolare, determina l'irricevibilità dell'atto?

Le soluzioni giuridiche

La Corte ha rilevato che la questione dell'utilizzo della Pec nel processo penale è tuttora dibattuta. Esso, allo stato, trova fonte normativa solo nell'art. 16, comma 4, d.l.n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla l.n. 221/2012, che disciplina la materia delle notificazioni.

Questa norma, dunque, disciplina le notificazioni nel processo penale, limitando l'impiego della Pec agli adempimenti rivolti a persone diverse dall'imputato. Da essa si desumerebbe la volontà legislativa di consentire l'utilizzo della Pec, nel processo penale, alla sola cancelleria.

Partendo da tale presupposto, alcune decisioni hanno escluso l'ammissibilità dell'istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata a mezzo Pec dal difensore di fiducia dell'imputato in quanto alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed istanze mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata (Cass. n. 31314/2017); la possibilità di presentazione di memorie mediante l'uso della posta elettronica certificata nel giudizio di cassazione (Cass. n. 31336/2017); il deposito della lista testimoniale con tale strumento (Cass. n. 6883/2016).

Altre sentenze, invece, esprimono una certa apertura nei confronti di questo moderno strumento. É stata ritenuta valida, ad esempio, la notifica tramite posta elettronica effettuata, ai sensi dell'art. 299, comma 4-bis,c.p.p. dal difensore dell'imputato a quello della persona offesa (Cass. n. 6320/2017).

Rispetto alla questione oggetto del ricorso in esame, peraltro, occorre considerare anche un ulteriore aspetto, rappresentato dalle peculiarietà del procedimento con il quale si dispone il divieto di accesso alle manifestazioni sportive.

L'art. 6, comma 2-bis, l. 401/1989, infatti, attribuisce alla parte la facoltà di presentare memorie o deduzioni al giudice competente per la convalida, non prescrivendo espressamente che tale prerogativa debba essere esercitata mediante deposito nella cancelleria. Tale opzione normativa appare connessa all'oggetto del giudizio (la libertà personale), alla particolare natura del procedimento (cartolare ed informale) e alla fisiologica ristrettezza dei tempi entro cui deve necessariamente concludersi il controllo di legalità di un atto che limita la libertà personale del soggetto, pena l'inefficacia delle relative prescrizioni (cfr. Cass. n. 5621/2016).

Emergono, in tal senso, profili di autonomia della procedura di prevenzione rispetto al processo penale, essendo inteso a garantire le esigenze della difesa nella ristrettezza dei tempi stabiliti per la convalida che non possono subire deroghe nemmeno se cadono in giorni festivi.

Va peraltro ricordato che l'art. 48 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, così come modificato dal d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235, equipara la posta elettronica certificata alla trasmissione postale a mezzo di lettera raccomandata.

Questi due argomenti, l'autonomia dello specifico procedimento di prevenzione in esame rispetto al processo penale e l'equiparazione normativa della Pec alla lettera raccomandata quanto all'efficacia probatoria, conducono a ritenere che la memoria possa essere inviata a mezzo PEC. Perché possa ritenersi produttiva di effetti, tuttavia, occorre che sia pervenuta alla cancelleria del giudice competente per la convalida, non essendo sufficiente che la stessa giunga alla cancelleria centrale del tribunale.

Nel caso di specie, dalla documentazione allegata al ricorso si rileva che la PEC è stata indirizzata alla posta elettronica dell'ufficio Gip del tribunale ed a quella della Procura della Repubblica, da cui è pervenuta la conferma della ricezione. La memoria, inoltre, sarebbe stata comunque stampata ed acclusa al fascicolo in tempo per la convalida.

Ciò posto, però, pur riconoscendo l'ammissibilità della modalità di presentazione della memoria, secondo la Corte il ricorso comunque va rigettato, perché la difesa si è limitata ad indicare in maniera assai generica i temi asseritamente non scrutinati dal giudice; al ricorso ha allegato solo la prima pagina della memoria; nei motivi non ha riportato in dettaglio i profili decisivi non apprezzati dal Gip.

La mancata conoscenza delle ragioni a sostegno delle questioni sviluppate nella memoria non consente di apprezzare l'effettiva mancata valutazione dei profili in essa dedotti e la rilevanza delle argomentazioni per la decisione, lasciando impregiudicata l'ipotesi che il decidente, nel dare conto della sussistenza dei presupposti per la misura adottata, abbia inteso superare anche le osservazioni formulate in memoria.

L'obbligo del giudice di motivare in ordine al contenuto delle memorie o deduzioni, tempestivamente presentate dall'interessato in vista della convalida del provvedimento del Questore impositivo dell'obbligo di presentazione ad un ufficio o comando di polizia, infatti, si deve intendere assolto anche nel caso in cui ne risulti testualmente avvenuto l'esame ovvero sia desumibile, dal complessivo tenore del provvedimento, l'implicita esclusione della loro fondatezza (Cass. n. 46223/2011). Del resto, seppure in forma sintetica, le motivazioni dell'ordinanza del Gip, lette in connessione con il provvedimento del questore, consentono di risalire agevolmente alle ragioni che hanno determinato la misura all'obbligo di presentazione al commissariato, all'opportunità delle modalità di presentazione ed alle ragioni di necessità ed urgenza della adozione della misura stessa.

Osservazioni

Con la decisione in esame, dunque, in buona sostanza, la Corte di cassazione ha ritenuto ammissibile la presentazione di una memoria difensiva nel procedimento per la convalida del divieto di accesso alle manifestazioni sportive a mezzo Pec.

La sentenza, pur dando atto della sussistenza di un indirizzo contrario alla trasmissione nel modo elettronico di istanze e memorie, ha fondato il giudizio di ammissibilità sull'autonomia della procedura di prevenzione rispetto al processo penale, nel corso del quale occorre garantire le esigenze della difesa nella ristrettezza dei tempi stabiliti per la convalida e sull'art. 48 d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 che equipara la posta elettronica certificata alla trasmissione postale a mezzo di lettera raccomandata.

Essa, in particolare, si segnala in quanto sottolinea che, perché possa ritenersi produttiva di effetti una memoria o una istanza trasmessa a mezzo Pec, occorre che sia pervenuta alla cancelleria del giudice competente alla sua delibazione, non essendo sufficiente che la stessa giunga alla cancelleria centrale del tribunale.

Questa decisione, che segue una di analogo contenuto, emessa nella medesima materia (Cass. n. 4764/2018), comunque, può essere inscritta nell'ambito dell'indirizzo giurisprudenziale che appare incline ad ampliare i margini di operatività della PEC nel processo penale.

A questo stesso orientamento sono riconducibili le decisioni che escludono che un'istanza inviata al giudicante per mezzo della posta elettronica certificata sia irricevibile o inammissibile, affermando che il giudice che ne prenda tempestivamente conoscenza è tenuto a valutarla (Cass. n. 56392/2017; Cass. n. 47427/2014).

Questa impostazione estende all'impiego della posta elettronica certificata l'elaborazione giurisprudenziale in tema di istanza inviata a mezzo telefax. L'uso di questo strumento per inviare al giudice procedente una richiesta di rinvio per legittimo impedimento dell'imputato o del difensore, in particolare, seppur idonea a dare certezza dell'intervenuta ricezione dell'istanza da parte dell'ufficio giudiziario destinatario, deve reputarsi comunque irregolare, perché l'art. 121 c.p.p. prevede per le parti l'obbligo di presentare le memorie e le richieste indirizzate al giudice mediante deposito in cancelleria. Da questa disposizione, però, non si può ricavare l'inammissibilità o l'irricevibilità dell'istanza presentata in modo diverso dal deposito in cancelleria. Il giudice che abbia ricevuto l'istanza tempestivamente, pertanto, deve valutarla.

In ragione della predetta irregolarità, peraltro, incombe sulla parte il rischio della mancata tempestiva trasmissione dell'istanza al giudice. Anzi, avendo scelto volontariamente un mezzo irregolare di trasmissione dell'istanza, per essere legittimata a proporre doglianze inerenti all'omessa valutazione dell'istanza, la parte interessata ha l'onere di verificare che sia effettivamente pervenuta nella cancelleria del giudice competente a valutarla e sia stata portata all'attenzione di quest'ultimo per tempo (cfr., per l'affermazione del principio illustrato in tema di comunicazioni a mezzo fax, Cass. n. 9030/2013; Cass. n. 7706/2014; Cass. n. 47427/2014; Cass. n. 24515/2015; Cass. n. 1904/2017; in senso contrario, per l'esclusione di un onere probatorio in capo alla parte, si veda, Cass. n. 535/2017).

Questo principio, affermato per la comunicazione a mezzo telefax, è applicato anche alla comunicazione per posta elettronica, rispetto alla quale è ancor più incerta l'effettiva possibilità che la comunicazione sia tempestivamente letta dal destinatario, che potrebbe non controllare la casella di posta elettronica in tempo utile per poter essere utilmente portata a conoscenza del giudice. L'utilizzo di una modalità di trasmissione irregolare, dunque, comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi in sede di impugnazione dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi del regolare arrivo della e-mail in cancelleria e della sua tempestiva sottoposizione all'attenzione del giudice procedente (Cass. n. 47427/2014; per l'applicazione del medesimo principio nel caso di trasmissione a mezzo Pec dell'istanza di impedimento dell'imputato, si veda Cass. n. 923/2018).

Secondo l'indirizzo giurisprudenziale prevalente, invece, nel processo penale, l'invio di istanze a mezzo posta elettronica certificata non è consentito alle parti private. Ne consegue che è irricevibile un'istanza di rinvio per legittimo impedimento trasmessa dal difensore per mezzo dello strumento elettronico (cfr., con specifico riferimento ad un'istanza di rinvio per legittimo impedimento, Cass. n. 7058/2014; Cass. n. 51665/2017; Cass. n. 18235/2015, relativa ad una domanda di rimessione in termini).

Questo orientamento trae fondamento sull'art. 16, comma 4, d.l.18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, che, disciplinando le notificazioni, limita l'impiego della PEC agli adempimenti rivolti a persone diverse dall'imputato e ne circoscrive l'uso alla sola cancelleria. La parte finale della norma, del resto, statuendo che «La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria», chiarisce che l'utilizzo del mezzo elettronico è riservato al solo ufficio di cancelleria e non anche alle parti private. Non sono indicate, infatti, le forme nelle quali dovrebbero essere redatte le relazioni delle notificazioni eseguite dalle parti private. Anche se la PEC fosse adoperata non per effettuare una notificazione, ma solo per trasmettere un'istanza, infatti, rimarrebbe la necessità di documentare l'attività compiuta e dovrebbe prendersi atto della sua mancata regolamentazione.Dalla disposizione citata, quindi, si desume la volontà legislativa di consentire l'utilizzo della Pec, nel processo penale, alla sola cancelleria.

Su questo tema, inoltre, appaiono interessanti anche le considerazioni svolte da Cass. n. 35217/2017, la quale ha affrontato una fattispecie in cui il difensore aveva inviato una richiesta di rinvio per impedimento a comparire tramite posta elettronica certificata all'indirizzo mail ordinario della cancelleria, soffermandosi sulle conseguenze della differenza tecnica esistente tra l'impiego del fax e della posta elettronica. Questa pronuncia, infatti, ha affermato che «il richiamo alla giurisprudenza della Corte di cassazione formatasi in tema di idoneità della richiesta di rinvio dell'udienza trasmessa a mezzo fax appare (…) improprio. La documentazione prodotta dal difensore nel presente processo attesta, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, solo che quella mail fu trasmessa ad un indirizzo di posta elettronica ordinaria e che quel messaggio fu accettato dal sistema ed inoltrato al destinatario. Diversamente da quanto si verifica nel caso di trasmissione della istanza di rinvio a mezzo fax, in cui vi è una attestazione informatica della ricezione del messaggio da parte dell'apparecchio destinatario, dagli atti prodotti dal ricorrente non si evince che quella mail, trasmessa ad un indirizzo di posta elettronica ordinaria, fu ricevuta dall'ufficio di cancelleria del giudice procedente ».

É stato allora osservato che, mancando un principio di prova informatica della ricezione della richiesta, «la parte, che intenda lamentarsi della omessa pronuncia del giudice sulla richiesta di rinvio, non può che adoperarsi per dimostrare che quella richiesta sia stata effettivamente ricevuta dall'Ufficio del giudice».

É stato concluso, pertanto, che «la richiesta di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento del difensore, inviata a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo di posta elettronica ordinaria dell'ufficio di cancelleria del giudice procedente comporta l'onere, per la parte che intenda dolersi dell'omesso esame della sua istanza, di accertarsi della regolare ricezione della mail da parte del predetto ufficio».

Sul tema in esame, infine, appare interessante anche una recente pronuncia della Suprema Corte, emessa in tema di impedimento dell'imputato (Cass. n. 13758/2018). La Corte ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte di appello che aveva confermato la condanna inflitta all'imputato, disponendo la trasmissione degli atti al giudice di appello, perché non vi era stata alcuna motivazione sull'istanza di impedimento dell'imputato trasmessa a mezzo Pec. É stato rilevato che l'istanza era stata trasmessa all'indirizzo PEC del ruolo generale della Corte di appello, «conformemente all'art. 4 del Protocollo di nuova organizzazione delle udienze penali, stipulato dalla Corte di appello di Firenze con la rappresentanza dell'Avvocatura, applicabile dal 1 settembre 2017». In questo caso, verosimilmente, tenuto conto della laconicità della pronuncia, si è ritenuto che l'utilizzo di una modalità concordata tra l'ufficio giudiziario e la rappresentanza dell'avvocatura valesse a reputare adempiuto l'onere gravante sulla parte, che volontariamente ha impiegato un mezzo di comunicazione non conforme a quanto previsto dall'art. 121 c.p.p., di dimostrare l'effettiva possibilità che l'istanza fosse stata tempestivamente letta dal destinatario. In verità, proprio la modalità che sarebbe stata concordata ingenera perplessità perché la PEC ricevente è quella del Ruolo generale della Corte di appello e non quella della cancelleria del collegio giudicante.

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