Messa alla prova del minorenne con esito negativo. Dubbi di incostituzionalità sulla disciplina per la determinazione della pena
06 Giugno 2018
Massima
È rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 27 e 31 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 d.P.R. 448/1988 e 657-bis c.p.p., nella parte in cui non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova. Pertanto si dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Il caso
Il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale per i minorenni di Milano ammette un soggetto minorenne, imputato del delitto di cui agli artt. 110 e 648 c.p., alla sospensione del processo con messa alla prova, ai sensi degli artt. 28 e ss.d.P.R. 448/1988 e sospende il processo per un periodo pari a un anno, sottoponendo il minore a un progetto elaborato dai servizio sociale minorile che prevede: interventi di orientamento formativo e lavorativo, di sostegno per il conseguimento del patentino, per frequentare uno sport di squadra e per lo svolgimento di attività di utilità sociale. La prova però fallisce e dopo un anno il Giudice ne dichiara l'esito negativo e condanna l'imputato alla pena di mesi sette e giorni quattro di reclusione. La vicenda si ripete in termini identici a distanza di qualche anno, allorquando il medesimo imputato minorenne, chiamato a rispondere dei delitti di cui agli artt. 81, 609-octies, 609-bis e 609-ter c.p. è ammesso una seconda volta alla sospensione del procedimento con messa alla prova per un periodo di un anno e sei mesi. Il progetto elaborato dagli assistenti sociali stavolta prevede il mantenimento, con profitto, della frequenza scolastica, colloqui di sostegno psicologico, lo svolgimento di attività socialmente utili, l'inserimento in gruppi rivolti alla presa in carico di minori coinvolti in reati sessuali. Anche questa volta la prova fallisce per totale disinteresse del minore e, a distanza di un anno, il Gup condanna l'imputato alla pena di anni due e mesi sei di reclusione. Le due sentenze di condanna vengono successivamente unificate dal provvedimento di cumulo del procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Milano e la pena da espiare è individuata in anni tre, mesi uno e giorni quattro di reclusione. Il difensore del minore presenta istanza ex art. 657-bis c.p.p. e chiede al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di detrarre dalla pena da eseguire il periodo di anni due e mesi sei, pari al periodo in cui i due procedimenti penali erano stati sospesi perché il minore era stato ammesso alla prova. La richiesta è rigettata, ritenendo il procuratore che la norma invocata si riferisca esclusivamente agli imputati adulti, avuto riguardo alle sostanziali differenze, sia sul piano strutturale che funzionale, tra le due ipotesi di sospensione del processo con messa alla prova. L'imputato propone a quel punto incidente di esecuzione al fine di ottenere l'invocata detrazione, ma ottiene l'ennesimo diniego da parte del giudice dell'esecuzione con le seguenti motivazioni: a) il principio di sussidiarietà previsto dall'art. 1 d.P.R. 448/1988 consente di estendere al processo minorile le norme del codice di procedura penale solo in caso di lacuna nel rito minorile, in tal caso non ravvisabile; b) non è configurabile alcuna violazione del principio di uguaglianza, atteso il diverso regime dei due istituti di messa alla prova. Avverso la citata ordinanza l'imputato propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore, lamentando l'inosservanza/erronea applicazione dell'art. 1 d.P.R.448/1988 e la sussistenza di un assetto sostanzialmente discriminatorio determinato dalla mancata applicazione anche nel rito minorile, dell'art. 657-bis c.p.p., con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. La questione di legittimità costituzionale degli artt. 29 d.P.R. 488/1988 e 657-bis c.p.p. è sposata dalla prima Sezione penale della Corte di cassazione che, con l'ordinanza in commento, la ritiene rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli articoli 3, 27 e 31 Cost., nella parte in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice possa determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minore durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova. La questione
La questione giuridica in esame concerne l'applicabilità al processo penale a carico di imputati minorenni, secondo la clausola di estensibilità dell'art. 1, comma 1, del d.P.R. 448/1988, dell'art. 657-bis c.p.p., che prevede che in caso di revoca o di esito negativo della messa alla prova il pubblico ministero, nel determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente a quello della prova eseguita. La norma de qua, in particolare, è stata inserita dall'art. 4, comma 1, lett. b) della l. 67 de 2014 che ha introdotto, nel codice di procedura penale, l'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova per gli imputati/indagati maggiorenni. Ai fini della detrazione – recita la norma in esame – tre giorni di prova sono equiparati a un giorno di reclusione o di arresto, ovvero a 250 euro di multa o di ammenda. Il dubbio sulla legittimità costituzionale investe non la mancata applicabilità sic et simpliciter della norma indicata, bensì l'impossibilità per il giudice di tenere in alcun conto, per il minore condannato in seguito all'esito negativo della messa alla prova, il periodo trascorso in assoggettamento a tale regime. Le soluzioni giuridiche
Nel corso del giudizio dinanzi alla prima Sezione penale della Corte di cassazione, il procuratore generale, accogliendo le istanze della difesa, ha pacificamente concluso per l'applicabilità dell'art. 657-bisc.p.p. anche al processo minorile, in virtù della menzionata clausola di estensione contemplata dall'art. 1 del d.P.R. 448/1988. Di diverso avviso, invece, la Corte che ha ritenuto la sollecitata applicazione estensiva «non praticabile alla luce dei dati testuali e di sistema» e ha emesso l'ordinanza in commento con la quale ha disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. Dopo un lungo excursus sui due istituti, la Corte di legittimità pone in evidenza innanzitutto le differenze strutturali di entrambi: la messa alla prova per i maggiorenni ha natura afflittiva, mentre quella per i minorenni ha una finalità principalmente rieducativa e si distingue dal primo istituto perché: 1) non ha limitazioni oggettive e soggettive; 2) comporta attività di osservazione/trattamento e sostegno che prescindono dal consenso del minore; 3) prevede prescrizioni con minore afflittività; 4) ha una durata diversa; 5) il suo esito è strettamente correlato con la valutazione della personalità dell'imputato e, quindi, può essere negativo anche nel caso in cui vengano rispettate le prescrizioni previste nel progetto; 6) lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità è solo eventuale. Ed è proprio su quest'ultimo aspetto che la Corte si sofferma, rilevando, correttamente, che in alcuni casi la messa alla prova per i minorenni può presentare profili di afflittività significativi (v. ad esempio, l'obbligo di permanenza in comunità o, comunque, qualunque altra previsione di un obbligo di fare) e che proprio in questi casi l'esclusione di qualunque rilevanza del percorso seguito durante la prova – se seguito da esito sfavorevole – comporterebbe una ingiustificata disparità di trattamento del minore, in contrasto con il principio di uguaglianza contenuto nell'art. 3 Cost., oltre che con il principio del favor rei che dovrebbe caratterizzare il processo per gli imputati minorenni e con il principio di tutela del minore ex art. 31 Cost. Osservazioni
La difficoltà di estendere il meccanismo di conversione contenuto nell'art. 657-bis c.p.p. alla sospensione del processo e messa alla prova per gli imputati minorenni si fonda sulla diversa struttura e natura giuridica di questo istituto rispetto a quello, omologo, introdotto dalla l. 67/2014 per gli imputati/indagati maggiorenni. A ciò si aggiunga anche la difficoltà di prevedere un regime in cui l'estensibilità dell'art. 657-bis c.p.p. dovrebbe operare non automaticamente ma nei soli casi di messa alla prova per i minori caratterizzata da prescrizioni afflittive. Ai sensi dell'art. 168-bis c.p., a differenza che del rito minorile, il lavoro di pubblica utilità è elemento costitutivo della messa alla prova per i maggiorenni, connota in senso univoco il carattere afflittivo dell'istituto in esame e spiega la scelta del Legislatore di inserire l'art. 657-bis c.p. tra le norme in materia di esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali. Viceversa, nel procedimento a carico degli imputati minorenni, la finalità rieducativa della messa alla prova è talmente pregnante da consentire al giudice di non dichiarare l'estinzione del reato anche se il minore abbia ottemperato alle prescrizioni ma dal suo comportamento o dalla sua personalità la prova non ha dato esito positivo (art. 29 d.P.R. 448/1988). Si tratta, dunque, di due istituti talmente diversi da non poter probabilmente dar luogo a nessuna disparità di trattamento. D'altronde, la non estensibilità automatica dell'art. 657-bis c.p.p. agli imputati minorenni sarebbe in linea con l'orientamento della giurisprudenza del Tribunale per i minorenni in tema di mancata applicazione della sospensione condizionale della pena laddove, a volte, al fine di perseguire il reale interesse del minore, è stata scelta la soluzione più invasiva sotto il profilo penale e penitenziario, nella consapevolezza di porre in essere un intervento di presa in carico e non solo di reazione del sistema e di realizzazione della pretesa punitiva dello Stato. |