Il termine per la risoluzione del concordato ha natura decadenziale

06 Giugno 2018

Il termine annuale di cui all'art. 186, comma 3, l. fall. ai fini della richiesta di risoluzione del concordato preventivo ha natura decadenziale, conseguendone che il suo mancato rispetto, ove non eccepito dal debitore costituito, non può essere rilevato d'ufficio dal tribunale fallimentare.
Massima

Il termine annuale di cui all'art. 186, comma 3, l. fall. ai fini della richiesta di risoluzione del concordato preventivo ha natura decadenziale, conseguendone che il suo mancato rispetto, ove non eccepito dal debitore costituito, non può essere rilevato d'ufficio dal tribunale fallimentare.

Il caso

Una proposta concordataria di natura liquidatoria prevedeva l'integrale pagamento delle spese di procedura e dei creditori privilegiati, oltreché il pagamento in misura percentuale, peraltro non stabilita in domanda, dei creditori chirografari, suddivisi in classe.

Compiuta la liquidazione concordataria, il creditore privilegiato erariale veniva soddisfatto nei soli limiti del 7%.

L'Agenzia delle Entrate, rilevato il “grave” inadempimento, proponeva ricorso al Tribunale di Milano ai sensi dell'art. 186 l. fall., chiedendo la risoluzione del concordato ed il fallimento del debitore proponente.

L'Amministrazione finanziaria, con il ricorso, faceva presente come, nel caso in esame, non vi fosse alcun riferimento ai termini d'adempimento della procedura, né in sede di decreto d'omologa, né in sede di relazione del commissario giudiziale ex art. 172 l. fall.

Il debitore non si costituiva in giudizio, per quanto avesse regolarmente ricevuto la notifica del ricorso.

Presentavano invece proprie memorie scritte tanto il commissario giudiziale, quanto il liquidatore giudiziale.

Il primo, rilevava come l'originaria domanda prevedesse un termine d'esecuzione di 24 mesi, peraltro decorrenti dalla data d'ammissione alla procedura; la proposta, d'altra parte, non dava alcuna certezza in ordine al quantum destinabile ai creditori, di talché – rilevava il commissario – non poteva essere sanzionato alcun inadempimento da parte del debitore proponente.

Il liquidatore giudiziale dava atto che all'esito della liquidazione era, in realtà, emerso un “grave” inadempimento delle obbligazioni concordatarie: l'attivo realizzato aveva infatti consentito il pagamento a favore del creditore erariale del solo 7%, quando la proposta ne prevedeva l'integrale soddisfacimento (né, tantomeno, alcun pagamento v'era stato a favore del ceto chirografario).

Il Tribunale di Milano, con la sentenza in esame, rilevando la mancata costituzione in giudizio da parte del debitore, ha osservato come, nel caso concreto, l'unico termine d'esecuzione della procedura concorsuale fosse quello previsto nell'originaria proposta concordataria.

I giudici milanesi hanno quindi preso posizione sulla natura del termine annuale previsto dall'art. 186, comma 3, l. fall., richiamando, sul punto, l'insegnamento della Suprema Corte: tale termine “ha natura decadenziale e non processuale, poiché il dedotto inadempimento e la predetta domanda non sono eventi o atti interni alla procedura, che si chiude con l'omologazione” (Cass., civ. sez. I, 25 settembre 2017, n. 22273).

Muovendo dalla citata giurisprudenza di legittimità, il Tribunale di Milano ha statuito che il termine di cui all'art. 186, comma 3, l. fall., non avendo natura processuale, deve ritenersi sottratto alle regole del codice di rito (v. artt. 152-153 c.p.c.), ricadendo, piuttosto, nell'ambito della disciplina codicistica della decadenza (v. art. 2964 ss. c.c.).

E, a mente dell'art. 2969 c.c., il giudice non può rilevare d'ufficio la decadenza.

Peraltro, tale norma fa salvo il potere del giudice di dichiarare la decadenza ove sia rilevabile una causa d'improponibilità dell'azione, quando la materia sia sottratta alla disponibilità delle parti.

Per il Tribunale di Milano, tuttavia, tale ultima “clausola di salvezza” non può operare con riferimento al concordato preventivo: nel campo concorsuale si verte, infatti, su rapporti obbligatori che sono rimessi, per antonomasia, alla disponibilità delle parti.

Plasticamente – rilevano i giudici meneghini – il primo comma dell'art. 186 l. fall. attribuisce a ciascun singolo creditore il diritto/facoltà di richiedere la risoluzione del concordato, sempreché l'inadempimento sia di non “scarsa importanza”, escludendo da tale potere non solo gli organi della procedura, ma anche il pubblico ministero (nonché, com'è stato altrove rilevato, lo stesso debitore proponente: Cass., civ. sez. I, 28 aprile 2015, n. 8575).

Nel caso in esame, il debitore non si era costituito e dunque, nella sede del procedimento camerale ex art. 15 l. fall., come richiamato dagli artt. 137-186 l. fall., non era stata ritualmente proposta alcuna eccezione in ordine al decorso del termine annuale previsto dall'art. 186, comma 3, l. fall.

Né, d'altra parte – secondo i giudici milanesi –, il commissario giudiziale poteva essere ritenuto “parte processuale”, in senso tecnico, nell'ambito di tale giudizio camerale, conseguendone, sotto questo profilo, la irrilevanza della questione circa la decadenza dall'azione per inutile decorso del termine ex art. 186, comma 3, l. fall., pur dedotta da tale organo della procedura nella propria memoria “difensiva”.

Sotto il profilo della sussistenza del presupposto oggettivo, i giudici milanesi hanno poi dato atto di come, nella fattispecie, fosse palese la rilevanza dell'inadempimento, richiamando quella giurisprudenza di legittimità secondo cui il concordato liquidatorio deve essere risolto qualora, secondo l'apprezzamento del giudice di merito, le somme ricavabili dalla liquidazione si appalesino del tutto insufficienti a soddisfare i creditori, come anche quando venga accertata una sopravvenuta impossibilità di attuare le condizioni minime previste dalla legge (Cass., civ. sez. I, 4 marzo 2015, n. 4398).

Il Tribunale di Milano, in conclusione, attesa la natura decadenziale, e non processuale, del menzionato termine ex art. 186, comma 3, l. fall., non potendo procedere d'ufficio a rilevare la decadenza ai sensi e per gli effetti dell'art. 2969 c.c., rilevata la sussistenza del presupposto oggettivo (grave inadempimento), ha così dichiarato risolto il concordato preventivo, procedendo, per l'effetto, ad aprire la procedura fallimentare nei confronti del debitore proponente.

Alcune riflessioni: unitarietà della fattispecie risolutoria, termini per la proposizione della domanda

La sentenza del Tribunale di Milano, incentrata sulla natura decadenziale, e non processuale, del termine di cui all'art. 186 l. fall., offre lo spunto per alcune riflessioni circa i tratti peculiari della risoluzione del concordato preventivo.

Secondo l'attuale formulazione dell'art. 186 l. fall., come modificato per effetto del D.Lgs. n. 169/2007 (cd. “Decreto correttivo”), la risoluzione del concordato è modellata sugli schemi privatistici che regolano l'inadempimento contrattuale.

Da una parte, sul piano sostanziale, attribuendo rilevanza ai soli inadempimenti che non abbiano scarsa importanza; dall'altra, sul piano processuale, circoscrivendo la legittimazione ad agire ai soli creditori, essendo stato eliminato ogni potere officioso da parte degli organi di giustizia.

A differenza dell'art. 137 l. fall., norma pure modificata dal Decreto correttivo, che fa ancora riferimento alla mancata costituzione delle garanzie promesse, l'art. 186, commi 1-2, l. fall. estende generalmente la risoluzione del concordato preventivo a qualsiasi inadempimento, purché non di “scarsa importanza” – tale ultimo elemento costituendo causa di esclusione della risoluzione (F.S. Filocamo, Sub art. 186, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2014, 2680).

L'art. 186 l. fall. definisce dunque un'unica, dilatata fattispecie risolutoria, senza più alcun riferimento al concordato con cessione di beni, né a quello con garanzia, e ciò per effetto del richiamo, ante novella, all'art. 137 l. fall.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, con riferimento alle obbligazioni civili, il giudice valuta la rilevanza dell'inadempimento in base ad “un duplice criterio, applicandosi, in primo luogo, un parametro oggettivo, attraverso la verifica che l'inadempimento abbia inciso in modo apprezzabile nell'economia complessiva del rapporto, sì da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del sinallagma negoziale. Va completata, poi, l'indagine, mediante la considerazione di eventuali elementi di carattere soggettivo, consistenti nel comportamento di entrambe le parti” (così Cass., civ. sez. III, 28 marzo 2006, n. 7083).

Il concordato preventivo presenta invero, rispetto ai tradizionali canoni dell'inadempimento civilistico, tratti del tutto peculiari, da una parte, non potendosi definire negozio giuridico a prestazioni corrispettive, dall'altra, potendo ben prendere forma secondo schemi tanto complessi quanto “atipici”.

Appare, così, appropriato il riferimento che il novellato art. 186 l. fall. fa al termine “adempimento” – e non più a quello di “pagamento” –, e ciò con riferimento sia all'inquadramento della fattispecie risolutoria, sia all'individuazione della causa di esclusione, sia infine ai termini per l'introduzione del ricorso,

In questo senso, è stato ritenuto che “la modifica appare opportuna in considerazione della varietà dei contenuti che il piano concordatario può ora assumere e, in particolare, della possibile previsione di forme di soddisfacimento del ceto creditorio alternative al pagamento” (G. Lo Cascio (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2015, 2313).

Del resto, tornando alle “variazioni” rispetto alla risoluzione in ambito civilistico, l'art. 186 l. fall. non fa alcuna espressa menzione all'interesse della controparte – così come previsto dall'art. 1455 c.c. (“Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”).

Per questo motivo, si ritiene che la valutazione della rilevanza dell'inadempimento in ambito di concordato debba essere basata esclusivamente su profili di natura oggettiva (cfr., fra gli altri, G. Rago, La risoluzione del concordato preventivo fra passato presente e … futuro, in Fallimento, 2007, p. 1209 ss.; G.B. Nardecchia, La risoluzione del concordato preventivo, ib., 2012, 260 ss.).

Dovendosi, al pari, prescindere dai profili legati alla impossibilità di adempiere le prestazioni assunte in proposta per fatto imputabile al debitore, ex art. 1218 c.c. (in questo senso: Cass., civ. sez. I, 7 giugno 2007, n. 13357).

Quanto al profilo temporale, lo stesso assume rilevanza ai fini della risoluzione del concordato preventivo sotto due diverse, per quanto correlate, angolature.

La prima, con riferimento al momento a partire dal quale i singoli creditori possano richiedere la risoluzione del concordato.

Tale momento decorre, nel concreto, dal mancato rispetto dei “tempi di adempimento della proposta”, ex art. 161, comma 2, lett. e). l. fall. – norma secondo la quale la proposta concordataria deve, fra l'altro, “indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.

Come già in passato, con riferimento al concordato preventivo con cessione di beni, in caso di mancata previsione di un termine d'adempimento del concordato, il dies a quo viene fatto decorrere dalla data di ultimazione delle operazioni liquidatorie, con ciò dovendosi intendere il momento dell'ultimo pagamento posto in essere dal liquidatore giudiziale (Cass., civ. sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27666; Cass., civ. sez. II, 6 settembre 1974, n. 2423).

Non sarebbe, d'altra parte, ammissibile una domanda di risoluzione del concordato introdotta prima che fosse decorso il termine di scadenza dell'adempimento – salva, peraltro, l'ipotesi di conclamata e irreversibile impossibilità di adempiere da parte del debitore (Cass., civ. sez. I, 31 marzo 2010, n. 7942; Cass., civ. sez. I, 21 gennaio 1993, n. 709).

La seconda angolatura riguarda il termine finale entro il quale i singoli creditori possono richiedere la risoluzione del concordato preventivo.

Il dies ad quem viene a coincidere con l'ultimo giorno dell'arco annuale decorrente dal termine fissato per l'adempimento delle obbligazioni del proponente, così come enunziate nel piano concordatario – siano esse azioni programmate ovvero vincolanti risultati da conseguire, secondo modalità e misure ivi fissate (A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013, 1315).

Ed è entro tale termine, annuale, che il creditore, per evitare l'effetto della decadenza, deve ritualmente proporre la domanda per la risoluzione del concordato, ex art. 186, comma 3, l. fall.

In conclusione

Il tema del dies ad quem consente di tornare, per un'ultima considerazione, sull'annotata, condivisibile sentenza del Tribunale di Milano circa la natura – decadenziale – del termine previsto dall'art. 186, comma 3, l. fall. ai fini della proposizione del ricorso per la risoluzione del concordato.

Se oggi, per effetto del Decreto correttivo, l'art. 186 l. fall. chiaramente stabilisce che al fine di non incorrere negli effetti decadenziali dell'azione il creditore ha l'onere di introdurre il giudizio di risoluzione nel termine annuale (dalla scadenza fissata per l'ultimo adempimento), sino al 2007 la lettera dell'art. 137, comma 3, l. fall., come richiamato dall'allora vigente art. 186, comma 1, l. fall., disponeva che la risoluzione non potesse essere pronunziata una volta che fosse trascorso un anno (dalla scadenza dell'ultimo pagamento).

Tale formulazione aveva generato incertezze in ordine agli effetti della presentazione della domanda di risoluzione, ritenendosi, da una parte, che il decorso dell'anno impedisse, in ogni caso, la risoluzione del concordato (Cass., civ. sez. I, 10 dicembre 1987, n. 9118), dall'altra, che la proposizione del ricorso fosse, in sostanza, idonea ad interrompere e/o sospendere il termine annuale, retroagendo, l'eventuale pronuncia d'accoglimento, alla data di presentazione della domanda (Cass., civ. sez. 1, 18 luglio 1973, n. 2103).

Le riforme della l. fall. – in primis, quella del 2006 (D.Lgs. n. 5/2006), che è andata a modificare l'art. 137 e, poi, quella del 2007 (D.Lgs. n. 169/2007), che ha modificato l'art. 186 – hanno, sul punto ed in conclusione, sgombrato il campo da ogni residua incertezza: il termine annuale previsto, a pena di decadenza, ai fini della richiesta di risoluzione del concordato incide esclusivamente sulla proposizione del ricorso e, dunque, non anche sulla pronunzia di risoluzione del concordato medesimo.

Guida all'approfondimento

Vengono riepilogate le sentenze citate nel testo, così come i menzionati contributi dottrinari.

In giurisprudenza:

  • Cass. civ. sez. 1, 18 luglio 1973, n. 2103
  • Cass., civ. sez. II, 6 settembre 1974, n. 2423
  • Cass., civ. sez. I, 21 gennaio 1993, n. 709
  • Cass., civ. sez. III, 28 marzo 2006, n. 7083
  • Cass., civ. sez. I, 7 giugno 2007, n. 13357
  • Cass., civ. sez. I, 31 marzo 2010, n. 7942
  • Cass., civ. sez. I, 20 giugno 2011, n. 13446
  • Cass., civ. sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27666
  • Cass., civ. sez. I, 4 marzo 2015, n. 4398
  • Cass., civ. sez. I, 28 aprile 2015, n. 8575
  • Cass., civ. sez. I, 25 settembre 2017, n. 22273

In dottrina:

  • Filocamo F.S., Sub art. 186, in M. Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, Padova, 2014
  • Maffei Alberti A., Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013
  • Nardecchia, G.B.La risoluzione del concordato preventivo, in Fallimento, 2012
  • Lo Cascio G. (diretto da), Codice commentato del fallimento, Milano, 2015
  • Rago, G. La risoluzione del concordato preventivo fra passato presente e … futuro, in Fallimento, 2007.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario