La derogabilità all'arbitro della funzione giurisdizionale del giudice ordinario nell'opposizione all'esecuzione

Nicoletta Giorgi
07 Giugno 2018

La questione di cui si è occupata la Suprema Corte nella pronuncia in commento è la seguente: accertata la presenza di una clausola arbitrale può essere sempre derogata la competenza del giudice ordinario a favore dell'arbitro rituale in caso di opposizione ad un provvedimento esecutivo? Se si, l'opposizione promossa davanti al giudice ordinario è viziata da un difetto di competenza o di giurisdizione?
Massima

La scelta delle parti di derogare ad un collegio arbitrale la funzione giurisdizionale in merito ad un qualsiasi rapporto giuridico, è possibile ogni qualvolta si controverta su diritti disponibili. In merito all'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., avendo ad oggetto il diritto sostanziale del creditore è rimesso alla disponibilità delle parti. Diversamente in merito all'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., avendo ad oggetto la contestazione di regole processuali, norme di ordine pubblico, non disponibili, non può essere compromessa in arbitri.

Il caso

Notificata una cartella di pagamento basata su un provvedimento di revoca di finanziamento pubblico per presunte inadempienze relative all'utilizzo dello stesso, veniva fatta opposizione davanti al tribunale. Contestualmente veniva attivata la procedura arbitrale in quanto il disciplinare allegato al decreto di ammissione al contributo prevedeva il deferimento di ogni controversia ad un collegio arbitrale rituale. Il lodo depositato il 28 luglio 2004 dichiarava illegittimo il provvedimento di revoca del finanziamento. La decisione veniva confermata in sede di appello nel 2011. La causa di opposizione davanti al tribunale disponeva la sospensione dell'efficacia della cartella nel novembre 2004 e con sentenza dell'ottobre 2006 il tribunale dichiarava il proprio difetto di giurisdizione. La sentenza veniva confermata in appello il 17 marzo 2015 e, impugnata in Cassazione, veniva emessa l'ordinanza in commento.

La questione

La questione in esame è la seguente: accertata la presenza di una clausola arbitrale può essere sempre derogata la competenza del giudice ordinario a favore dell'arbitro rituale in caso di opposizione ad un provvedimento esecutivo? Se si, l'opposizione promossa davanti al giudice ordinario è viziata da un difetto di competenza o di giurisdizione?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ha risposto ai quesiti sopra indicati enunciando il principio per cui la clausola compromissoria può essere interpretata dal giudice di merito come comprensiva anche della materia delle opposizioni all'esecuzione forzata, salvo che in essa non si controverta di diritti indisponibili. Ne consegue che in nessun caso possono essere devolute agli arbitri le opposizioni agli atti esecutivi, dove si verifica l'osservanza di regole processuali di ordine pubblico, fuori dalla disponibilità delle parti. La sentenza di appello viene quindi cassata con rinvio alla Corte d'appello perché verifichi la natura dell'opposizione e, quindi, l'effettiva operatività della clausola arbitrale.

Il richiamo giurisprudenziale principale è quello all'ordinanza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. n. 24153/2013 emessa in presenza di una clausola che prevedeva un arbitrato estero. Qui le Sezioni Unite hanno definito la natura giurisdizionale dell'attività degli arbitri rituali.

Secondo l'originaria giurisprudenza della Corte, il compromesso per arbitrato estero comportava il difetto di giurisdizione del giudice italiano (Cass. civ., Sez. Un., n. 9380/1992). Diversamente la presenza di una clausola compromissoria a favore di un arbitrato rituale italiano si riteneva configurasse una questione di competenza dato che l'ambito di giurisdizione ordinaria era il medesimo, cosa diversa se la competenza giurisdizionale fosse indicata a favore di un giudice speciale. In tal caso la questione era di giurisdizione e non di competenza.

Con sentenza del 3 agosto 2000, n. 527 le Sezioni Unite hanno considerato la decisione arbitrale un atto di autonomia privata e la clausola compromissoria una deroga alla giurisdizione. La clausola compromissoria, quindi, non innescava più una questione di giurisdizione bensì un problema interpretativo nel merito sulla validità o meno della clausola. Tale giudizio spettava al giudice competente secondo gli ordinari criteri.

Nell'ordinanza in esame si discute se la clausola arbitrale de quo estenda o meno i suoi effetti all'opposizione promossa.

L'attuabilità della scelta delle parti di derogare alla giurisdizione del giudice naturale è subordinata, quindi, alla natura della materia del contendere che deve poter essere ugualmente assoggettabile alla libera determinazione delle parti.

Osservazioni

L'attivazione di un doppio binario (tribunale per l'opposizione all'esecuzione e camera arbitrale per l'impugnazione del provvedimento di revoca del contributo) ha condotto l'attore a percorrere tutti i gradi di giudizio dato che, nelle more dell'esito del giudizio di impugnazione del lodo (2005-2011), non poteva lasciare passare in giudicato la sentenza di primo grado (pronunciata il 9.10.2006) che dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario. L'impugnazione in sede di appello si è conclusa nel 2015 e la sentenza ha confermato il difetto di giurisdizione.

Questo esame cronologico consente di comprendere le motivazioni che hanno condotto alle scelte processuali, scelte che oggi non sarebbero state assunte. Infatti al tempo della pubblicazione della sentenza di primo grado, dichiarativa del difetto di giurisdizione, non era prevista la traslatio judicii, prevista dal codice di procedura civile solo per l'ipotesi di difetto di competenza, e che con la riassunzione davanti al giudice indicato consentiva di fare salvi gli effetti sostanziali e processuali della precedente domanda. Con la dichiarazione del difetto di giurisdizione il giudizio avrebbe dovuto essere iniziato ex novo lasciando la parte esposta alla maturazione dei termini di prescrizione e di decadenza. Nel caso specifico l'opposizione alla cartella sarebbe stata tamquam non esset e la cartella sarebbe diventata definitivamente esecutiva. Ciò avrebbe consentito, in pendenza dell'esito dell'impugnazione del lodo, di subire una procedura esecutiva e di dover restituire il finanziamento.

Tale diversificata disciplina è stata ricondotta ad uniformità solo con l'art. 59 della l. n. 69/2009 che pur non modificando il codice di procedura civile ne integra la disciplina sulle questioni di giurisdizione. La norma prevede che il giudice che dichiari il proprio difetto di giurisdizione indichi altresì, se esistente, il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. Se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se tale giudice fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute.

Tanto premesso, si deve rilevare che nel giudizio di appello non è mai stata introdotta la circostanza che il lodo che dichiarava illegittimo il provvedimento di revoca del contributo, base giuridica sulla quale è stata emessa la cartella opposta, era stato confermato in sede di appello. Di tale circostanza non ne tiene conto neppure la Cassazione quando, pur citando questo fatto, cassa con rinvio per la verifica della natura dell'opposizione e per la conseguente valutazione di operatività della clausola arbitrale.

Orbene, dato che il combinato disposto della legge n. 25/1994 e del d.lgs. n. 40/2006 ha sciolto ogni dubbio sulla natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale ritenendo questione di competenza la circostanza che la controversia spetti al giudice ordinario o agli arbitri, se il lodo è divenuto definitivo si sollecitano alcune riflessioni sul rinvio. La Corte d'appello se qualificasse l'opposizione come opposizione all'esecuzione dovrebbe verificare l'applicabilità della clausola compromissoria e, in caso affermativo, dichiarare la competenza del collegio arbitrale. Conseguentemente la causa dovrebbe essere riassunta nei termini previsti salvo l'estinzione del giudizio di opposizione alla cartella ex art. 50 c.p.c. e la reviviscenza di una cartella basata su un provvedimento dichiarato illegittimo. Qualora invece l'opposizione venisse qualificata come opposizione agli atti esecutivi verrebbe dichiarato competente il giudice ordinario, con le medesime conseguenze sopra descritte.

Se fosse confermata la definitività del lodo, si sarebbe potuto emettere una pronuncia di cassazione senza rinvio per sopravvenuta inattualità della lite. In sede di teoria generale, è sostanzialmente condivisa l'affermazione che le ipotesi comunemente definite di cessazione della materia del contendere si differenziano da quelle - comportanti l'estinzione del processo civile - di rinuncia agli atti, dato che le prime presuppongono che cessi totalmente la posizione di contrasto tra le parti per il sopravvenire di circostanze sostanziali idonee a privare la parte di un interesse giuridicamente rilevante alla pronuncia (Cass. civ., n. 10379/2011). Un'ipotesi è data dal fatto che, ad esempio, sopravvenga l'annullamento in autotutela dell'atto recante la pretesa fiscale.

La sentenza del 2011 rileva che la giurisprudenza della Corte ha rilevato che la composizione della controversia con il venir meno di posizioni di contrasto, comporta conseguenze sostanziali sul contenuto delle domande e delle successive sentenze determinando la rimozione delle sentenze emesse, in quanto non più attuali, attraverso la verifica dell'intervenuta cessazione della materia del contendere e la pronuncia di cassazione senza rinvio ai sensi dell'art. 382, comma 3, c.p.c. in quanto la causa non può essere proseguita (Cass. civ., n. 19161/2007, Cass. civ., n. 3311/2000).

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