I rapporti tra i livelli di contrattazione e l'efficacia soggettiva dei contratti collettivi

Francesco Baldi
07 Giugno 2018

La tematica delle interferenze tra i livelli di contrattazione e quella dell'esigibilità dei contratti collettivi rivestono importanza fondamentale per l'ordinamento intersindacale. Tuttavia, la mancanza di regole vincolanti e la contrapposizione tre esigenze di stabilità ed efficacia soggettiva limitata -propria del contratto collettivo di diritto comune quale fonte principale del diritto sindacale - impone agli operatori uno sforzo interpretativo continuo, in cui le soluzioni adottate non sono risultate sempre uniformi e coerenti.
I livelli di contrattazione e l'esigibilità dei contratti collettivi

La principale fonte di regolamentazione del diritto sindacale è certamente il contratto collettivo, ovvero l'accordo raggiunto tra l'associazione di categoria datoriale ed il sindacato dei lavoratori, che, in esito alle trattative sindacali, sinterizza e compone gli opposti interessi delle parti.

Le materie trattate sono molto vaste e si diversificano in relazione al livello di contrattazione, (interconfederale, nazionale, di secondo livello) nell'ambito dei differenti “piani” in cui si articola la struttura organizzativa dei sindacati confederali che, pur a fronte di alterne vicende e della peculiarità di alcuni settori, rappresentano ancor oggi il modello prevalente (c.d. “comparativamente più rappresentativi”).

Certamente la struttura confederale presuppone uno stretto collegamento tra i diversi livelli ed il contratto collettivo svolge anche la funzione di cerniera tra gli stessi, determinandone l'oggetto e le relative interferenze.

In tal senso, gli accordi interconfederali (stipulati tra le confederazioni sindacali ovvero associazioni di secondo livello) hanno lo scopo di determinare, seguendo una logica sistematica, regole comuni per macro-settori produttivi (industria, commercio, agricoltura, artigianato, credito) con riguardo, in generale, a: politica dei redditi (A.I. 23 luglio 1993; A.I. 15 aprile 2009 - per l'attuazione dell'accordo-quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009), determinazione degli assetti contrattuali (A.I. 23 luglio 1993; A.I. 15 aprile 2009; A.I. 28 giugno 2011; A.I. 31 maggio 2013) previsione degli organismi di rappresentanza sindacale aziendale (A.I. 23 luglio 1993) durata della validità dei contratti collettivi (A.I. 23 luglio 1993, A.I. 15 aprile 2009), definizione della funzione e contenuto del contratto collettivo nazionale di lavoro (A.I. 15 aprile 2009; 28 giugno 2012) definizione dei criteri di rappresentanza e rappresentatività che devono possedere le organizzazioni sindacali per la partecipazione alla contrattazione collettiva (A.I. 28 giugno 2011; A.I. 31 maggio 2013; A.I. 10 gennaio 2014), determinazione della retribuzione premiale legata alla maggiora produttività aziendale (A.I. 21 novembre 2012).

Il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL), poi, svolge la funzione di garantire a tutti i lavoratori iscritti alle associazioni stipulanti dei diversi settori produttivi, ovunque impiegati nel territorio nazionale, la certezza dei trattamenti minimi, economici e normativi (A.I. 15 aprile 2009), mediante la previsione di clausole c.d. normative (cui dovranno uniformarsi i contratti individuali di lavoro, ivi compresa la determinazione dei minimi retributivi da applicare al rapporto) quanto le clausole c.d. obbligatorie (destinate a disciplinare le relazioni industriali, ivi comprese le attività di informazione sindacale e la cd tregua sindacale, quanto durata, modalità di disdetta, interpretazione ed esecuzione del contratto o collettivo) nonché clausole c.d. gestionali per la governance di situazione di crisi aziendale.

Il contratto di secondo livello, infine, ha la funzione di dettare una disciplina collettiva uniforme dei rapporti di lavoro, ma limitatamente ad una determinata azienda (o parte di essa), c.d. “contratto aziendale” ovvero, ad una determinata area territoriale (in genere composta da piccole e medie imprese) “c.d. contratto territoriale”.

Il contratto collettivo di secondo livello consente di adattare la disciplina del rapporto di lavoro alle prerogative di una realtà circoscritta, con riguardo a forme di retribuzione incentivante, ricollegata a criteri di produttività, qualità, redditività, efficacia, innovazione, valorizzazione del lavoro, efficienza organizzativa e altri istituti che rilevano ai fini della competitività e maggiore produttività aziendale nonché alla gestione di situazione di crisi aziendale (in tal caso anche in assenza di regole poste dal CCNL – punto 7 - Accordo interconfederale 28 giugno 2011).

Con riferimento ai rapporti tra i diversi livelli contrattuali, la giurisprudenza, privilegiando la natura civilistica del contratto collettivo, ritiene che le disposizioni hanno “pari dignità e forza vincolate” (Cass. sez. lav., 15 settembre 2014 n. 19396), nel rispetto della rispettive competenze ed autonomia (Cass. sez. lav., 25 maggio 2008 n. 13544).

È pur vero, però, che le parti sociali, sin dall'accordo interconfederale del 23 luglio 1993, hanno operato una scelta ben precisa, ponendo al centro del sistema il contratto nazionale e riservando al contratto di secondo livello (territoriale o aziendale) una funzione integrativa, e comunque limitatamente alle materie delegate dal primo.

Tale scelta organizzativa è stata ulteriormente ribadita con l'A.I. del 28 giugno 2011, che ha riservato al contratto di secondo livello, la facoltà di disciplinare (eventualmente anche in pejus seppur entro precisi limiti - A.I. 15 aprile 2009) le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto collettivo nazionale di categoria.

Le parti sociali inoltre, proprio al fine di contrastare la pratica, (sempre più diffusa quanto destabilizzante), degli accordi separati, hanno formalmente assunto l'impegno di presentare piattaforme unitarie o, in mancanza, accreditare solo quelle piattaforme rivendicative che fossero presentate da uno o più sindacati con rappresentatività pari al 50% + 1, in base ai criteri indicati dall'accordo TU del 10 gennaio 2014.

È pur vero, tuttavia, che ogni tentativo di uniformare l'applicazione degli accordi, nell'ambito di un sistema sindacale governato dal contratto collettivo di diritto comune, trova il suo limite nell'esigibilità del contratto, che costituisce una fonte di regolamentazione primaria, assimilabile alla legge, ma per sua stessa natura non avente efficacia erga omnes (“amina di legge ma corpo di contratto – Carnelutti – “teoria del regolamento collettivo dei rapporti di lavoro”).

Orbene, se il tema dell'esigibilità è connesso con quello della rappresentatività sindacale, e ciò perché proprio l'accertamento della maggiore rappresentatività rappresenta il perno su cui il legislatore fonda l'efficacia generale dell'accordo, è pur vero che le parti sociali hanno tentato una regolamentazione per cui i CCNL sottoscritti dalle OO.SS. aventi un minimo di rappresentatività nella categoria pari al 5% (e, complessivamente, almeno il 50%+1) previa consultazione certificata dei lavoratori a maggioranza semplice, saranno esigibili da tutti i lavoratori (A.I. 31 maggio 2013; TU sulla rappresentanza sindacale del 10 gennaio 2014).

In ogni caso, però, l'efficacia di tale regolamentazione non potrà che essere estesa solo nei confronti delle associazioni sindacali (ed ai lavoratori ad esse aderenti) che non hanno sottoscritto, o prestato adesione, all'accordo.

Ne deriva che l'accordo conserva il carattere precettivo solo se il soggetto rappresentato non decida di uscire dal sistema e, per ciò stesso, non risulti più vincolato dalla stessa regolamentazione in forza del principio di rappresentanza.

Efficacia soggettiva dei contratti di secondo livello

In linea generale, anche il contratto di secondo livello, avendo natura di “diritto comune”, hanno efficacia vincolate analoga a quella del contratto collettivo nazionale (cfr., ex aliis, Cass. sez. lav., 9 dicembre 1988, n. 6695; Cass. n. 2808/1984; Cass. n. 423/1984; Cass. n. 718/1983; Cass. n. 300/81; Cass. n. 357/1971).

In tal senso, a causa della mancata attuazione dall'art. 39, commi 2 e 3 Cost., i sindacati non hanno mai ottenuto la personalità giuridica per cui il contratto collettivo è solo quello di diritto comune, trattasi, quindi atto negoziale di natura privatistica soggetto alle ordinarie regole di cui agli artt. 1321 e ss. c.c. (Cass. 6 novembre 1990 n. 12654).

Con efficacia vincolante nei confronti delle associazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro stipulanti, nonché di tutti quei soggetti (lavoratori e datori di lavoro) che alle stesse hanno conferito mandato a rappresentare i loro interessi in forza ella delega attraverso l'iscrizione, (Cass. 19 giugno 2004, n. 11464).

Tuttavia la tematica dell'esigibilità dei contratti di secondo livello risulta particolarmente complessa e impone uno sforzo interpretativo da parte degli operatori giuridici. Anche al fine di regolamentare la materia ed estenderne l'applicazione concreta - prevenendo le criticità che la c.d. vicenda FIAT, culminata con gli accordi di Pomigliano del 15 giugno 2010 di Torino del 23 dicembre 2010, aveva fatto emergere, disvelando tutta la fragilità dell'ordinamento sindacale - le parti sociali hanno ricercato strumenti idonei a garantirne il rispetto delle regole deliberate.

Pertanto, hanno stabilito che i contratti collettivi aziendali sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni sindacali, espressione delle Confederazioni firmatarie, se approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU (A.I. 28 giugno 2011, punto 4).

In caso di RSA ex art. 19 St. Lav., poi, i suddetti contratti collettivi aziendali esplicano pari efficacia se approvati dalle RSA costituite nell'ambito delle associazioni sindacali, che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferiti dai lavoratori nell'anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione (A.I. del 28 giugno 2011, punto 5).

Con specifico riguardo al secondo livello di contrattazione, pertanto, le parti sociali attraverso il vincolo contrattuale applicabile a tutti, tentano di uniformare politiche sindacali e stabilizzare le relazioni industriali in base agli strumenti normativi che l'ordinamento mette a disposizione.

L'efficacia erga omnes, tuttavia, non deve trarre in inganno, in quanto deve uniformarsi ai vincoli derivanti dall'applicazione dei principi civilistici. Per cui il contratto ha efficacia per tutti coloro che appartengono anche ad organizzazioni sindacali dissenzienti ma pur sempre affiliate alle confederazioni firmatarie dell'A.I. 28 giugno 2011 (accordo unitario sottoscritto da Confindustria e CGIL-CISL e UIL, e UGL).

Ne deriva che, in ossequio al principio di libertà sindacale, che la stessa efficacia non può essere estesa anche a quei lavoratori che appartengono ad un'organizzazione sindacale non confederata e diversa da quelle che hanno stipulato l'accordo e che ne condivida l'esplicito dissenso.

Discorso a parte, meritano i c.d. “contratti gestionali", eventi efficacia per tutti i lavoratori, cui si ricorre nell'ambito di particolari, quanto delicate, situazioni relative all'andamento della gestione aziendale, (es. ricorso alla Cassa integrazione, i trasferimenti d'azienda, i licenziamenti collettivi ed i contratti di solidarietà (Cass. sez. lav., 15 dicembre 2008, n. 29306).

In merito, la Suprema Corte ha ribadito che gli accordi sindacali che stabiliscono i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità non appartengono alla categoria dei contratti collettivi normativi, con la conseguenza che gli stessi – sempre che non ne sia compromessa la validità dal mancato rispetto del principio di razionalità e di quello di non discriminazione di cui all'art. 15, L. n. 300/1970 – incidono direttamente non già sulla posizione del lavoratore, di cui non rileva quindi l'eventuale non iscrizione alle organizzazioni sindacali sottoscrittrici dell'accordo, ma su quella del datore di lavoro, il quale nella scelta dei dipendenti da porre in mobilità deve applicare i criteri concordati (Cass. sez. lav., 20 marzo 2000, n. 3271).

Efficacia erga omnes dei contratti collettivi di prossimità

Orbene, le problematiche sopra descritte e relativa al contratto collettivo di diritto comune, non riguardano un diversa tipologia di contratti di secondo livello, i c.d. “di prossimità”, in cui l'efficacia erga omnes è stabilita direttamente dalla legge.

Al riguardo si ricorda che l'art. 8 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella L. 14 settembre 2011, n. 148, attribuisce alle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero alle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda il potere di sottoscrivere contratti collettivi – anche in deroga alle disposizioni di legge e di quelle contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro. Tali contratti collettivi possono riguardare materie inerenti l'organizzazione del lavoro e della produzione, ivi comprese anche le conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per talune ipotesi tassativamente previste (licenziamento discriminatorio, in concomitanza di matrimonio, in caso di adozione o affidamento, ecc.) e con l'unico limite del rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dalle normative comunitarie e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.

Orbene, con riguardo all'efficacia soggettiva di tali contratti, l'art. 8 della Legge 14 settembre 2011, n. 148, attribuisce efficacia vincolante (c.d. erga omnes) ai contratti collettivi di prossimità, purché sottoscritti sulla base di un criterio maggioritario, relativo alle rappresentanze sindacali presenti, delineato in base ai criteri dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011.

Il legislatore impone, quindi, in via preliminare il rispetto delle procedure previste dall'accordo del 28 giugno 2011 (richiamo da riferire, adesso, al TU Rappresentanza del 10 gennaio 2014) mutuando da esso il criterio maggioritario, ma in totale antitesi rispetto allo stesso accordo prevede l'efficacia erga omnes piena, quindi applicabile anche a lavoratori appartenenti ad OO.SS sindacali dissenzienti e anche non iscritti ad alcuna organizzazione sindacale.

Conclusioni

Al tema dell'esigibilità del contratto collettivo si ricollega il difetto strutturale dell'ordinamento sindacale, ovvero la mancata registrazione delle associazioni sindacali ex art. 39, co. 2, della Cost. e l'impossibilità di stipulare contratti collettivi erga omnes per tutti gli appartenenti alla categoria.

Gli interventi del legislatore volti ad intervenire sul tema della rappresentatività (intervento spesso proclamato ma mai attuato) ovvero estendere l'efficacia soggettiva del contratto (con i contratti di prossimità), hanno determinato la naturale resistenza dell'ordinamento intersindacale, formalizzato con la postilla all'accordo interconfederale del 21 giugno/28 settembre 2011, che ha pensato bene di riaffermare la propria autonomia contro ingerenze ritenute, per certi versi anacronisticamente, indebite.

Se quindi, l'intromissione dell'ordinamento statuale sembrerebbe problematica, per altro verso appare necessario che l'autoregolamentazione si fondi su regole certe e condivise (siano esse di natura legale o contrattuale), con assunzione di responsabilità delle parti sociali. Solo in tal modo il contratto collettivo potrà svolgere una fondamentale funzione economico sociale ed offrire il proprio contributo per attenuare la crisi produttiva e occupazionale che affligge il mercato del lavoro.

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