L’avvocato non può pretendere il pagamento minacciando il cliente di istanza di fallimento

Redazione scientifica
11 Giugno 2018

Costituisce un comportamento deontologicamente scorretto, suscettibile di essere sanzionato, la richiesta fatta dall'avvocato al cliente di provvedere al pagamento della parcella attraverso comportamenti sproporzionati o vessatori, in particolare attraverso minaccia di istanza di fallimento.

Il caso. Il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo disponeva, nei confronti di due avvocati, rispettivamente le sanzioni della censura e della sospensione per due mesi dell'attività professionale per i seguenti motivi: aver rinunciato, dopo il conferimento di incarico professionale regolamentato da scrittura privata, al mandato loro conferito dal cliente per mancato versamento di una somma maggiore di quella precedentemente pattuita; aver prospettato di depositare istanza di fallimento, poi infatti presentata, nonostante il precedente versamento; aver menzionato nell'istanza, al fine di motivare lo stato di insolvenza del cliente, la richiesta di fallimento precedentemente depositata e poi ritirata per il pagamento della somma pretesa. I ricorrenti si oppongono al provvedimento, affermando che il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Bergamo non avrebbe considerato l'esistenza, nell'accordo, di un'implicita clausola risolutiva.

Non è deontologicamente corretta la minaccia di istanza di fallimento al fine di ottenere il pagamento. Il Consiglio Nazionale Forense ha rigettato il ricorso e confermato il provvedimento, ritenendo insussistente l'implicita clausola risolutiva vantata dai ricorrenti, premettendo, riallacciandosi alla giurisprudenza in materia, che «l'avvocato che richieda un compenso manifestatamente sproporzionato e comunque eccessivo rispetto all'attività professionale svolta, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e probità» e sottolineando come il nuovo art. 65 del Codice di Deontologia Forense preveda che l'avvocato possa sì rivolgere alla controparte intimazioni ad adempiere anche sotto comminatoria di azioni e/o istante giudiziarie e denunce, ma che non si traducano in comportamenti sproporzionati e vessatori, cioè che sottopongano la controparte a indebite imposizioni materiali o morali, prive di collegamento funzionale con il soddisfacimento del diritto vantato.

Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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