Gli effetti preclusivi del giudicato endofallimentare

Vincenzo Palladino
12 Giugno 2018

Nel procedimento fallimentare l'ammissione di un credito, sancita dalla definitività dello stato passivo, una volta che questo sia stato reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 97 l.fall., acquisisce all'interno della procedura concorsuale un grado di stabilità assimilabile al giudicato, con efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi il credito, comprese le eventuali cause di prelazione che lo assistono, questioni che non possono più essere riproposte inter partes neanche successivamente in altro giudizio in sede ordinaria.
Massima

Nel procedimento fallimentare l'ammissione di un credito, sancita dalla definitività dello stato passivo, una volta che questo sia stato reso esecutivo con il decreto emesso dal giudice delegato ai sensi dell'art. 97 l.fall., acquisisce all'interno della procedura concorsuale un grado di stabilità assimilabile al giudicato, con efficacia preclusiva di ogni questione che riguardi il credito, comprese le eventuali cause di prelazione che lo assistono, questioni che non possono più essere riproposte inter partes neanche successivamente in altro giudizio in sede ordinaria.

La preclusione verificatasi in sede di stato passivo circa la validità o efficacia di un atto negoziale o giuridico comporta la preclusione della questione della invalidità o inefficacia di quell'atto in ogni successivo giudizio inter partes.

Il caso

Il fallimento di un'impresa edile ha evocato in giudizio una società immobiliare, lamentando l'inadempimento di quest'ultima alle obbligazioni assunte in forza di un contratto di appalto stipulato con la società fallita, e chiedendone pertanto la condanna al risarcimento del danno; in via strumentale rispetto a tale domanda, il fallimento attore ha chiesto al giudice adito di dichiarare inefficace ex art. 64 l. fall., o in subordine di revocare ex art. 67, primo comma, n. 1 l. fall., un accordo integrativo/modificativo del suddetto contratto, successivamente intervenuto tra le parti, con conseguente reviviscenza delle obbligazioni previste nel contratto originario. La società convenuta si è costituita in giudizio dando atto: (i) di aver proposto a sua volta una domanda di ammissione al passivo della procedura attrice per crediti derivanti dal medesimo contratto di appalto, come modificato dall'accordo sopra menzionato; (ii) che detti crediti erano stati esclusi dallo stato passivo in ragione, tra l'altro, di un maggior credito vantato dal fallimento proprio in forza della scrittura modificativa di cui sopra, della quale, dunque, il curatore si era avvalso al fine di paralizzare la pretesa dell'instante ex art. 56 l. fall., senza contestarne la validità o dedurne la revocabilità; (iii) di avere quindi proposto opposizione allo stato passivo e che il relativo procedimento era stato sospeso sino all'esito della causa nel frattempo promossa dal fallimento.

Il Tribunale di Milano, con la sentenza qui in esame, ha respinto la pretesa attorea, rilevando che l'accordo impugnato dal fallimento costituiva “una scrittura ricognitiva, avente valore sostanzialmente transattivo delle pretese di entrambe le parti”, e ritenendo preclusa la domanda di inefficacia/revocatoria della medesima scrittura proposta dal fallimento, “per effetto della preclusione pro iudicato conseguente alle determinazioni assunte dalla curatela del fallimento in sede di formazione dello stato passivo, nonché in sede di opposizione ex art. 98 L.F.”.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Nella pronuncia in oggetto il Tribunale di Milano ha affrontato il tema degli effetti del cd. giudicato endofallimentare, affermando che la statuizione contenuta nel decreto di esecutività dello stato passivo, una volta divenuta definitiva, precluderebbe il riesame, in un eventuale giudizio ordinario, delle medesime questioni già oggetto di valutazione in sede di verifica del passivo e/o di opposizione allo stato passivo ex art. 98 l. fall.; principio, quello sopra enunciato, che il Tribunale ha ritenuto applicabile anche in assenza di giudicato, con riferimento alle questioni (attinenti, nella specie, alla pretesa inefficacia e/o revocabilità della scrittura integrativa/modificativa del contratto di appalto stipulato dalla società fallita con la convenuta) non più deducibili nel giudizio di opposizione allo stato passivo per via delle preclusioni processuali ivi maturate.

Osservazioni

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Milano ha delineato l'ambito di efficacia del cd. giudicato endofallimentare, dichiarando di aderire ai principî enunciati dalla Cassazione in alcuni precedenti espressamente richiamati nella motivazione del provvedimento. Sennonché, le pronunce di legittimità citate dal giudice milanese hanno affrontato il tema in esame con specifico riferimento a una fattispecie ben determinata, vale a dire quella in cui il creditore richieda l'ammissione al passivo fallimentare per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione tra il proprio credito e un controcredito di minor importo vantato dal fallito nei suoi confronti. In tale ambito, il precedente di riferimento è costituito dalla sentenza n. 16508 del 14 luglio 2010, con cui le Sezioni Unite hanno stabilito che, in siffatta ipotesi, “il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i (…) profili dell'esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione”; principio, quello suesposto, a cui la Cassazione si è poi costantemente attenuta anche negli arresti successivi (cfr., tra le altre, Cass., 13 ottobre 2017, n. 24164, Cass., 31 ottobre 2016, n. 22044).

Ebbene, a un primo esame il richiamo operato dal Tribunale ai precedenti sopra menzionati non parrebbe del tutto pertinente, posto che la vicenda portata all'attenzione del giudice milanese presenta, rispetto alle fattispecie prese in esame dalla Suprema Corte, una serie di peculiarità; e invero, nel caso in esame: (i) in sede di verifica del passivo la compensazione era stata dedotta dal curatore (e non dal creditore), al fine non già di ridurre, ma di azzerare la pretesa creditoria dell'instante; (ii) sulla questione non si era ancora formato il giudicato, essendo ancora pendente il giudizio di opposizione allo stato passivo (nel frattempo sospeso proprio al fine di evitare un possibile contrasto di pronunce); (iii) la domanda di inefficacia/revoca successivamente proposta dal fallimento era stata formulata, come detto, in via incidentale, essendo la domanda principale diretta ad ottenere il risarcimento del danno conseguente al dedotto inadempimento della convenuta alle obbligazioni nascenti dal contratto di appalto originario.

Ciò nondimeno, la soluzione cui è pervenuto il Tribunale meneghino non appare contrastante con l'orientamento accolto dalla dottrina e dalla giurisprudenza ormai consolidate in materia. A conferma di ciò, si osserva innanzitutto che il principio enunciato dalle Sezioni Unite, con riferimento all'eccezione di compensazione sollevata in sede di verifica del passivo, parrebbe dover valere a fortiori nel caso in cui sia lo stesso curatore a sollevare detta eccezione, in forza del potere/dovere attribuitogli dall'art. 95, primo comma, l fall.;in consimile ipotesi, peraltro, la successiva condotta processuale del curatore, diretta a contestare, nell'ambito di un separato giudizio tra le stesse parti, l'efficacia e la validità proprio del titolo su cui quell'eccezione si fonda, appare preclusa, prima ancora che dagli effetti del giudicato cd. endofallimentare, dal generale divieto di venire contra factum proprium.

Anche per quanto concerne il profilo evidenziato supra sub (ii) - nel quale risiede forse l'elemento di maggiore novità della pronuncia in commento rispetto alla precedente giurisprudenza in materia - la decisione assunta dal Tribunale di Milano appare coerente con l'orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, nella misura in cui l'instaurazione, da parte del curatore, di un giudizio ordinario, avente ad oggetto l'accertamento dell'inesistenza, della invalidità e/o dell'inefficacia del medesimo titolo su cui si fonda l'eccezione di compensazione dedotta in sede di verifica del passivo, sia diretta a (o comunque possa ottenere l'effetto di) “aggirare” le preclusioni processuali in cui la parte sia eventualmente incorsa nel giudizio di opposizione allo stato passivo. Né, infine, le considerazioni sopra svolte mutano in ragione della natura meramente strumentale della domanda di inefficacia/revoca formulata dal fallimento, posto che, come esaustivamente argomentato dal Tribunale di Milano nella motivazione della pronuncia in commento, nel caso in esame l'accoglimento di tale domanda, e la conseguente “rimozione” dell'accordo con cui le parti avevano modificato (rectius: sostituito) le pattuizioni contenute nel contratto di appalto originario, costituiva l'imprescindibile antecedente logico della domanda principale, diretta a far “rivivere” le obbligazioni nascenti da quest'ultimo contratto.

La pronuncia in commento sembra dunque avvalorare l'opinione secondo cui gli effetti del cd. giudicato endofallimentare investono il rapporto sostanziale all'origine della pretesa creditoria dedotta in sede concorsuale nella sua interezza, opinione che appare rispondente all'esigenza di concentrare in un unico procedimento (vale a dire quello di verifica del passivo e l'eventuale giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall.) l'esame di tutte le questioni che possono sorgere nella delibazione circa la sussistenza e l'ammontare del credito azionato.

Minimi riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi

Nel medesimo senso della pronuncia in esame, si segnalano, oltre ai precedenti già citati nel corpo del commento, Cass., 29 gennaio 2013, n. 5840 e Cass., 26 luglio 2012, n. 13289, pronuncia, quest'ultima, in cui la Suprema Corte ha precisato che l'intangibilità del giudicato endofallimentare operaanche in caso di nullità del decreto di esecutività dello stato passivo non impugnato, atteso il principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione sancito in via generale dall'art. 161 c.p.c. In senso (apparentemente) difforme, cfr. Cass., 18 maggio 2007, n. 11647 e Cass., 18 maggio 2005, n. 10429, che però non attengono propriamente all'eccezione di compensazione, ma piuttosto alla diversa ipotesi di ammissione al passivo fallimentare di un credito residuo, rispetto ad altro già soddisfatto in attuazione di un medesimo contratto ad esecuzione continuata; ipotesi, quest'ultima, in cui la Suprema Corte non ha ritenuto precluso l'esercizio, da parte del fallimento, di un'azione ordinaria diretta ad ottenere la declaratoria di inefficacia e/o la revoca dei pagamenti già eseguiti.

In dottrina, la questione degli effetti preclusivi del giudicato fallimentare nell'ambito di un successivo giudizio tra le medesime parti è stata trattata, tra gli altri, da M. SPIOTTA, Il curatore deve adempiere le sue funzioni presto e bene (ma non fare scelte affrettate), nota a Cass., Sez. Un., 14 luglio 2010, n. 16508 in Giur. It., 2011, 343, I. PAGNI, Accertamento del passivo e revocatoria: efficacia preclusiva del decreto di esecutività, nota a Cass., Sez. Un., 14 luglio 2010, n. 16508 in Fall., 2010, 1392 e F. LAMANNA, Compensazione nella verifica del passivo, ed effetti preclusivi delle azioni revocatorie, nota a Cass., 8 luglio 2004, n. 12548,in Fall., 2005, 407; quest'ultimo Autore, in particolare, pur condividendo il principio dell'intangibilità del giudicato formatosi in sede fallimentare, evidenzia che la relativa preclusione “non potrà considerarsi una preclusione meramente interna, endo-fallimentare, ma una preclusione derivante dal formarsi di un giudicato sostanziale che perdippiù potrà includere non solo il dedotto, ma trascinare nella sfera del deducibile l'accertamento in ordine ad esistenza e validità del titolo”.

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