Il reclutamento del personale nelle società a totale partecipazione pubblica
12 Giugno 2018
Massima
a) Una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità.
b) L'art. 32 della L. n. 183/2010, oggi abrogato dal D.Lgs. n. 81/2015, non può essere invocato qualora, come nella fattispecie, si discuta di un rapporto affetto da nullità non convertibile, che produce unicamente gli effetti di cui all'art. 2126 c.c.. Il caso
Un lavoratore conveniva in giudizio una società per azioni sarda di trasporto pubblico locale in cui la Regione ha una partecipazione di controllo, esponendo di essere stato assunto con contratto a tempo determinato illegittimo e chiedendo che venisse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto, decorrente dall'8 luglio 2010.
Il lavoratore chiedeva, altresì, l'accertamento della sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro di natura subordinata a tempo determinato dalla stessa data o, in subordine, dal 25 ottobre 2010, oltre alla condanna della società alla riammissione del lavoratore nel posto di lavoro ed al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate dalla cessazione del rapporto di lavoro o, in subordine, all'indennità di cui all'art. 32 della L. n. 183/2010. Il Giudice di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso, mentre la Corte di Appello lo respingeva.
Nella specie, la Corte territoriale condivideva la sentenza impugnata sotto il profilo della ritenuta illegittimità della clausola di durata, evidenziando che la stessa mancava della necessaria specificità. I giudici di appello escludevano, tuttavia, che potesse essere disposta l'invocata conversione a tempo indeterminato del contratto, in quanto in contrasto con l'art. 18 del D.L. n. 112/2008, convertito dalla L. n. 133/2008, con il quale il legislatore ha imposto alle società a totale partecipazione pubblica di adottare metodi di reclutamento del personale nel rispetto dei criteri di trasparenza, pubblicità e imparzialità.
Il lavoratore proponeva ricorso per cassazione. La questione
Le questioni in esame sono le seguenti: a) se l'omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma primo e di quelle selettive richiamate nel secondo comma dell'art. 18 D.L. n. 112/2008 determini la nullità del contratto ai sensi dell'art. 1418 c.c. o sia solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente;
b) se l'art. 32 L. n. 183/2010, oggi abrogato dal D.Lgs. n. 81/2015, sia applicabile ad un rapporto di lavoro affetto da nullità, non convertibile, che produce unicamente i limitati effetti di cui all'art. 2126 c.c.. Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità, nell'affrontare la prima questione, prendevano le mosse dall'evoluzione normativa e giurisprudenziale intervenuta sulla disciplina delle assunzioni nelle società partecipate. La società convenuta, istituita con personalità giuridica di diritto pubblico dalla l. r. Sardegna 3 del 9 giugno 1970, e successivamente disciplinata dalla l. r. 16 del 20 giugno 1974, veniva trasformata in società per azioni, a partecipazione azionaria pubblica e privata, con il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria.
In riferimento ai rapporti di lavoro, la legge regionale escludeva che, dalla trasformazione dell'azienda in società per azioni, potesse trovare applicazione la regola dettata dall'art. 23 della l. r. 16/1974, che prevedeva l'esperimento del concorso pubblico per le assunzioni, in quanto la normativa sopravvenuta aveva abrogato la vecchia disciplina.
Secondo la S. C., tuttavia, il contratto a termine in esame veniva stipulato nella vigenza dell'art. 18 del D.L. n. 112/2008, che, nel testo applicabile ratione temporis, prevedeva, al comma primo, l'estensione alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi pubblici locali dei criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall'art. 35, co. 3, D. Lgs. n. 165/2001, mentre al comma secondo stabilisce che le “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” adottino “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale, nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”.
Con quest'ultima previsione, il legislatore nazionale avrebbe inteso affermare il principio secondo cui, pur rimanendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, le società partecipate devono attenersi ai vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, secondo criteri di merito e trasparenza.
La S.C. richiama, a tal fine, la pronuncia della Corte Costituzionale n. 466/1993, con la quale la Consulta ha stabilito che la natura privatistica delle società partecipate non esclude i vincoli pubblicistici cui le stesse devono conformarsi.
Secondo il ragionamento dei giudici costituzionali, dunque, la natura privatistica delle società partecipate riveste un carattere meramente formale, dovendo ritenersi comunque applicabile alle stesse l'art. 97 Cost., del quale l'art. 18 D.L. n. 112/2008 costituisce attuazione, vincolando il legislatore regionale ai sensi dell'art. 117 Cost.
Sul tema delle società partecipate, le Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 7759/2017), sul piano del riparto di giurisdizione tra giudice ordinario, contabile ed amministrativo hanno precisato che la partecipazione pubblica non muta il carattere privato della società, la quale rimane assoggettata al regime giuridico privatistico, salvo che vi siano specifiche disposizioni contrarie o “ragioni ostative di sistema” che attribuiscano valore alla partecipazione pubblica del capitale ed al soggetto che possiede le azioni dell'ente.
I giudici di legittimità richiamano, inoltre, la nuova normativa nazionale intervenuta sul punto, la quale, all'art. 1, co. 3, D.Lgs. n. 175/2016, dispone che: “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto si applicano alle società partecipate le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”.
Sui rapporti di lavoro delle società partecipate, l'art. 19 del D. Lgs. 175/2016 prevede, al comma primo, che si applichino le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e dai contratti collettivi; mentre, al comma secondo, si impone alle società partecipate di stabilire “criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'art. 35, co. 3, D. Lgs. n. 165/2001”, sanzionando con la nullità tutti i contratti di lavoro stipulati in violazione della suddetta procedura.
Nel quadro legislativo e giurisprudenziale delineato, la sentenza in esame ritiene che: a) una volta affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condizioni la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio secondo cui anche per i soggetti esclusi dall'ambito di applicazione dell'art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità. b) l'art. 32 della L. n. 183/2010, oggi abrogata dal D. Lgs. n. 81/2015, non può essere invocato qualora, come nella fattispecie, si discuta di un rapporto affetto da nullità non convertibile, che produce unicamente gli effetti di cui all'art. 2126 c.c. Osservazioni
La prima questione affrontata dalla Corte risolve, almeno per il momento, una questione molto delicata. Fino al Testo Unico del D.Lgs. n. 175/2016, con l'unica eccezione delle società in house degli Abruzzi (l. r. 5 agosto 2004, n. 23) in base alle leggi del 2008 e del 2009 (n. 133/2008 e n. 102/2009), erano stati posti limiti alle assunzioni delle controllate pubbliche, ma senza sanzioni espresse.
Secondo un primo orientamento, quindi, poteva sostenersi che fossero state poste solo norme “di comportamento” con la conseguenza di contratti irregolari, ma tuttavia validi. In questo contesto, l'art. 19 del Testo Unico n. 175/2016 (che precisa che i contratti di lavoro stipulati in assenza di provvedimenti o delle procedure di cui al comma due, sono nulli) avrebbe portata innovativa, con la conseguenza che, a partire dall'entrata in vigore della nuova legge, le assunzioni in violazione non sarebbero più valide, ma affette da nullità. Il ragionamento seguito dalla Corte è, però, diverso.
In primo luogo, si afferma che l'art. 18 del D.L. n. 112/2008 ha carattere imperativo.
La disposizione, in sostanza, sancirebbe, una nullità virtuale che discende dalla mancanza di determinate condizioni oggettive (le procedure di selezione) che vietano la stipulazione del contratto. In questo contesto, il comma quarto, dell'art. 19 D.Lgs. 175/2016, non ha portata innovativa, ma rende “solo esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuale”. Affermazione che, pur nella consapevolezza di opinioni diverse, appare nella sostanza condivisibile.
La seconda questione attiene alla possibile applicazione dell'art. 32 L. n. 183/2010, oggi abrogato dal D.Lgs. n. 81/2015, al caso di specie. L'esclusione dell'applicazione della norma appare condivisibile, considerato il consolidato orientamento della Suprema Corte, “che nell'ipotesi di ritenuta illegittimità di un unico contratto” non può “neppure trovare applicazione il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5076/2016”, perché l'agevolazione probatoria è stata ritenuta necessaria al solo fine di adeguare la norma interna alla direttiva eurounitaria, nella parte in cui impone l'adozione di misure idonee a sanzionare l'illegittima reiterazione del contratto.
Invece, ove venga in rilievo un unico rapporto, non vi è ragione alcuna che possa portare a disattendere la regola in forza della quale il danno deve essere allegato e provato dal soggetto che assume di averlo subito. Sulla disciplina, meno recente, dei rapporti di lavoro nelle società a partecipazione pubblica si vedano, tra gli altri:
Sulla disciplina, meno recente, delle società partecipate, si vedano, tra gli altri:
Sulla disciplina, più recente, sui rapporti di lavoro nelle società pubbliche si vedano, tra gli altri:
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