Immissioni non tollerabili nella convivenza all'interno dell'edificio urbano e incompetenza cautelare del giudice di pace

12 Giugno 2018

In materia di controversie relative alle immissioni moleste nella realtà condominiale - molto frequenti alla luce della convivenza “forzata” all'interno dell'edificio urbano - attribuite alla competenza per materia del Giudice di Pace, in forza del disposto dell'art. 7, comma 3, n. 3), c.p.c., vertendosi in materia di diritti assoluti - i quali notoriamente costituiscono l'àmbito in cui la tutela innominata opera più incisivamente - e non essendo utilizzabile nelle ipotesi sopra accennate alcuna delle tutele cautelari tipiche, appare corretto esperire, proprio per il suo carattere residuale, l'azione ex art. 700 c.p.c...
Il quadro normativo

Il disposto dell'art. 7, comma 3, c.p.c., prevede che il Giudice di Pace: «è competente, qualunque ne sia il valore: … 3) per le cause relative a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità».

In primo luogo (in senso estensivo), viene comunemente ricompresa, in tale competenza per materia, sia la domanda rivolta all'inibitoria delle immissioni, sia quella di risarcimento del danno subíto dall'immobile in conseguenza di uno degli indicati accadimenti; in altri termini, la competenza funzionale del magistrato onorario va ravvisata sia che si richieda la cessazione totale delle lamentate immissioni, sia che si solleciti l'adozione di specifici accorgimenti tecnici volti a contenere le propagazioni, sia che si invochi il risarcimento dei danni subiti (senza limiti di valore) per equivalente pecuniario o in forma specifica, sia, infine, che si invochi l'accertamento negativo o positivo di una servitù avente ad oggetto l'attività di immissione (domanda di negatoria e confessoria servitutis).

In secondo luogo (in senso restrittivo), deve trattarsi di immobili adibiti a civile abitazione, nel senso che ne restano escluse le utilizzazioni di immobili adibiti ad uso agricolo (art. 2135 c.c.), commerciale e industriale (art. 2195 c.c.), nonché le aziende; la predetta destinazione abitativa deve, però, riguardare sia l'immobile da cui le immissioni ritenute eccedenti la normale tollerabilità provengono, sia l'immobile in cui si verificano: In altri termini, la nuova competenza del Giudice di Pace attiene al solo caso in cui entrambi i fondi, immittente e immesso, siano adibiti a civile abitazione, e non quando l'immissione provenga da un fondo diverso.

Le fattispecie più frequenti nella realtà condominiale

In quest'ottica, passando in rassegna alcune fattispecie concrete attinenti alla materia condominiale, il Giudice di Pace avrà, in generale, competenza nei rapporti tra condomini, quando uno di essi, nel godimento della cosa propria o anche della cosa comune, dia luogo ad immissioni moleste e dannose negli immobili di proprietà di un altro condomino, o del condominio, sempre che trattasi di appartamenti con concreta destinazione abitativa.

Cosí, ad esempio, rientra nella cognizione esclusiva del predetto magistrato onorario la controversia avente ad oggetto: la domanda di alcuni condomini tesa a far cessare le intollerabili immissioni prodotte da suoni di pianoforte, di batteria (Trib. Milano 28 maggio 1990) e/o attività canora da parte di un condomino (App. Milano 12 dicembre 1995); la domanda tesa a ordinare al vicino di non superare un determinato limite di normale tollerabilità nelle emissioni rumorose provenienti dal funzionamento dell'impianto di sollevamento dell'acqua (autoclave), sita nell'appartamento sovrastante e installata al fine di portare l'acqua medesima ai piani alti; la domanda tesa alla condanna di un inquilino allo spostamento dell'impianto di aria condizionata provocante immissioni di rumori e calore all'esterno nell'appartamento sovrastante, costringendo il relativo proprietario a non frequentare il terrazzo e a dormire con le finestre chiuse; la domanda diretta a porre fine all'immissione di odori spiacevoli provocati dalla detenzione di animali nel garage condominiale; la richiesta di cessazione del continuo rumore proveniente dall'appartamento attiguo, consistente nel calpestio del solaio sovrastante, nell'abbaiare del cane (Trib Napoli 29 maggio 1998), o addirittura nel giocoso strillare dei figli alquanto vivaci del dirimpettaio.

Continuando nell'esemplificazione concreta, il Giudice di Pace deve, invece, spogliarsi della causa avente ad oggetto: l'eliminazione dal muro perimetrale di una canna fumaria, destinata a smaltire le esalazioni di fumo e gli odori prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale, ma posta a breve distanza dalle finestre di alcuni condomini (Trib. Nocera Inferiore 17 luglio 2000); la cessazione delle immissioni rumorose provenienti da un laboratorio di falegnameria, o dal funzionamento delle celle frigorifere site in un negozio di macelleria facente parte del fabbricato e a danno degli occupanti dell'appartamento sovrastante; la rimozione delle attrezzature elettriche di un'officina di lavorazione di profilati fonte di intollerabili scuotimenti e di esalazioni nocive; l'interruzione delle insalubri immissioni di polvere provenienti da un vicino terreno di esclusiva proprietà di altro condomino dove si svolge un'attività di discarica; l'attenuazione delle vibrazioni, provocate dalla musica irradiata ad alto livello da una discoteca e dai rumori assordanti generati dagli utenti della stessa, come schiamazzi e calpestio del pavimento, vibrazioni che si trasmettono alle unità abitative sovrastanti attraverso il divisorio orizzontale che separa i locali in oggetto e attraverso le strutture verticali dell'edificio; l'inibizione al conduttore di un appartamento dello stabile di svolgere nello stesso l'attività di studio medico, atteso l'uso frequente di macchinari che emanano radiazioni nocive.

Resta inteso che non rientrano nella competenza per materia del Giudice di Pace, ai sensi dell'art. 7, ultimo comma, n. 3), c.p.c., le controversie relative a rapporti fra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in tema di immissioni, qualora, a sostegno della domanda, non venga dedotta l'intollerabilità delle immissioni ai sensi dell'art. 844 c.c., bensì la violazione di una specifica prescrizione contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, costitutiva di servitù reciproche che, imponendo limitazioni al godimento degli appartamenti di proprietà esclusiva, vieti in essi l'esercizio di determinate attività lavorative (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2011, n. 1064).

La tutela del diritto alla salute

A questo punto, occorre considerare pur sempre che il Giudice di Pace non potrebbe emettere, nella materia de qua, provvedimenti cautelari.

In effetti, nella maggior parte degli esempi pratici sopra riportati, il diritto di cui si invoca la tutela è il diritto alla salute, inteso anche come l'equilibrio psico-fisico e sociale della persona contro la minaccia della nocività di immissioni provenienti da terzi; tale primario fondamentale ed incomprimibile diritto trova la sua previsione normativa nell'art. 32 Cost., e non tanto nell'art. 844 c.c. che, invece, regola il conflitto delle esigenze della produzione con quelle della proprietà.

La giurisprudenza è ormai pacificamente orientata nel ritenere che il diritto alla salute sia tutelabile di per sé ed erga omnes, contro la nocività da qualsiasi cosa e da chiunque proveniente, e non in subordine di una norma prevista per la tutela della proprietà; sia i giudici di Piazza Cavour con numerose pronunce (v., tra le tante, l'importante Cass. civ., sez. un., 6 ottobre 1979, n. 5172), sia quelli del Palazzo della Consulta (Corte Cost., 14 luglio 1986, n. 184), hanno affermato che tale diritto attiene all'uomo non solo considerato nella sua separatezza, ma soprattutto in quanto partecipe delle varie comunità - familiare, abitativa, di lavoro, di studio, ed altre - e che l'art. 32 cit. fa rientrare la protezione di tale diritto tra quelle garantistiche, che sono proprie dei diritti fondamentali e inviolabili della persona umana.

Inoltre, va osservato che spesso l'irreparabilità del pregiudizio lamentato in concreto sia implicita nel carattere stesso delle azioni inibitorie delle quali si chiede la cautela in via d'urgenza (in giurisprudenza, v. Pret. Torino 27 dicembre 1990); l'accoglimento di siffatte domande a notevole distanza dalla loro proposizione si ridurrebbe, infatti, in un'inutile espressione per il tempo intermedio, né a ciò potrebbe supplire la riparazione del danno patrimoniale; le denunciate immissioni, riconosciute ingiustamente lesive della salute degli istanti, possono produrre, nelle more del giudizio, un danno in larga misura non patrimoniale, definibile in modo sintetico come un deterioramento della qualità della vita di relazione ed un pregiudizio alle condizioni di salute fisica e psichica e come tale non risarcibile.

Vertendosi, peraltro, in materia di diritti assoluti - i quali notoriamente costituiscono l'àmbito in cui la tutela innominata opera più incisivamente - e non essendo utilizzabile nelle ipotesi sopra accennate alcuna delle tutele cautelari tipiche, appare corretto esperire, proprio per il suo carattere residuale, l'azione ex art. 700 c.p.c., al fine cioè di ottenere un provvedimento cautelare, strumentale rispetto alla statuizione di merito ed idoneo ad assicurarne provvisoriamente gli effetti, facendo però attenzione che il Giudice di Pace, ai sensi degli artt. 669-ter, comma 2, e 669-quater, comma 3, c.p.c., non ha il potere di concedere provvedimenti cautelari, che devono essere richiesti al Tribunale, confermando così la possibile dicotomia tra giudice della cautela e giudice del merito.

Tale situazione viene plasticamente delineata in una pronuncia di merito (Trib. Napoli 19 novembre 2010), secondo la quale, pendendo, in costanza di un procedimento ex art. 700 c.p.c. innanzi al Tribunale, causa di merito tra le stesse parti innanzi al Giudice di Pace, deve affermarsi la competenza del primo a conoscere del giudizio cautelare, non essendo il secondo - già investito della causa di merito - fornito di competenza a riguardo (art. 669-quater, comma 2, c.p.c.), aggiungendo che caratteri della tutela cautelare sono la sussidiarietà, la strumentalità, l'atipicità e l'anticipatorietà della chiesta misura, tutti risultanti nel contesto della norma ex art. 700 c.p.c. che:

a) ammette la possibilità di tale tutela quando non risultino utilizzabili altre misure (sussidiarietà);

b) esige che i provvedimenti concretamente chiedibili ed ottenibili siano quelli tra i più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito (strumentalità);

c) configura il potere giudiziale di pronuncia di provvedimenti a contenuto legalmente non predeterminato, a condizione che l'esigenza alla quale soccorrono non sia conseguibile con altra misura cautelare nominata (atipicità);

d) subordina l'emanazione dei provvedimenti de quibus alla loro idoneità ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, costituendo quest'ultima il limite per il contenuto del provvedimento d'urgenza sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo (anticipatorietà).

Peraltro, anche i giudici della Consulta (Corte Cost. 14 marzo 1997, n. 63) hanno ritenuto manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 97, comma 1, 101, 106, comma 2, e 107, comma 3, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 669-ter, comma 2, c.p.c. - nella parte in cui prescrive che «se competente per la causa di merito è il Giudice di Pace, la domanda si propone al Pretore» (attualmente al Tribunale), in quanto - posto che il Legislatore, nell'esercizio della propria discrezionalità, ha, con il nuovo procedimento cautelare uniforme, introdotto un modulo processuale unitario, in cui stabilisce una correlazione necessaria tra la norma denunciata e il successivo art. 669-quater dettato per la corrispondente ipotesi di competenza cautelare in corso di causa; ripartisce le competenze in modo da escludere sempre quella del Giudice di Pace; prevede, altresì, un complesso di poteri di attuazione-esecuzione delle misure cautelari (art. 669-duodecies c.p.c.) ed un sistema di ipotesi di reclamabilità (art. 669-terdeciesc.p.c.), non conciliabili con l'invocata estensione di competenza - con tale esclusione il Legislatore stesso non ha travalicato il limite di ragionevolezza imposto al suo potere di conformare il processo, tanto più in considerazione del fatto che il Giudice di Pace decide secondo equità il merito delle cause il cui valore non eccede lire due milioni ex art. 113, comma 2, c.p.c. (oggi euro millecento), attività, questa, difficilmente conciliabile con l'apprezzamento del fumus boni iuris.

Addirittura, a seguito della riforma del 2006, che ha attenuato il vincolo di strumentalità necessaria, rendendo facoltativo il giudizio di merito, si potrebbe verificare l'ipotesi di una causa, rientrante nella competenza per materia del Giudice di Pace, ma che viene conclusa a livello cautelare davanti al Tribunale, vanificando così l'intento deflattivo insito nell'istituzione del magistrato onorario.

D'altronde, al di fuori della competenza funzionale del Giudice di Pace, circoscritta agli immobili adibiti a civile abitazione, difficilmente potrebbe configurarsi una competenza del giudice onorario per il fatto che la relativa causa di merito rientri nella competenza di tale giudice ratione valoris; infatti, spesso la predetta azione di merito consiste in una condanna ad un facere, e cioè all'eliminazione delle immissioni moleste, a tutela non solo del godimento iure proprietatis dell'immobile e, quindi, di una pretesa di diritto reale, ma anche a tutela del diritto alla salute dell'istante, quale situazione che, in ragione della destinazione abitativa, subirebbe direttamente l'incidenza delle immissioni medesime; e se per quanto attiene la prima, la competenza per valore si determina ai sensi dell'art. 15 c.p.c., per quanto riguarda la seconda, la causa di merito risulta di valore indeterminabile, non potendo il bene salute stimarsi preventivamente, specie se proiettato nel futuro, ossia riguardo alla possibile aspettativa di vita di colui che invoca la misura cautelare.

La manutenzione del possesso

Un'ultima segnalazione va fatta in ordine al dubbio che può sorgere sulla competenza relativa alle azioni di manutenzione del possesso, che si assume turbato da immissioni, consistenti in “fumo, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni”, provenienti dal vicino, stante che, da un lato, l'azione ex art. 1170 c.c. è concessa appunto al possessore di un immobile per far cessare le turbative arrecate al suo possesso e, dall'altro lato, l'art. 7, ultimo comma, n. 3), c.p.c. fa rientrare, invece, la controversia inerente tali immissioni nella competenza esclusiva del Giudice di Pace.

Ove, infatti, si ritenga che la tale ultima competenza si estenda anche alle cause possessorie, ne deriverebbe un'implicita limitazione della corrispondente cognizione esclusiva del Tribunale, e soprattutto priverebbe l'attore (sia esso il condomino o il condominio) della possibilità di una tutela immediata, attraverso l'interdetto nella fase sommaria, essendo escluso che possano ritenersi applicabili davanti al nuovo magistrato onorario le norme relative ai ricorsi possessori.

In proposito, si è osservato (Bucci - Crescenzi - Malpica) che la competenza esclusiva del Giudice di Pace non possa estendersi anche alle controversie relative alla manutenzione del possesso e che, quindi, il Tribunale sia competente per quanto attiene alle domande in materia di immissioni provenienti da immobili adibiti a civile abitazione, purché però sia fatta valere esplicitamente una situazione di possesso e ricorrano i requisiti di cui all'art. 1170 c.c., e ciò anche sulla base della chiara formulazione dell'art. 7 c.p.c. citato che contempla espressamente le controversie tra “proprietari o detentori”, senza alcuna menzione alle situazioni di possesso; altrimenti, esclusa sempre la possibilità di ottenere un interdetto dal Giudice di Pace - o un provvedimento ex art. 700 c.p.c. - dovrebbe ipotizzarsi che una tutela immediata della posizione di possesso possa essere ottenuta mediante ricorso al tribunale in sede di procedimento cautelare, sia prima che dopo l'instaurazione della lite, secondo le regole generali di cui agli artt. 669-bis ss. c.p.c.

In conclusione

Pertanto, qualora non sia ancora instaurata la causa di merito e se competente per quest'ultima è il Giudice di Pace, la domanda cautelare andrà proposta davanti al Tribunale, mentre, qualora la causa di merito penda già davanti a tale magistrato onorario, la medesima domanda in corso di causa dovrà essere presentata al Tribunale: in buona sostanza, si è ribadita la preclusione, in capo al predetto magistrato onorario competente per il merito, a conoscere delle relative istanze cautelari, nella prospettiva di garantire un più diffuso accesso alla predetta tutela e di rendere il Giudice di Pace il vero presidio di giustizia nel territorio, essendo quest'ultimo, sebbene giudice non professionale, destinato ormai ad assumere il ruolo in passato assolto dal Pretore.

Guida all'approfondimento

Celeste - Iacoboni, Il giudice di pace: le cause civili e i processi penali, Milano, 2007;

Vidiri, La legge istitutiva del giudice di pace e le controversie condominiali, in Giust. civ., 1999, II, 139;

Violante, Il giudice di pace e la tutela cautelare, in Giust. civ., 1996, II, 89;

Terzago, La competenza del giudice di pace in materia condominiale, in Arch. loc. e cond., 1996, 843;

Bucci - Crescenzi - Malpica, Manuale pratico della riforma del processo civile, Padova, 1995;

Manera, Cani “condominiali” e provvedimenti d'urgenza, in Giur. it., 1991, I, 2, 500.

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