Il trasferimento di ramo d'azienda: dalla fattispecie astratta a quella concretata attraverso le valutazioni della giurisprudenza

Marta Filippi
14 Giugno 2018

La disciplina del ramo d'azienda costituisce un argomento di vivo dibattito scientifico poiché le sue applicazioni pratiche scontano di una costante incertezza nella concretizzazione dell'operazione imprenditoriale. Ciò ha dato luogo a numerose pronunce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, alimentati soprattutto dalla crescente diffusione dei processi di esternalizzazione. Si analizzeranno, pertanto, proprio le criticità che intervengono nel passaggio dall'analisi della normativa alla realizzazione del trasferimento d'azienda, attraverso l'esame della casistica giurisprudenza più recente, premettendo una breve ricostruzione normativa della fattispecie giuridica.
L'evoluzione normativa dell'art. 2112 c.c e la normativa comunitaria

L'identificazione di un legittimo trasferimento d'azienda è elemento essenziale in quanto l'art. 2112 c.c ricollega a tale operazione negoziale il diritto dei lavoratori trasferiti a mantenere il proprio rapporto lavorativo presso il cessionario, non costituendo quest'ultimo valido motivo di licenziamento.

Come noto il legislatore italiano ai fini dell'attuazione della Direttiva 98/50/CE, e successivamente della Direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, ha più volte novellato l'art. 2112 c.c quinto comma.

In un primo momento già con il D.Lgs. 2 febbraio 2001, n.18, di esercizio della delega attribuita al Governo con la L. 526/9, ai fini dell'attuazione della direttiva 98/50/CE, il legislatore italiano era intervenuto in misura significativa sull'originario testo dell'art. 2112 c.c. nonché su quello dell'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428, introducendo il co. 5 dell'art. 2112 c.c., nel quale definiva, per la prima volta, il concetto di trasferimento d'azienda ed introduceva la nozione legislativa di ramo d'azienda.

Più nel dettaglio, dopo l'enunciazione del trasferimento d'azienda la norma perseguiva specificando che le medesime disposizioni trovano altresì applicazione al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come “articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità”.

Successivamente,ovvero appena qualche mese più tardi, in virtù del recepimento della Direttiva 2001/23/CE, il D.Lgs. n. 273/2003, quale espressione della delega conferita al governo dalla Legge n. 30/2003, ha nuovamente innovato la nozione di ramo d'azienda definendola quale articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.

Ebbene, gli elementi che hanno suscitato maggiore incertezza interpretativa risiedono da un lato nel significato di articolazione funzionalmente autonoma e dall'altro, a seguito della novella legislativa, in quello della preesistenza del ramo d'azienda rispetto al momento del trasferimento, posto che la modifica legislativa da ultima intervenuta, ha, appunto, eliminato tale specifica previsione.

In ultimo si noti come l'intervento legislativo ha inoltre fatto venir meno la specifica per cui il ramo d'azienda a seguito del trasferimento debba mantenere la propria identità.

L'autonomia funzionale dell'articolazione alla luce della giurisprudenza di legittimità ed europea

Relativamente al concetto di autonomia funzionale in dottrina si sono sostenute due diverse interpretazioni.

La prima, elaborata da una parte delle dottrina e della giurisprudenza di legittimità, interpreta il concetto di articolazione funzionalmente autonoma alla stregua di una piccola azienda e come tale lascia intendere la necessità di una completa autonomia del complesso oggetto di trasferimento, limitandone il campo di applicazione.

A tale tesi si contrappone quella che legge nella formula usata dal legislatore la necessaria presenza dei soli elementi strettamente essenziali del ciclo produttivo, rendendo sicuramente più elastico il concetto di autonomia funzionale ed ampliandone così anche i margine applicativi.

In tal senso a rilevare non è più tanto la capacità di realizzare un risultato produttivo, quanto la coesione funzionale e organizzativa dei beni e dei rapporti giuridici. Del resto se l'autonomia dell'entità ceduta dovrà comunque restare intatta e valutabile occorre considerare che la destinazione finale del ramo di azienda è rappresentata, pur sempre, dall'organizzazione del cessionario all'interno della quale dovrà essere, pertanto, conglobata e coordinata.

Da tale interpretazione la giurisprudenza e la dottrina sono giunte ad ammettere la legittimità, in termini di trasferimento di parte d'azienda, anche in presenza di passaggio di soli rapporti lavorativi, connessi con mezzi di modico valore, purché caratterizzati da un elevato valore professionale della prestazione lavorativa.

Dette conclusione trovano inoltre la propria base logico-giuridica in alcune pronunce della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea la quale, in specifiche situazioni, ha ritenuto di definire l'articolazione funzionalmente autonoma in funzione dei poteri riconosciuti ai responsabili del gruppo di lavoro e alle modalità del loro esercizio.
Ovviamente tale definizione presenta il limite di essere valevole solo per i contesti produttivi nei quali il lavoro umano rappresenta l'elemento prevalente così da assumere il ruolo di fattore principale per la valutazione dell'esistenza dell'autonomia funzionale.

In altre ipotesi di esternalizzazioni la giurisprudenza europea ha invece fatto leva sul necessario mantenimento a seguito del trasferimento di un nesso funzionale tra i differenti fattori di produzione così da permettere al cessionario di utilizzarli per proseguire un'attività economica identica o analoga a quella precedente, (CGUE sentenza del 27 aprile 2017, nelle cause riunite C-680/2015 e C-681/2015). Tale indirizzo interpretativo è stato poi mitigato da altre pronunce in cui il giudice europeo ha ammesso la possibilità di integrazioni organizzative da parte del cessionario. (CGUE, sentenza del 9 settembre 2015, nella causa C-160/2014).

Alla luce di tali indicazioni parte della dottrina italiana e della giurisprudenza di legittimità ha pertanto concluso ritenendo che il ramo d'azienda sia effettivamente funzionalmente autonomo laddove vi sia la presenza di fattori, quali rapporti lavorativi, beni e strumenti meccanici e rapporti giuridici, che coordinati tra loro esprimano una capacità produttiva con riferimento ad una determinata tipologia di beni e servizi.

In alcuni casi ammettendo anche una potenzialità di tale capacità produttiva.

Si verifica pertanto un legittimo trasferimento di ramo d'azienda, con conseguente tutela dei lavoratori ex art. 2112 c.c, quando al suo interno sono presenti gli elementi essenziali del ciclo produttivo e tali passano al cessionario a seguito del negozio traslativo.

Ovviamente, sposare tale seconda tesi interpretativa non significa ammettere che qualunque aggregazione ad hoc di beni e rapporti lavorativi, anche se tra loro disomogenei, costituisca un valido trasferimento, ipotesi ben chiarita dalla giurisprudenza maggioritaria, la quale spesso a dichiarato illegittimi trasferimenti di rami d'azienda privi della necessaria autonomia funzionale, in quanto costruiti ad hoc e comporti appunto da elementi produttivi eterogenei e non connessi tra loro ad un fine produttivo (ex pluris, Cass. sez. lav., 19 gennaio 2017 n. 1316).

La preesistenza del ramo d'azienda nella direttiva comunitaria e nella fattispecie interna

Tuttavia l'elemento dell'autonomia funzionale rappresenta solamente uno dei requisiti identificatori del ramo d'azienda rilevando anche il momento della sua identificazione come tale.

Per quanto attiene al requisito della preesistenza del ramo d'azienda rispetto al momento del trasferimento, come noto, tale elemento, così come il mantenimento della propria identità, non è più contenuto nel nuovo co. 5 dell'art. 2112 cc.

Ebbene, tale modifica legislativa è stata all'origine di un significativo dibattito ancora vivo in dottrina ed in giurisprudenza, posto che parte di quest'ultima continua a considerare la necessaria preesistenza del ramo d'azienda elemento costitutivo imprescindibile della fattispecie in commento.

Analizzando quanto espresso nella direttiva CE 2001/23, l'art. 1 della stessa afferma che è considerato come trasferimento di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come un insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria“.

Sulla base di quanto espresso nella disposizione legislativa comunitaria l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità interpreta la fattispecie normativa nel senso della necessaria preesistenza di un'entità economica organizzata, anche dopo la riforma Biagi, con la conseguenza che il ramo di azienda non può essere identificato come tale al momento del negozio traslativo, posto che non potrebbe essere conservato nel trasferito quel che non c'è precedentemente. Inoltre non sarebbe consentito all'autonomia privata del cedente e del cessionario disporre degli effetti inderogabili dell'art. 2112 c.c.

In tale ottica la necessaria preesistenza del ramo e la sua autonomia funzionale si integrano reciprocamente, nel senso che il ramo ceduto deve avere la capacità di svolgere autonomamente dal cedente il servizio o la funzione cui esso risultava finalizzato anteriormente alla cessione.

Al fine di superare le incertezze sorte all'interno della giurisprudenza interna, è stata rimessa la questione alla Corte di Lussemburgo.

La Corte di Giustizia Europea chiamata a pronunciarsi circa la necessaria preesistenza dell'entità oggetto del trasferimento, pur ribadendo tale costituisce condizione per la cessione asi sensi della direttiva CE, ha escluso la contrarietà dell'attuale previsione contenuta nel quinto comma dell'art. 2112 c.c ai sensi del quale il ramo d'azienda è identificato come tale al momento del suo trasferimento da parte delle parti contrattuali.
Se infatti da un lato la Corte conferma che la preesistenza del ramo d'azienda è condizione necessaria per l'applicazione della direttiva, dall'altro afferma, tuttavia, che scopo della normativa comunitaria è quello della tutela del lavoratore nel passaggio dal cedente al cessionario, pertanto non osta con la normativa comunitaria la previsione del mantenimento dei diritti del lavoratore anche laddove la parte d'azienda non costituisca articolazione funzionalmente autonoma preesistente. (CGE, Sentenza del 6 marzo 2014, C-458/12)

Dalla sentenza in esame sembra discendere però una sorte di automatismo tra esternalizzazione e tutela dei diritti del lavoratore non sempre reale. Nei moderni processi aziendali, infatti, non sempre dal primo discende automaticamente il secondo.

Spesso infatti le cessioni di parte d'azienda vengo disposte come strumenti atti incontrollate espulsioni di lavoratori senza il necessario rispetto delle procedure previste nei casi di licenziamenti collettivi.

Inoltre il non necessario assenso del lavoratore porta spesso tali a richiedere l'applicazione dell'art. 1406 c.c non essendo sempre conveniente la prosecuzione del rapporto lavorativo con il datore di lavoro cessionario.

Dalla fattispecie astratta alla fattispecie concreta: il particolare caso del ramo d'azienda dematerializzato

Come anticipato l'identificazione di un lecito trasferimento d'azienda, anche a seguito della riforma dell'art. 2112 c.c ad opera del D.Lgs n. 273/2003, è stato a più riprese elemento centrale del dibattito giurisprudenziale il quale spesso giunge a posizioni opposte. Eclatante a tal proposito il caso delle sentenze n. 3235 del 26 settembre 2013 e n. 3653 del 18 ottobre 2013 emesse dal Tribunale di Milano in materia di trasferimento del ramo d'azienda che sposando approcci difformi giungono a definire il medesimo trasferimento legittimo in un caso ed illegittimo nell'altro.

Se nel primo provvedimento, infatti, il giudice sposa l'orientamento che nega rilevanza alla preesistenza dell'autonomia funzionale, il secondo la ritiene imprescindibile ai fini della configurazione della fattispecie in esame.

Inoltre, come già accennato sposando la tesi che interpreta l'articolazione autonoma nel senso più ampio di insieme organizzato di elementi essenziali del ciclo produttivo, recentemente la Corte di Cassazione, in materia di trasferimento di ramo d'azienda smaterializzato o leggero ha ribadito la legittimità dello stesso quando ad essere ceduto è il know how dei lavoratori.

In tale ipotesi la Corte ha nuovamente affermato la necessaria preesistenza di una entità produttiva autonoma e funzionate sostenendo che configura trasferimento d'azienda esclusivamente la fattispecie in cui vi sia il passaggio di un gruppo di dipendenti dotati di particolari competenze stabilmente messe in relazione e organizzati fra di loro, tali da rendere le loro attività coordinate ed idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili.

Gli Ermellini affermano pertanto la configurabilità di un ramo così detto «smaterializzato» o «leggero», purché composto in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati in modo idoneo, allo svolgimento di un'attività economica.

L'ammissione di tale possibilità conferma la volontà giurisprudenziale di superare l'interpretazione restrittiva di ramo d'azienda a favore di una più ampia esegesi della fattispecie astratta così da adattarla alle reali esigenze dei moderni processi di produzione e alla necessità aziendali di esteranalizzazione e snellimento dell'attività economica.

In conclusione

A seguito della disamina operata la disposizione legislativa di cui all'art. 2112 c.c presenta una fattispecie astratta normativamente descritta che tuttavia nelle sue attuazioni pratiche solleva numerose questioni problematiche.

Il giudice, infatti, posto davanti alla valutazione della fattispecie concreta facendo applicazione dell'enunciazione legislativa deve valutare nel concreto l'esistenza o meno dei requisiti dell'autonomia funzionale e dell'eventuale preesistenza della stessa, concetto ancora aggi oggetto di molteplici interpretazioni.

Il passaggio dalla fattispecie astratta a quella concreta infatti si complica nei moderni processi di esternalizzazione in cui la produzione cambia così come la natura dei beni e servizi.

La delicatezza di tali processi deve in ogni modo salvaguardare la tutela dei lavoratori e l'esame della casistica giurisprudenziali porta spesso ad essere critici con la norma in esame posto che nella maggior parte dei casi i lavoratori invocano l'applicazione dell'art. 1406 c.c., in materia di consenso alla cessione del contratto, in luogo dell'art. 2112 c.c. ritenendolo più protettivo dei propri interessi.

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