Osservatorio sulla Cassazione – Maggio 2018
15 Giugno 2018
Reati fiscali: limiti alla confisca per equivalente nei confronti dell'amministratore Cass. Pen. – Sez. III – 30 maggio 2018, n. 24042, sent. Nei procedimenti aventi ad oggetto i reati tributari, è possibile procedere alla confisca per equivalente a carico dell'imputato persona fisica, solo laddove sia impossibile individuare il profitto diretto del reato in capo all'ente, reale beneficiario del risparmio di imposta che costituisce il profitto del reato, potendo essere oggetto di confisca diretta anche il denaro liquido o di altro bene fungibile nella disponibilità della persona giuridica.
Il trust con vincolo di destinazione su quote societarie è soggetto a imposta di donazione Cass. Civ. – Sez. Trib. – 30 maggio 2018, n. 13626, sent. In caso di trust costituito da una società su alcune quote di partecipazione in una s.r.l. al fine di alienare le quote e provvedere proporzionalmente a pagare l'esposizione debitoria della disponente, se i contraenti hanno voluto il reale trasferimento delle quote e dei relativi diritti al trustee, sia pure ai fini della liquidazione, e quindi hanno voluto il reale arricchimento del beneficiario, è corretta l'applicazione dell'imposta nella misura dell'8% prevista dall'art. 2, comma 49, lett. c) D.L. n. 262/2006, che sottopone all'imposta di donazione la costituzione di vincoli di destinazione con beni devoluti a soggetti diversi da quelli previsti nelle lettere a), a bis) e b).
Azione revocatoria su beni in trust: per la consapevolezza del pregiudizio si guarda al beneficiario Cass. Civ. – Sez. III – 29 maggio 2018, n. 13388, sent. Nell'azione revocatoria avente ad oggetto bene in trust lo stato soggettivo del terzo rilevante nel caso di atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso è quello del beneficiario e non quello del trustee. Il beneficiario, inoltre, è litisconsorte necessario, nella medesima azione revocatoria, esclusivamente nel caso dell'atto di disposizione patrimoniale a titolo oneroso.
Dichiarazione fraudolenta con costi e fatture fittizi: c'è concorso tra reati fiscali Cass. Pen. – Sez. V – 25 maggio 2018, n. 23616, sent. In tema di reati fiscali, la fattispecie incriminatrice della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture fittizie, di cui all'art. 2 D.Lgs. n. 74/2000, si esaurisce nella condotta di chi, al fine di evadere le imposte sui redditi e sull'Iva, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica nella dichiarazione annuale elementi passivi fittizi, l'ipotesi prevista dall'art. 3, ferma restando la finalità di evasione fiscale, incrimina chi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento, indica nella dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi, in modo da sottrarre elementi attivi all'imposizione e da evadere le imposte in misure superiori a determinate soglie indicate dalla norma. I due reati possono concorrere, laddove nella stessa dichiarazione annuale siano indicate differenti tipologie di elementi passivi fittizi, sulla base rispettivamente dell'annotazione di fatture per operazioni inesistenti e dell'impiego di altri documenti diversamente rappresentativi di una falsa realtà contabile.
La società estinta perde la capacità processuale e la legittimazione a impugnare una sentenza Cass. Civ. – Sez. Trib. – 25 maggio 2018, n. 13136, sent. La cancellazione di una società dal registro delle imprese determina l'immediata estinzione dell'ente e, quindi, la cessazione della sua capacità processuale, il cui difetto originario può essere rilevato d'ufficio anche in sede di legittimità e comporta, in questo caso, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per cassazione. L'accertamento del difetto di legitimatio ad causam (ricorso proposto in primo grado da società già cancellata ed estinta), eliminando in radice ogni possibilità di prosecuzione dell'azione, comporta l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
Soglie di fallibilità: contano i tre esercizi annuali, non rileva la chiusura infra-annuale Cass. Civ. – Sez. VI – 24 maggio 2018, n. 12963, sent. Il disposto dell'art. 1, comma 2, lett. a) e b), l.fall., predetermina soglie calibrate su una prospettiva temporale annua di valutazione che non possono essere vanificate da un scelta di abbreviazione dell'esercizio compiuta dall'imprenditore; i tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento da apprezzare ai fini della verifica dei presupposti di fallibilità devono pertanto intendersi come esercizi aventi ciascuno durata annuale, a meno che non sia trascorso un lasso di tempo inferiore dall'inizio dell'attività dell'impresa.
Limiti stringenti per l'esonero di responsabilità dell'intermediario nelle operazioni ad alto rischio Cass. Civ. – Sez. I – 24 maggio 2018, n. 12956, sent. In tema di operazioni ad alto rischio, l'intermediario è sempre tenuto a fornire adeguate informazioni, sia sulle operazioni in sé, sia quanto alla loro adeguatezza rispetto al profilo di rischio, ex artt. 1 e 21 D.Lgs. n. 58/1998, e artt. 28 e 29 Reg. Consob n. 11522/1998, anche quando il cliente gli affidi il solo incarico di eseguire degli ordini, e non anche quello di consulenza, in relazione alla scelta dei prodotti finanziari da acquistare, e di gestione del portafoglio dei titoli stessi. Ai fini della valutazione di adeguatezza di tali informazioni, nonché delle omissioni in esse ravvisabili, non rileva che il cliente abbia dichiarato, in sede di stipula del contratto quadro di investimento, di possedere un'esperienza "alta" con riferimento ai prodotti finanziari da acquistare ed un'elevata propensione al rischio, né che egli si sia eventualmente rifiutato di dare indicazioni sulla propria situazione patrimoniale.
Illeciti dell'amministratore e immedesimazione organica della società Cass. Civ. – Sez. Trib. – 23 maggio 2018, n. 12675, sent. In virtù del principio di immedesimazione organica, la società risponde civilmente degli illeciti commessi dall'organo amministrativo nell'esercizio delle sue funzioni, ancorché l'atto dannoso sia stato compiuto dall'organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell'assemblea, richiedendosi unicamente che l'atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell'attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa. Questa responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall'art. 2395 c.c.: con particolare riguardo alla materia tributaria, la commissione di un illecito da parte del legale rappresentante di un ente non interrompe, perciò solo, il rapporto organico e non esclude, di per sé, che del fatto del rappresentante possa rispondere l'ente medesimo.
Società estinta: condanna alle spese per l'ex rappresentante che propone ricorso per cassazione inammissibile Cass. Civ. – Sez. VI-3 – 22 maggio 2018, n. 12603, ord. Nell'ipotesi di proposizione di ricorso per cassazione da parte dell'ex rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese, la sua inammissibilità - derivante dalla non operatività di alcun mandato per la peculiarità del giudizio di legittimità e comunque per la necessità che quello sia conferito da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio - comporta che sia condannato alle spese in proprio il soggetto che, spendendo la giuridicamente impossibile qualità di legale rappresentante del soggetto non più esistente, ha conferito il mandato, ove l'avvocato si sia limitato ad autenticare la relativa sottoscrizione.
La responsabilità della banca che paga un assegno non trasferibile a non beneficiario Cass. Civ. – Sez. Unite – 21 maggio 2018, n. 12477, sent. Ai sensi dell'art. 43, comma 2, legge assegni (R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato - per errore nell'identificazione del legittimo portatore del titolo - dal pagamento di assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall'effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'art. 1176, comma 2, c.c.
Il collegio sindacale deve comunicare alla Consob tutte le irregolarità riscontrate Cass. Civ. – Sez. II – 17 maggio 2018, n. 12110, sent. La comunicazione che il collegio sindacale deve fare senza indugio alla Consob, ai sensi dell'art. 149, comma 3, T.U.F., riguarda tutte le irregolarità che tale collegio riscontri nell'esercizio della sua attività di vigilanza. La legge non demanda ai sindaci alcuna funzione di filtro preventivo sulla rilevanza delle irregolarità da loro riscontrate, al fine di selezionare quali debbano essere comunicate alla Consob e quali non debbano formare oggetto di tale comunicazione. La ratio di tale dovere generalizzato è quella di evitare che i sindaci debbano misurarsi con parametri di rilevanza/gravità delle irregolarità da segnalare alla Consob la cui concreta applicazione dipenderebbe da valutazioni inevitabilmente opinabili, così da risultare foriera di gravi incertezze operative e, in ultima analisi, da rischiare di pregiudicare proprio lo scopo della disposizione in esame, evidentemente volta a garantire alla Consob una completa e tempestiva informazione sull'andamento delle società sottoposte alla sua vigilanza.
Il trasferimento della sede all'estero non salva dal fallimento Cass. Civ. – Sez. I – 4 maggio 2018, n. 10793, ord. In tema di dichiarazione di fallimento, l'operatività dell'art. 10 l. fall., ai sensi del quale la società può essere dichiarata fallita entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, è circoscritta all'ipotesi in cui la cancellazione sia avvenuta a compimento del procedimento di liquidazione dell'ente, o per il verificarsi di altra situazione che implichi la cessazione dell'esercizio dell'impresa, e non può trovare applicazione analogica al caso di cancellazione per trasferimento all'estero della sede sociale, sia esso effettivo o fittizio.
Nullo il recesso del socio se viene restituito capitale e sovrapprezzo Cass. Civ. – Sez. III – 4 maggio 2018, n. 10583, ord. Il negozio di ricognizione di debito rilasciato dalla società di capitali a favore del socio, attraverso cui la società intende far conseguire al socio il diritto di recedere dalla società e di ottenere un importo del tutto corrispondente a quanto versato a titolo di conferimento in conto capitale e di sovrapprezzo al tempo della sottoscrizione della partecipazione sociale, è nullo per contrarietà alle norme imperative ai sensi dell'art. 1418 c.c.. Una siffatta ricognizione di debito, in quanto non corrispondente a una posta debitoria della società nei confronti del socio, intende neutralizzare il rischio imprenditoriale cui si sottopone incondizionatamente il socio con la sottoscrizione del capitale sociale ed è pertanto in contrasto con i principi che regolano il contratto sociale. |