Mutamento del rito: gli effetti della domanda decorrono in riferimento al modello astratto di atto introduttivo

Cesare Trapuzzano
15 Giugno 2018

Il giudice rimettente ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 426 c.p.c., nella parte in cui non prevede che, una volta proposta una causa nelle forme ordinarie, anziché in quelle speciali prescritte per i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c., e disposto – nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – il mutamento del rito da ordinario in speciale, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito seguito prima della conversione.
Massima

Non è manifestamente irragionevole la lettura dell'art. 426 c.p.c., secondo cui, all'esito del mutamento del rito, gli effetti sostanziali e processuali della domanda decorrono, in ragione della litispendenza che si sarebbe radicata ove l'atto introduttivo avesse avuto la forma prescritta in ordine al tipo di controversia instaurata. Con la conseguenza che, con specifico riguardo alle opposizioni a decreto ingiuntivo in materia locatizia, qualora l'atto di opposizione abbia assunto la forma della citazione, anziché del ricorso, ai fini della relativa ammissibilità, occorrerà fare riferimento, non già alla notifica dell'atto di citazione che ha introdotto l'opposizione, bensì al suo deposito avvenuto con l'iscrizione a ruolo della causa, senza che argomenti in senso contrario possano ricavarsi, né dall'art. 4, comma 5, del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, né dal principio della translatio iudicii.

Il caso

Il giudice rimettente ha sollevato l'incidente di costituzionalità nell'ambito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia ex art. 447-bis c.p.c., introdotto con citazione anziché con ricorso, essendo stato l'atto introduttivo notificato nel termine di 40 giorni dalla notifica del provvedimento monitorio, ma depositato in cancelleria per l'iscrizione a ruolo oltre tale termine di decadenza.

Sicché il nodo giuridico affrontato dalla sentenza in commento concerne il dettato dell'art. 426 c.p.c., come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui, qualora l'opposizione a decreto ingiuntivo - nelle cause cui si applica il rito del lavoro (nella specie, nelle cause di locazione) - sia proposta con atto avente la forma della citazione, anziché del ricorso, all'esito del mutamento del rito disposto dal giudice adito, la tempestività dell'opposizione deve essere valutata con riferimento alla data di deposito della citazione, anziché con riguardo alla data di notifica, cosicché, ove la citazione sia stata notificata nel termine di quaranta giorni dalla notificazione del provvedimento monitorio, ma l'iscrizione a ruolo sia avvenuta oltre tale termine, detta opposizione è comunque inammissibile, perché tardiva. Ma la medesima conclusione vale, in linea di principio, anche per i giudizi impugnatori in senso stretto o in senso lato. Recentemente su tale aspetto si è pronunciato anche il Giudice delle leggi, dinanzi al quale è stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale del menzionato articolo, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 Cost.. Diversamente la previsione di cui all'art. 4, comma 5, del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 – con riferimento alle controversie sottoposte ai riti speciali dettati in tema di semplificazione – stabilisce che, ove la causa sia promossa in forme diverse da quelle previste da tale normativa, all'esito del mutamento del rito disposto con ordinanza dal giudice adito, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme seguite prima del mutamento, ossia avendo riguardo alla forma errata dell'atto introduttivo e non alla forma che tale atto avrebbe dovuto avere, restando ferme le sole decadenze e preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento e non le decadenze e preclusioni che sarebbero maturate ove si fosse seguito il rito corretto. In tale differente disciplina è stata altresì ravvisata un'ingiustificata disparità di trattamento, anche in ragione della giurisprudenza sia costituzionale (Corte cost., 19 luglio 2013, n. 223; Corte cost., 12 marzo 2007, n. 77) sia di legittimità (Cass. civ., sez. V, 17 febbraio 2017, n. 4247; Cass. civ., sez. V, 20 maggio 2015, n. 10323; Cass. civ., Sez.Un., 22 febbraio 2007, n. 4109), che ha ammesso la translatio iudicii nel caso in cui la causa sia promossa davanti a giudice privo di giurisdizione, consentendo che gli effetti sostanziali e processuali dell'originaria domanda restino fermi nonostante il passaggio della controversia, per effetto di riassunzione, dall'autorità giudiziaria inizialmente adita all'autorità cui spetta la giurisdizione. Tale principio è stato espressamente recepito in sede normativa, sancendo l'art. 59, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69 che se, entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice adito, la domanda è riproposta al giudice ivi indicato, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall'instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. La salvezza degli effetti della domanda irrituale, riconducibile ad evidenti ragioni di economia processuale, opera anche, secondo il codice di rito, qualora sia stato adito un giudice ordinario incompetente, compresa l'ipotesi, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, dell'appello proposto davanti a un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall'art. 341 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2017, n. 24274; Cass. civ., Sez.Un., 14 settembre 2016, n. 18121).

Inoltre, secondo la tesi avversa alla ricostruzione giurisprudenziale, la soluzione prescelta dal “diritto vivente” sarebbe lesiva del diritto di difesa, atto a garantire l'effettività della tutela giurisdizionale, e del principio del giusto processo, poiché limiterebbe la conservazione degli effetti dell'atto che ha introdotto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non consentendo la commutazione degli effetti della notifica della citazione che in concreto ha introdotto l'opposizione con gli effetti del deposito del ricorso che avrebbe dovuto introdurre l'opposizione, ai fini della determinazione della litispendenza.

La questione

Segnatamente, il tribunale di Verona ha dubitato della legittimità costituzionale dell'art. 426 c.p.c. (Passaggio dal rito ordinario al rito speciale), laddove si prevede che: «Il giudice, quando rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dall'art. 409 c.p.c., fissa con ordinanza l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c. e il termine perentorio entro il quale le parti dovranno provvedere all'eventuale integrazione degli atti introduttivi mediante deposito di memorie e documenti in cancelleria». Secondo l'ordinanza di rimessione, l'art. 426 c.p.c., nella parte in cui non prevede che, una volta proposta una causa nelle forme ordinarie, anziché in quelle speciali prescritte per i rapporti di cui all'art. 409 c.p.c. (e, quindi, anche per i rapporti locatizi in relazione al disposto dell'art. 447-bis c.p.c.), e disposto – nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (instaurato con citazione notificata entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c., ma depositata oltre la scadenza dello stesso) – il mutamento del rito da ordinario in speciale, gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producano secondo le norme del rito seguito prima della conversione, violerebbe:

  • per un verso, l'art. 3 Cost., per irragionevolezza della suddetta mancata previsione, così come interpretata dal “diritto vivente”, alla stregua del quale, in caso di introduzione con atto di citazione di una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, sottoposta al rito del lavoro (o al rito locatizio), il rapporto processuale può ritenersi validamente e tempestivamente instaurato solo se il deposito per l'iscrizione a ruolo dell'atto notificato sia avvenuto nel termine di 40 giorni dalla notificazione del decreto ingiuntivo (previsto dal menzionato art. 641 c.p.c.), rimanendo irrilevante il momento della precedente notificazione dell'atto di citazione, e ciò in contrasto con la sopravvenuta previsione contenuta nell'art. 4, comma 5, del d.lgs. n. 150/2011 e con i principi della giurisprudenza costituzionale (emergenti, soprattutto, dalle sentenze nn. 77 del 2007 e 223 del 2013, in tema di translatio iudicii), alla cui stregua gli effetti processuali dell'originaria domanda si conservano – rispettivamente – anche nell'ipotesi di erronea scelta iniziale del rito o di proposizione ab origine della domanda stessa dinanzi a giudice incompetente o sprovvisto di giurisdizione;
  • e, per altro verso, gli artt. 24 e 111 Cost., poiché la suddetta “lacuna” normativa, come scaturente nella sua portata dall'interpretazione del “diritto vivente”, condizionando l'operatività del principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo alla tempestiva realizzazione degli effetti tipici dell'atto introduttivo del rito qualificabile come corretto, determinerebbe un'ingiustificata lesione del diritto all'effettività della tutela giurisdizionale e del principio del giusto processo (anche sotto forma della tutela del sub-principio del contraddittorio) e della sua ragionevole durata.
Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento la Consulta ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni sollevate, ritenendo che l'interpretazione consolidata della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la produzione degli effetti sostanziali e processuali della domanda, nel caso di mutamento del rito, deve essere ancorata al momento in cui si sarebbe determinata la litispendenza, in base alla forma che l'atto avrebbe dovuto avere, anziché alla forma errata che in concreto ha avuto, non sia manifestamente irragionevole. Sicché, vertendo tali questioni su aspetti processuali, esse sconfinano nella discrezionalità del legislatore ed eccedono dalla funzione istituzionalmente spettante alla Corte costituzionale, non prospettandosi la disposizione normativa censurata come manifestamente irragionevole nell'ottica ermeneutica in cui si applica sulla scorta del consolidato “diritto vivente”.

Le argomentazioni e i rilievi spesi dal giudice rimettente (anche in sintonia con la posizione di parte della dottrina processualcivilistica) muovevano nella direzione di una ridefinizione del passaggio dal rito ordinario al rito speciale – quale ora recata dall'art. 426 c.p.c., in termini di “diritto vivente” – su una linea di maggior coerenza con la disciplina dei nuovi riti speciali, nel senso che il mutamento del rito (rispondente ad un principio di conservazione dell'atto proposto in forma erronea) operasse, in ogni caso, solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all'esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando – in altri termini – fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all'atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta (cioè, nel caso in esame, sulla base di un atto di citazione tempestivamente comunque notificato alla controparte).

Sennonché, ad avviso della Corte, una tale auspicata riformulazione del meccanismo di conversione del rito sub art. 426 c.p.c. riflette, appunto, una valutazione di opportunità, e di maggior coerenza di sistema, di una sanatoria piena, e non dimidiata, dell'atto irrituale, per raggiungimento dello scopo. Ma non per questo risponde ad una esigenza di reductio ad legitimitatem della disciplina attuale, posto che tale disciplina (a sua volta coerente ad un principio di tipicità e non fungibilità delle forme degli atti) non raggiunge quella soglia di manifesta irragionevolezza che consente il sindacato di legittimità costituzionale sulle norme processuali. Con riguardo alla fattispecie in esame, la Corte ha già avuto, peraltro, anche occasione di affermare che la diversa disciplina dell'opposizione a decreto ingiuntivo nel rito ordinario e in quello del lavoro (applicabile anche alle controversie in materia di locazione) è giustificata, essendo finalizzata alla concentrazione della trattazione ed alla immediatezza della pronuncia. Inoltre, il principio della legale conoscenza delle norme non può non valere quando la parte si avvalga, come nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, del necessario patrocinio del difensore, ben in grado di desumere la causa petendi dagli atti notificati alla parte. A fronte, dunque, di un petitum implicante l'opzione per la modifica di una regola processuale – opzione di per sé meritevole di considerazione, ma comunque rientrante nell'ambito delle scelte riservate alla discrezionalità del legislatore – la questione in esame è stata, pertanto, dichiarata inammissibile.

Osservazioni

Il Giudice delle leggi ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni sollevate, in ordine alla decorrenza degli effetti della domanda, nel caso di mutamento del rito, dal momento in cui si sarebbe determinata la litispendenza in forza della forma ipotetica dell'atto introduttivo e non di quella erronea rivestita in concreto, poiché siffatta scelta di natura processuale, così come recepita dal diritto vivente, non appare manifestamente irragionevole. E ciò anche all'esito della formulazione dell'art. 4, comma 5, del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, che, con riguardo ai riti speciali regolati da tale normativa, ha previsto che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, restando ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Sicché dalla lettura di tale ultima disposizione si ricava che il mutamento del rito non incide sulle decadenze e preclusioni maturate antecedentemente, intendendosi pertanto che sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta secondo la forma assunta in concreto, benché erronea. Secondo un recente precedente di merito, detta norma può trovare applicazione unicamente per le tipologie processuali contemplate nel medesimo corpus legislativo, poiché il significato proprio delle parole utilizzate dal legislatore (ossia il riferimento specifico alle conseguenze dell'instaurazione di una controversia ricadente tra quelle regolate dal d.lgs. n. 150/2011 in forme diverse da quelle previste) porta incontrovertibilmente a concludere nel senso che la sanatoria considerata si riferisca unicamente alle tipologie processuali disciplinate dal testo normativo in questione e non possa essere intesa come principio generale applicabile oltre le ipotesi espressamente contemplate dalla disciplina speciale (Trib. Roma, 22 settembre 2017). Aggiunge tale arresto che neanche può procedersi ad un'applicazione estensiva, e dunque contra legem, di detta sanatoria, in attuazione dell'art. 3 Cost. e sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata, poiché l'interpretazione teleologica non può mai essere contra legem. D'altronde, la stessa sentenza di merito ha escluso la configurabilità di una violazione del parametro di cui all'art. 3 Cost., poiché la sanatoria di cui all'art. 4 del d.lgs. n. 150/2011 è stata dettata proprio con riguardo al decreto di semplificazione dei riti, in cui numerosi riti speciali precedentemente contemplati sono stati riformati e ricondotti alle tipologie del giudizio di cognizione ordinaria, del giudizio del lavoro e del giudizio di cognizione sommaria previsto dall'art. 702-bis e ss. c.p.c.. Al riguardo, la riforma di numerosi riti speciali avrebbe potuto ingenerare plurime incertezze interpretative nella scelta del rito da utilizzare e delle modalità di introduzione. Per l'effetto, il legislatore, considerata la condizione di incertezza ermeneutica che si sarebbe inevitabilmente determinata, ha deciso di prevedere una speciale ipotesi di sanatoria in ragione delle peculiarità della disciplina di cui al d.lgs. n. 150/2011. Il che trova conferma nella stessa relazione governativa, secondo cui: «Dalla circostanza della virtuale consolidabilità del rito erroneamente seguito dalle parti, sullo sfondo di differenze puramente di disciplina procedurale e non più di tecniche delle tutele, e dall'esigenza di circoscrivere al minimo l'incertezza interpretativa, scaturisce, inoltre, la regola posta dal quinto comma dell'articolo in esame, che sancisce che gli effetti processuali e sostanziali della domanda giudiziale si producano secondo le norme del rito applicato prima del mutamento, al fine di escludere in modo univoco l'efficacia retroattiva del provvedimento che dispone il mutamento medesimo». Ne discende che, anche all'esito della pronuncia della Consulta, come avvalorata dall'arresto di merito citato, non sussistono valide ragioni per discostarsi dall'unanime giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nella materia locatizia, l'opposizione a decreto ingiuntivo deve essere avanzata necessariamente con ricorso; nel caso in cui, invece, venga proposta con atto di citazione, ai fini della valutazione della tempestività, deve essere preso in esame il momento dell'iscrizione a ruolo mediante deposito e non quello della notifica.

Guida all'approfondimento
  • Balbi, voce Ingiunzione (procedimento di), in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1997, 23;
  • Balena, Le conseguenze dell'errore sul modello formale dell'atto introduttivo (traendo spunto da un obiter dictum delle Sezioni unite), in Giusto proc. civ., 2011, 647 ss.;
  • Balena, Sull'errore (talora assai dubbio) concernente la forma dell'atto di impugnazione, in Giusto proc. civ., 2014, 1119;
  • Ebner-Filodoro, Opposizione a decreto ingiuntivo in materia di lavoro, in Lav. e prev. oggi, 1985, 1617 ss.;
  • Frasca, Il rito dell'opposizione a decreto ingiuntivo in materia locativa prima e dopo la riforma del processo civile e le questioni controverse, in Foro it., 1998, I, col. 3274 ss.;
  • Luiso, Il rito dell'appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative e la conversione del ricorso in citazione, in Riv. dir. proc., 2007, 945;
  • Luiso, Le sezioni unite si pronunciano sull'appello in materia di opposizione alle sanzioni amministrative, in Giusto proc. civ., 2011, 165;
  • Lupano, Sull'introduzione del processo secondo un modello formale errato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 121 ss.;
  • Olivieri, Gli atti di parte nella fase introduttiva, in Riv. dir. proc., 2004, spec. § 4;
  • Pezzano, in Andrioli-Barone-Pezzano-Proto Pisani, Le controversie in materia di lavoro, Bologna-Roma, 1987, 1050 ss.;
  • Poli, Le sezioni unite sul regime del ricorso proposto erroneamente al posto della citazione e viceversa, in Riv. dir. proc., 2014, 1201, spec. 1207 e ss.;
  • Ronco, Pluralità di riti e fase introduttiva dell'opposizione a decreto ingiuntivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc. 2, 2001, 433;
  • Rossi, Sulle modalità di proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia, in Studi in onore di Modestino Acone, vol. 2, Napoli, 2010, 990 ss.;
  • Valitutti-De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2000, 1121 ed ivi nota 51.

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