La riscoperta della ratio dell’art. 38 T.U.B.

Marco Toso
19 Giugno 2018

La Corte di Cassazione, con la sentenza che si commenta, torna, dopo vent'anni (Cass. civ. Sez. I, 01/09/1995, n. 9219), a “rimeditare” la ratio della disposizione dell'art. 38 TUB e, in particolare, “il principio affermato dalla sezione in ordine al non essere il superamento del limite di finanziabilità determinativo della nullità del contratto di mutuo fondiario...
La sentenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza che si commenta, torna, dopo vent'anni (Cass. civ. Sez. I, 01/09/1995, n. 9219), a “rimeditare” la ratio della disposizione dell'art. 38 TUB e, in particolare, “il principio affermato dalla sezione in ordine al non essere il superamento del limite di finanziabilità determinativo della nullità del contratto di mutuo fondiario (v. Cass. n. 26672 -13 e Cass. n. 27380 -13, e poi anche Cass. n. 22446 -15, Cass. n. 4471 -16 e Cass. n. 13164 -16)” (secondo la citata Cass. 9219/1995, “con riguardo ai mutui di credito edilizio, destinati alla ‘costruzione, ricostruzione, riparazione, trasformazione e sopraelevazione di edifici ad uso prevalente di abitazione non di lusso', l'art. 3 legge n. 474 del 1949 - secondo cui l'ammontare di ciascun mutuo non può eccedere la metà del valore cauzionale dell'immobile - è norma imperativa, in quanto, in forza di essa e delle altre disposizioni di settore, da un lato, l'ammontare del mutuo è collegato con lo scopo di agevolare la disponibilità di abitazioni non di lusso e ogni diversità rispetto alle previsioni di legge costituirebbe violazione di detto scopo di carattere pubblico, e, dall'altro, essendo l'ipoteca, collegata al mutuo medesimo, posta a garanzia di un certo ammontare del credito - e non oltre - rispetto al valore del bene ipotecato, il superamento del limite attribuirebbe al creditore una causa di prelazione non solo illegittima, ma anche nulla, perchè contraria al principio della ‘par condicio creditorum' sancito dall'art. 2741, c.c.. Pertanto, a norma degli art. 1418 e 1419 c.c., la stipulazione di un mutuo di violazione dell'indicata norma dà luogo a nullità del relativo contratto, che può essere anche solo parziale (trattandosi di nullità di parte del contenuto del contratto, scindibile nelle sue obbligazioni e riducibile ad un contenuto minore), ove risulti che le parti avrebbero in ogni caso posto in essere il contenuto ‘ridotto' del contratto”).

L'orientamento cui ci si riferisce è quello espresso nel 2013 (la prima sentenza è Cass. 28.11.2013 n. 26672, seguita dalle altre sentenze sopra indicate), ma fortemente criticato dalla giurisprudenza di merito, venendosi a delineare una “sostanziale dicotomia” tra Corti di legittimità e di merito (In questo senso Ugo Malvagna, nota a Cass. civ. 4.11.2015 n. 22446, “Credito fondiario: sulle conseguenze negoziali del superamento del limite di finanziabilità ex art. 38 t.u.b., tra Cassazione e Corti di merito”, in www.dirittobancario.it: “a testimoniare l'esistenza di una sostanziale dicotomia tra Corte di Legittimità –che assume la stabilità del proprio precedente come dato ormai indiscusso, e liquida così la tesi opposta con poche, rapide battute di richiamo – da un lato; e le Corti di merito – tra le quali si registra una generale condizione di fermento e insoddisfazione, se non proprio avversione, verso quell'arresto -, dall'altro“e Tribunale Cagliari, decreto 29.3.2016), che pur formalmente si sono adeguate al dictum della Corte Regolatrice.

La Cassazione, dopo aver svolto un interessante percorso sui parametri e sui criteri che il consulente d'ufficio dovrebbe utilizzare una volta che sia chiamato a decidere sul valore di un immobile ipotecato nell'ambito di un rapporto di mutuo fondiario (la direttiva 2000/12/CE definisce come valore del credito ipotecario quello “determinato da un perito in base ad un prudente apprezzamento della futura negoziabilità dell'immobile stesso tenendo conto degli aspetti durevoli a lungo termine dell'immobile, delle condizioni normali e locali del mercato, dell'uso corrente dell'immobile e dei suoi appropriati usi alternativi”,), arriva a concludere che, nel caso di specie, l'importo non avrebbe dovuto essere finanziato.

Appurata quindi la violazione dell'art. 38 TUB, la Corte osserva che la norma non detta una regola di comportamento, come sostenuto in precedenza, ma rileva invece “quanto e soprattutto sul versante oggetto del finanziamento fondiario eccessivo”.

L'art. 38 TUB – conclude la Corte - è norma imperativa che ha la funzione di limite necessario, sia del credito (fondiario) che del connesso privilegio (fondiario). Il mutuo, per potersi definire tale, deve essere erogato in misura pari all'80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi.

Il sistema delineato, insomma, non intende tutelare gli interessi (e i comportamenti) delle singole parti, come si è sostenuto in alcune decisioni, ma anzi, e potremmo dire “a contrario”, sancisce piuttosto “un limite inderogabile alla loro autonomia privata”, tutelando l'interesse pubblico, e più in particolare gli interessi economici nazionali.

Conclude quindi la sentenza escludendo l'applicabilità di mere sanzioni amministrative e ritenendo nullo l'intero contratto di mutuo nonché l'ipoteca iscritta, come già auspicavano parte di giurisprudenza di merito e dottrina (Tribunale di Monza, 29 Settembre 2015: “il limite di finanziabilità del contratto di mutuo fondiario di cui all'articolo 38, comma 2, TUB costituisce uno degli elementi essenziali che portano ad inquadrare il contratto nel tipo del mutuo fondiario, così che la violazione di detto limite comporta che il contratto non possa più ritenersi tale e sia, pertanto, affetto da nullità”, in www.Il caso.it.; Trib. Firenze , decreto, 30/10/2014: “non è condivisibile la ricostruzione della normativa di sistema come normativa a tutela del solo interesse bancario alla conservazione dell'integrità patrimoniale; deve conseguentemente ritenersi che la disposizione che determina i limiti di finanziabilità nel credito fondiario sia norma imperativa, la cui violazione determina la nullità del contratto ex art. 1418, comma 1, c.c.”, ivi; Trib. Lodi, 24/04/2013:“in un contratto di mutuo fondiario, il superamento del limite di finanziabilità integra violazione di una norma imperativa e determina la nullità del contratto concluso, a nulla rilevando che la misura del finanziamento suscettibile di concessione sia determinato dalla legge mediante rinvio ad una disposizione di rango secondario, quale la deliberazione del CICR 22.4.2005”, ivi, 2013; A. Bertolotti, nota a Trib. Cagliari 4/04/2013, in Giur. It., 2013, 10, 2052: “un finanziamento può essere qualificato contratto di mutuo fondiario qualora, oltre ad essere concesso a medio o lungo termine ed essere assistito da contestuale ipoteca di primo grado, rientri nei tassativi limiti di valore determinati dalla Banca d'Italia in conformità alle deliberazioni del Comitato interministeriale del credito e del risparmio, limiti il cui superamento determina la nullità del contratto. Né in tal caso si potrebbe ipotizzare la conversione del negozio in un mutuo ordinario garantito da ipoteca, in quanto ciò consentirebbe al creditore di soddisfare comunque il proprio interesse, grazie all'ipoteca sul bene, eludendo in tal modo, ai limiti della frode alla legge, le citate disposizioni imperative, regolatrici del credito fondiario”; L. Balestra, nota a Cass. civ. 28.11.2013, n. 26672, in Il Fallimento, 2014, 411 e ss: “Il superamento dei limiti di finanziabilità nel mutuo fondiario tra regole di validità e regole di comportamento: a proposito di un (clamoroso) equivoco da parte della Cassazione..). L'ultima parte della sentenza riguarda un altro profilo di estremo interesse, e cioè, dopo aver escluso la configurabilità di una nullità parziale del mutuo, la questione della possibilità di conversione del negozio nullo in altro tipo di contratto (nella specie mutuo ipotecario ordinario), rilevando che il Tribunale aveva errato nel ritenere che la relativa istanza fosse stata proposta tardivamente e rimettendo quindi la causa avanti al Tribunale di Venezia per una nuova valutazione dei requisiti ex art. 1424 c.c..

Il superamento dei limiti di finanziabilità: la nullità del mutuo

Probabilmente la questione di maggior interesse trattata dalla sentenza è quella sul limite di finanziabilità del mutuo, regolato, da una parte, dall'art. 38 del D.Lgs. 385/93 e, dall'altra, dalla Delibera CICR 22.4.1995.

Queste norme delineano il limite massimo di finanziabilità rispetto al valore della garanzia immobiliare prestata come uno dei requisiti richiesti per la concessione di un mutuo fondiario. La banca che intenda concedere un finanziamento a medio e lungo termine, garantito da ipoteca di primo grado sull'immobile, dovrà quindi rispettare il limite individuato, in conformità alle delibere Cicr, dalla Banca d'Italia nella misura dell'80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi (di regola le norme dell'autorità di vigilanza hanno – secondo il decreto del Tribunale Venezia, 26/07/2012 reso in primo grado - natura secondaria e regolamentare, ma non nel caso vi sia una espressa delega del legislatore, come accade appunto con l'art. 38 TUB; invero “la nullità del contratto per violazione di norme imperative di legge sussiste anche in caso di violazione di norme regolamentari, qualora la legge faccia rinvio alle stesse per la disciplina di una determinata fattispecie”, in Giur. It., 2013, 3, 548, con nota di Quaglieri).

La ratio di tale previsione risponde ad una precisa scelta, dicevamo, di politica economica, tant'è che la Corte Costituzionale, chiamata nel 2004 a decidere sulla illegittimità costituzionale dell'art. 38 TUB, dichiarava la questione inammissibile in quanto scelta fatta dal legislatore con ”l'evidente intento di favorire la “mobilizzazione” della proprietà immobiliare – e in tal modo l'accesso a finanziamenti potenzialmente idonei (anche) a consentire il superamento di condizioni di crisi dell'imprenditore” (Corte Cost., 22.6.2004 n. 175, parte motiva; nello stesso senso Cass. 1 settembre 2015, n. 9219, cit. ).

Introducendo un limite di finanziabilità, quindi, il legislatore ha voluto mettere preventivamente in bilancio una possibile perdita di valore dell'immobile e l'inadempimento del cliente, onde garantire il buon esito della circolazione immobiliare, anche in situazione di crisi, e nel contempo garantire la velocità della circolazione immobiliare.

Sempre in questa prospettiva vanno letti, evidentemente, gli altri vantaggi posti dalla legge a favore della Banca erogante, quali il consolido breve dell'ipoteca nei 10 giorni antecedenti la pubblicazione della sentenza di fallimento e la deroga all'improcedibilità delle azioni esecutive in caso di fallimento del debitore.

Pertanto, sostiene la Cassazione, la previsione di tali vantaggi da parte dell'ordinamento costituisce una specie di “corrispettivo” alla necessità per la banca di rispettare le norme che delimitano e qualificano l'oggetto del mutuo fondiario. Se l'istituto di credito vuole avvantaggiarsi delle “garanzie” stabilite a suo favore dall'ordinamento, deve rispettare le regole dettate dall'ordinamento stesso, perché l'interesse tutelato non è quello della singola banca e del singolo cliente (rispettivamente, al pagamento di maggiori interessi e oneri e al finanziamento della maggior somma possibile), bensì garantire il rientro, in caso di inadempimento, della somma mutuata.

Si potrebbe dire, a posteriori, che la Cassazione del 1995 ha dato una lettura estremamente lungimirante della norma di cui all'art. 38 TUB, attenta alle esigenze del sistema tout court, laddove con la sentenza della Cassazione del 2013 (e le successive) abbiamo assistito ad un punto di arresto pro singola banca, che soddisfaceva i propri interessi economici primari (“far cassa”), finanziando somme superiori al dovuto, e poteva comunque fare affidamento su un valido contratto e sulle garanzie “fondiarie” previste dal sistema.

La Cassazione del 2017 ha radicalmente mutato indirizzo non solo (o non tanto) sull'interpretazione del limite dell'art. 38 TUB, quanto, diremmo, sulla ratio stessa della norma.

Ed allora sembra che il punto nodale di tutta la sentenza, il centro di gravità dell'intera ricostruzione ermeneutica della norma, possa rinvenirsi nelle tre righe che chiudono la confutazione delle argomentazioni utilizzate spesso dalle difese della banca (e riprese dalla giurisprudenza), secondo cui “la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità significherebbe travolgere la connessa garanzia ipotecaria, con il paradossale risultato di pregiudicare il valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intende invece proteggere”.

A tali argomenti, la Cassazione risponde in modo conciso, ma assolutamente corretto, che “in verità la norma non è volta a tutelare la stabilità patrimoniale della singola banca, ma persegue interessi economici nazionali (pubblici)”, argomenti questi ripresi successivamente con la sottolineatura che l'interesse tutelato è un interesse pubblico.

Ed allora forse la grande rilevanza teorica della decisione consiste nell'aver riconosciuto alla norma un valore che trascende il rapporto mutuante – mutuatario, ma che si inserisce nel più ampio ambito di norme volte a tutelare interessi costituzionalmente garantiti, quali quelli stabiliti dal combinato disposto degli articoli 41 e 47 della nostra Carta Costituzionale.

La Cassazione, cioè, pare intendere la norma come diretta a tutelare sia l'iniziativa economica, ma ancor di più la stabilità del risparmio e quindi del sistema bancario in generale: la tutela della stabilità delle banche (non della singola banca) si attua mediante il rispetto anche del limite di finanziabilità ex art. 38 TUB perché esso consente il recupero del credito erogato, e non invece nel consentire liberamente di ignorare tale disposto senza alcuna conseguenza sul piano contrattuale.

Ecco dunque la “lungimiranza” della sentenza del 1995, che aveva chiaramente presagito come l'erogazione “generosa” di credito, cui abbiamo assistito negli ultimi anni, aveva in sé i germi della compromissione della stabilità generale del sistema (V. Sangiovanni, nota a Tribunale Nuoro 17.5.2016, “Superamento dei limiti di finanziabilità nel mutuo fondiario ed effetti sul contratto”, in Fall., 2016, 1242 e seguenti) con evidenti ripercussioni soprattutto in ambito concorsuale.

Ed è proprio questo il caso affrontato dal Tribunale di Venezia in primo grado. Un pool di banche concedeva credito in misura superiore all'80% (la perizia del tempo non rispettava i criteri dettati dalla Direttiva 2000/12/CE del 20.3.2000), a chi aveva già ottenuto altri finanziamenti (senza provarne con data certa l'estinzione) e che non riusciva poi a pagare le rate del mutuo.

Da qui la (condivisibile) “sanzione” decisa con decreto in primo grado, e ora confermata, della nullità dell'intero contratto e dell'ipoteca, a tutela anche, e non solo, della par condicio creditorum, non potendosi pensare di mantenere la garanzia fondiaria a favore di chi ha consapevolmente violato la previsione di cui all'art. 38 TUB.

Trattasi della tesi più “drastica”, come viene definita da qualcuno, perché la banca che ha erogato il finanziamento, pur violando i limiti di cui all'art. 38 TUB, perderebbe contratto e garanzia ipotecaria, potendo contare solo, se richiesta, sull'ammissione in chirografo (Tribunale di Monza, 29 Settembre 2015, e Tribunale Firenze, 30/10/2014, cit.), con forte probabilità di insoddisfazione della banca e con grave ripercussione sul sistema.

(segue) La tesi dell nullità parziale

La Corte ha recisamente escluso che si possa aderire alla tesi della nullità parziale del mutuo cui era giunta la sentenza del 1995 della stessa Corte, e che avrebbe come conseguenza di riconoscere il privilegio ipotecario solo alla parte del credito erogato rientrante nel limite finanziabile.

Va detto che si tratta di una tesi non condivisa dai più.

Sottolinea la Corte del 2017 come vi siano delle “difficoltà pratico – giuridiche” a frazionare un unico contratto con conseguente consolido dell'ipoteca solo per la porzione fondiaria, senza considerare il difetto, a monte, dei requisiti oggettivi costitutivi dell'operazione fondiaria.

Peraltro una simile soluzione, seppur meno drastica, sarebbe aleatoria, perché legata ad una valutazione fatta dalle parti e, soprattutto, dal perito della banca che ha stimato l'immobile. Dovrebbe essere individuato ora il valore del bene al tempo dell'erogazione del finanziamento e al tempo della decisione nonché determinata quale parte del mutuo sia nulla (vedi sul punto Tribunale di Milano, decreto 30.6.2016, in questo portale, 24.10.2016).

(segue) La conversione del negozio nullo

La Cassazione ha rimesso al Tribunale di Venezia la valutazione dell'istanza di conversione, già formulata, ma non decisa in primo grado perché ritenuta tardiva dal Collegio, anticipando che si tratterebbe dell'”unica modalità di recupero del contratto nullo” e quindi anticipando sostanzialmente la sua posizione sul punto.

Dichiarato nullo il contratto, perché stipulato in difetto di un requisito essenziale per la validità dello stesso, si tratta ora di valutare se possa essere convertito in altro contratto di cui abbia i requisiti e sempre che si possa affermare che le parti lo avrebbero voluto se avessero conosciuto della nullità del contratto effettivamente stipulato.

La particolarità di questa soluzione sta nel fatto che, dato sostanzialmente per pacifico che il mutuatario aveva interesse ad ottenere credito, la prova che si dovrebbe raggiungere è principalmente se la banca avrebbe concluso comunque un mutuo (ipotecario) ordinario se avesse conosciuto della nullità del mutuo fondiario; è evidente che, “perso per perso”, la banca cercherà in tutti i modi di salvare il salvabile affermando che avrebbe comunque concluso un ordinario mutuo ipotecario.

(segue) La riqualificazione del contratto

Da ultimo, va ricordata una tesi, minoritaria nella giurisprudenza edita ma spesso molto seguita nelle prassi dei tribunali, che sostanzialmente si pone in una posizione mediana tra la nullità parziale e la conversione del negozio nullo.

Ci riferiamo alla cosiddetta “riqualificazione del contratto”, tesi che trova probabilmente una delle sue più chiare enunciazioni in una importante decisione del Tribunale di Udine (Trib. Udine, 29/05/2014:Ove, in fatto, sia accertato il superamento del limite di finanziabilità posto dalla normativa sul credito fondiario, il credito della banca dev'essere ammesso in via ipotecaria, poiché non può essere condivisa la tesi secondo cui dalla violazione del limite di finanziabilità posto dall'art. 38, comma 2, T.U.B. e dalla normativa delegata deriverebbe la radicale nullità del contratto di finanziamento e dell'atto di concessione di ipoteca, derivando invece da tale violazione, quale unica conseguenza, la disapplicazione della normativa speciale relativa al credito fondiario”, in Il caso.it, 2014; la tesi è condivisa da V. Sangiovanni, “Superamento dei limiti di finanziabilità nel mutuo fondiario ed effetti sul contratto”, nota a Tribunale Nuoro 17.5.2016, cit..) che ha ritenuto che in caso di superamento del limite di finanziabilità il mutuo non sia nullo, ma semplicemente perderebbe la qualifica di “fondiario” per “degradare” a semplice “ipotecario”, con la conseguente applicazione a questo rapporto di tutte le norme ordinarie in ambito fallimentare, prima fra tutte quelle in tema di revocatoria.

Del resto – sottolinea il Tribunale – la disciplina del credito fondiario si è “affievolita” (può essere erogato da tutte le banche, non vi è più una determinata forma di raccolta del risparmio e non è più un mutuo di scopo); insomma “il “credito fondiario” non è (o non è più) “un tipo contrattuale autonomo ma solo una forma particolare - caratterizzata da determinati requisiti, ai quali si ricollega l'applicazione di una speciale disciplina – di contratti di finanziamento che esistono e sono validi a prescindere da quella disciplina …”.

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