I motivi di opposizione all'esecuzioneFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 615
22 Giugno 2018
Come noto, l'esecuzione forzata non è volta all'accertamento dei diritti bensì a dare agli stessi concreta attuazione, nell'ipotesi di inadempimento dell'obbligo versato nel titolo esecutivo. Peraltro, nel corso dell'esecuzione possono innestarsi incidenti cognitivi correlati all'an dell'esecuzione, ossia alla sussistenza del diritto del creditore a procedere in executivis (opposizione all'esecuzione) ovvero al quomodo della procedura, nonché alla nullità o irregolarità degli atti compiuti nel processo esecutivo (opposizione agli atti esecutivi). In particolare, oggetto dell'opposizione all'esecuzione, regolata sia nella forma preventiva all'inizio della procedura che in quella successiva dall'art. 615 c.p.c., è la contestazione, in ogni suo momento ed aspetto, del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, in essa dovendosi ravvisare una richiesta di declaratoria di attuale insussistenza, perché originaria o sopravvenuta, del menzionato diritto (Cass. civ., n. 20989/2012). I motivi di opposizione ex art. 615 c.p.c.. Difetto originario o sopravvenuto del titolo esecutivo
L'art. 474 c.p.c. sancisce il generale principio nulla executio sine titulo: pertanto, il titolo esecutivo è condizione dell'esecuzione che deve sussistere fin dall'inizio dell'esecuzione e sino alla conclusione della stessa. Pertanto, il creditore deve essere munito del titolo sin dall'inizio dell'esecuzione, non assumendo rilevanza l'eventuale sopravvenienza dello stesso nel corso della procedura esecutiva. Ne deriva che il giudice dell'esecuzione è tenuto alla verifica in ordine alla ricorrenza del titolo all'inizio e per tutto il corso del processo esecutivo. La caducazione del titolo prima della conclusione dell'esecuzione forzata ne comporta invero l'inefficacia, con effetti ex tunc, facendo quindi venir meno gli atti già compiuti (Cass. civ., n. 15363/2011).
La portata del generale principio nulla executio sine titulo deve essere considerata anche alla luce della possibilità che nel corso della procedura esecutiva intervengano creditori muniti di titolo esecutivo. In particolare, si pone la questione se sia configurabile l'insensibilità del processo esecutivo individuale, cui partecipino più creditori concorrenti, alle vicende relative al titolo invocato dal procedente quando il titolo esecutivo azionato da almeno un altro di loro abbia mantenuto integra la sua efficacia (Cass. civ., ord., n. 2240/2013, in Giust. Civ., 2013, n. 1, 61, ed in Foro it., n. 6, 1951, con nota di Majorano). Sulla richiamata problematica si era formato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità che è stato risolto dalle Sezioni Unite mediante l'affermazione del principio per il quale la regola secondo cui il titolo esecutivo deve esistere dall'inizio alla fine della procedura va intesa nel senso che essa presuppone non necessariamente la continuativa sopravvivenza del titolo del creditore procedente, bensì la costante presenza di almeno un valido titolo esecutivo, sia pure dell'interventore, che giustifichi la perdurante efficacia dell'originario pignoramento. Consegue ad un'impostazione siffatta che, qualora, dopo l'intervento di un creditore munito di titolo, sopravviene la caducazione del titolo esecutivo comportante l'illegittimità dell'azione esecutiva intrapresa dal creditore procedente, il pignoramento, se originariamente valido, non è caducato, bensì resta quale primo atto dell'iter espropriativo riferibile anche al creditore titolato intervenuto, che anteriormente ne era partecipe accanto al creditore pignorante (Cass. civ., Sez. Un., n. 61/2014). Sotto altro profilo, il titolo esecutivo deve avere ad oggetto un diritto certo, liquido ed esigibile, come stabilito dall'art. 474 c.p.c.. Oggetto di vivace discussione è la problematica afferente la liquidità e riguarda la quantificazione, in misura determinata, nel titolo del diritto del creditore. La portata di tale requisito era già stata temperata dalla giurisprudenza consolidata nel senso che lo stesso era integrato anche nell'ipotesi in cui l'entità della somma dovuta fosse determinabile attraverso un mero calcolo aritmetico compiuto sulla scorta dei dati risultanti dal titolo, i.e. dal dispositivo integrato dalla motivazione (v., tra le altre, Cass. civ., n. 17537/2014).
Nondimeno, anche a seguito della richiamata decisione delle Sezioni Unite, la stessa Suprema Corte ha precisato che resta fermo l'assunto per il quale il titolo esecutivo giudiziale che, nel dispositivo, si limiti a condannare al pagamento di accessori "dal dì del dovuto", senza altra specificazione e senza espressa o implicita menzione di tale decorrenza nel corpo della motivazione, in quanto tautologico ed irrimediabilmente illegittimo per indeterminabilità dell'oggetto, viene meno alla sua funzione di identificazione compiuta e fruibile - cioè specifica e determinata, ovvero almeno idoneamente determinabile - dell'esatta ragione del beneficiario della condanna e dell'oggetto di questa (Cass. civ., n. 8576/2013, in Foro it., 2014, n. 3, 916, con nota di Brunialti).
Segue. Carenza di legittimazione attiva o passiva
In secondo luogo con l'opposizione all'esecuzione può essere contestato sia il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata perché, ad esempio, non coincidente con il soggetto indicato nel titolo esecutivo ovvero per circostanze sopravvenute per le quali ha perso la titolarità del diritto, sia, da parte del medesimo debitore, la propria carenza di legittimazione passiva.
Il secondo comma dell'art. 615 c.p.c. annovera nella rubrica “opposizione all'esecuzione” anche quella mediante la quale venga dedotta l'impignorabilità dei beni che afferisce, invero, al diritto a procedere ad esecuzione su determinati beni (Cass. civ., n. 15198/2000). L'onere della prova in ordine alla ricorrenza di una causa di impignorabilità spetta al debitore esecutato che la fa valere (Cass. civ., n. 15886/2014, in Foro it., 2014, I, 3494, in tema di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale, la quale ha precisato che l'opponente può avvalersi a tal fine anche di presunzioni). É peraltro consolidato in sede di legittimità l'orientamento per il quale nell'espropriazione di crediti, il terzo debitore del debitore esecutato non è legittimato a far valere l'impignorabilità del bene, attenendo tale questione al rapporto tra creditore esecutante e debitore esecutato, il quale ultimo soltanto si può avvalere degli appositi rimedi oppositivi previsti dalla legge (Cass. civ., n. 3790/2014). Le contestazioni di merito: rilevanza della distinzione tra titoli esecutivi giudiziali e stragiudiziali
Mediante l'opposizione all'esecuzione può, inoltre, essere contestato il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata sotto il profilo dell'an e del quantum debeatur. Peraltro, in tale ipotesi, occorre distinguere, quanto al novero dei motivi deducibili in sede di opposizione all'esecuzione, tra titoli esecutivi giudiziali e stragiudiziali. Infatti, per le sentenze ed i provvedimenti emanati dall'autorità giudiziaria opera il principio di conversione dei vizi di nullità in motivi di gravame sancito dall'art. 161 c.p.c.: in altri termini, il vizio non potrà essere contestato in sede di opposizione all'esecuzione ma soltanto mediante impugnazione. Tale regola è derogata, dal secondo comma dell'art. 161 c.p.c., esclusivamente per l'ipotesi-limite della sentenza cd. inesistente, in quanto priva della sottoscrizione del giudice. Nel giudizio di opposizione all'esecuzione promossa in base ad un titolo esecutivo di formazione giudiziale, le ragioni di ingiustizia della decisione possono essere fatti valere, ove ancora possibile, solo nel corso del processo in cui il titolo è stato emesso, spettando la contestazione del diritto di procedere ad esecuzione forzata può essere fondata su vizi di formazione del provvedimento solo quando questi ne determinino l'inesistenza giuridica, atteso che gli altri vizi e cognizione di ogni questione di merito al giudice naturale della causa in cui la controversia tra le parti ha avuto (o sta avendo) pieno sviluppo ed è stata (od è tuttora) in esame, anche in sede di impugnazione (Cass. civ., n. 3277/2015).
Sulla questione, è inoltre opportuno ricordare che, nel caso di esecuzione forzata intrapresa in forza di un decreto ingiuntivo, occorre distinguere tra l'ipotesi di deduzione dell'inesistenza della notificazione del titolo, che si verifica ogniqualvolta essa viene effettuata in luogo o a mano di persona privi di ogni tipo di relazione con l'ingiunto, e che comporterebbe senz'altro la necessità del ricorso al rimedio dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., e quella invece in cui se ne deduca la nullità, per la quale è esperibile soltanto il rimedio dell'opposizione tardiva ai sensi dell'art. 650 c.p.c. entro il termine di cui al comma 3 (v., tra le molte, Cass. civ., n. 1219/2014). Per converso possono essere fatte valere con l'opposizione all'esecuzione fondata su un titolo esecutivo giudiziale i vizi che non soggiacciono alla regola di cui all'art. 161 c.p.c. di conversione della nullità in motivi di gravame (Vaccarella, Opposizioni all'esecuzione, E.G.I., 1990, 2). Può pertanto essere denunciata mediante opposizione all'esecuzione, oltre che l'inesistenza della sentenza, l'inidoneità della sentenza a fungere da titolo esecutivo, per l'assenza di carattere condannatorio, per essere la condanna solo generica (Cass. civ., n. 4723/1977), o emessa nei confronti di soggetto deceduto (Cass. civ., n. 11153/2002). Sotto altro profilo, anche se l'esecuzione si basa su un titolo giudiziale, l'opponente può far valere tutti i fatti successivi alla formazione del titolo, come, ad esempio, il pagamento della somma richiesta in sede esecutiva o la stipula di una transazione novativa con il creditore. É peraltro controversa l'individuazione dell'ultimo momento utile per far valere tali fatti in sede cognitiva, momento dopo il quale gli stessi potrebbero farsi valere con l'opposizione all'esecuzione. Almeno in giurisprudenza è tuttavia prevalente la tesi che ammette la deducibilità del fatto sopravvenuto al momento nel quale lo stesso poteva essere dedotto nel giudizio di primo grado sia in sede di impugnazione che in sede di opposizione ex art. 615 c.p.c. (cfr. Cass. civ., n. 3007/1992; Cass. civ., n. 4617/1987). Mentre con l'opposizione all'esecuzione forzata fondata su un titolo esecutivo giudiziale possono farsi valere soltanto i fatti posteriori alla formazione del provvedimento costituente titolo esecutivo, la medesima esigenza, invece, non si riscontra allorché l'esecuzione forzata sia basata su un titolo di natura stragiudiziale (Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 186). Ne deriva che in quest'ultima ipotesi, il debitore può contrastare la pretesa esecutiva del creditore con la stessa pienezza dei mezzi di difesa consentita nei confronti di una domanda di condanna o di accertamento del debito, e il giudice dell'opposizione può rilevare d'ufficio non solo l'inesistenza, ma anche la nullità del titolo esecutivo nel suo complesso o in singole sue parti, non vigendo in materia il principio processuale della conversione dei vizi della sentenza in mezzi di impugnazione (Cass. civ., n. 2123/2011).
|