Abbandono del luogo di lavoro: considerazioni sull’incidenza dell’elemento volitivo
28 Giugno 2018
Massima
La fattispecie dell'abbandono del posto di lavoro, tipizzata fra le cause di recesso per giusta causa dall'art. 140, comma 2, CCNL per i “Dipendenti da Istituti di Vigilanza Privata”, presenta una duplice connotazione, una di carattere oggettivo, in base alla quale, dovendosi identificare il concetto di abbandono nel totale distacco dal bene da proteggere, rileva l'intensità dell'inadempimento agli obblighi di sorveglianza, e un'altra di carattere soggettivo, consistente nella coscienza e volontà dell'agente di voler realizzare la condotta incriminata, fatta salva l'eventuale configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell'allontanamento. Il caso
Una società di vigilanza privata irrogava un licenziamento per giusta causa ad un proprio dipendente, che era stato assegnato al servizio di piantonamento antirapina presso la filiale di un istituto di credito, ma che, senza alcuna apparente giustificazione, durante il normale orario di lavoro, si era privato del giubbotto anti-proiettile e recato presso un bar posto a poca distanza dalla filiale medesima, e, più di preciso, dirimpetto rispetto all'ingresso di quest'ultima.
Il lavoratore impugnava il recesso, e, nelle more del giudizio, emergeva come al primo fossero già state comminate n. 8 sanzioni conservative per mancata vestizione del giubbetto anti-proiettili, facente parte delle dotazioni obbligatorie per il personale assegnato ai servizi di piantonamento, e ciò, come logico, per garantire la sicurezza delle guardie giurate stesse, nonché una migliore capacità di proteggere le persone ed i luoghi affidati alla loro custodia.
Sia innanzi al Giudice di prime cure, che in sede di gravame, il licenziamento era stato ritenuto illegittimo, in quanto sproporzionato rispetto alla condotta oggetto di addebito, poiché “tenuto conto della peculiarità del servizio di piantonamento, deve intendersi (la stessa) realizzata solo quando, per modalità e tempi, l'agente si allontani favorendo eventuali intrusioni non controllate”.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dalla società datrice e rinviato alla Corte d'Appello di Firenze in diversa composizione.
La questione giuridica
Ci troviamo di fronte ad una vexata quaestio, figlia di numerosi orientamenti giurisprudenziali susseguitisi nel tempo sino a giungere al principio ormai consolidato secondo cui la differenziazione tra il concetto di “allontanamento” e “abbandono” del posto di lavoro è data dalla temporaneità della condotta del lavoratore che, come è evidente, risulta attenuata nel primo caso rispetto al secondo, laddove si verifica il volontario e “totale distacco del prestatore dal bene da proteggere” (cfr. Cass., 26 luglio 2016, n. 15441). Le soluzioni giuridiche
Questa pronuncia presenta dei tratti particolarmente interessanti sotto il profilo della fattispecie oggetto di esame giudiziale, data la compresenza di numerosi indici di valutazione, quali: (i) l'assegnazione del lavoratore a mansioni di addetto ad un servizio di vigilanza presso un istituto di credito; (ii) l'intensità dell'elemento intenzionale; (iii) la recidiva; (iv) l'assenza totale di una valida giustificazione, e, anzi, la futilità della presunta motivazione alla base del distacco dalla struttura oggetto di sorveglianza; (v) l'esistenza di una declaratoria contrattuale collettiva che prevede la sanzione espulsiva per il caso tipizzato di abbandono del posto di lavoro (art 140, comma 2, CCNL per i Dipendenti da Istituti di Vigilanza Privata).
Già ad una prima lettura di quanto sinora delineato, sotto il profilo puramente del merito, non si può che avallare la decisione della Suprema Corte, e, anzi, si sollevano non poche perplessità sui criteri posti alla base del decisum dei primi due gradi di giudizio, che, però, non possono essere oggetto di specifica analisi, poiché la pronuncia di legittimità de quo ne discute in termini generici, limitandosi perlopiù ad accogliere i motivi di impugnazione di parte ricorrente.
Come accennato in precedenza, la ratio della Corte d'appello, censurata in sede di legittimità, voleva che la nozione di abbandono del posto di lavoro s'integrasse soltanto nelle ipotesi in cui le modalità e le tempistiche che avevano contraddistinto il distacco dalla res in custodia potessero favorire una conseguenza pregiudizievole per quest'ultima (nel caso di specie, un'intrusione finalizzata alla rapina).
Il Collegio, in definitiva, aveva completamente espunto l'elemento volitivo dai criteri di valutazione della presunta condotta illecita tenuta dal dipendente, ridefinendo persino lo spettro degli elementi integranti l'antigiuridicità del fatto materiale, che per poter essere considerato disciplinarmente rilevante doveva aver pregiudicato irrimediabilmente la sicurezza delle persone e dei luoghi oggetto di sorveglianza, realizzando una situazione di oggettivo pericolo (i.e. “favorendo eventuali intrusioni non controllate”). Come logico, da ciò derivava giocoforza un onere in termini di eccezioni ed allegazioni per il datore di lavoro che è al limite della probatio diabilica, ed un potere discrezionale eccessivo in capo al giudicante (non è una coincidenza che il tema probatorio si fosse incentrato anche sullo stato dei luoghi al momento in cui si era verificata la condotta contestata, per accertare se il vigilante potesse controllare o meno l'ingresso della banca dal bar dirimpetto ove si era recato).
A tale opinabile orientamento, che derubricava sensibilmente la violazione di cui si discute laddove rapportata ai doveri di diligenza, lealtà e correttezza, si è contrapposto - senza possibilità di replica alcuna - quello del Giudice di nomofilachia che ha riportato in auge l'elemento della “coscienza e volontà” concretatasi al momento dell'abbandono del luogo di lavoro, rendendolo determinante ai fini della statuizione sulla legittimità del recesso, e ciò “indipendentemente dalle finalità perseguite e salva la configurabilità di cause scriminanti, restando irrilevante il motivo dell'allontanamento”.
Più nello specifico, onere del Giudice del Lavoro è quello di “valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell'addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un'utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all'intensità dell'elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all'assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo”. Osservazioni
Per concludere l'analisi della sentenza in esame, si rende opportuno guardare al passato, e ricostruire, seppur in estrema sintesi, alcuni degli elementi distintivi che la giurisprudenza di legittimità ha individuato in relazione a casi specifici per operare un distinguo tra i concetti di “allontanamento” e “abbandono” del posto di lavoro.
E così, con la sentenza n. 10015 del 16 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha statuito che consistesse in una scusabile forma di allontanamento dal posto di lavoro quella contestata ad un metronotte, laddove era stata giustificata dall'espletamento di esigenze fisiologiche, era perdurata per lasso di tempo relativamente breve (circa una decina di minuti), e, comunque, non aveva compromesso il regolare svolgimento del servizio di pattugliamento. In tal ultimo senso, la scelta di farsi sostituire mentre si è in servizio da un collega è stata ritenuta idonea a non determinare l'interruzione di quest'ultimo: “considerando che all'allontanamento mezz'ora prima della fine del turno era corrisposto l'arrivo di un collega mezz'ora prima dell'inizio del turno successivo, sì che il luogo non era rimasto privo di personale di vigilanza” (cfr. Cass., 26 giugno 2013, n. 16095; in senso conforme: Cass., 26 gennaio 2012, n. 1089).
Volendo porre l'accento proprio sulla rilevanza istruttoria presentata dalle eventuali conseguenze pregiudizievoli prodottesi in ragione del fatto di abbandono, le stesse sono state considerate un parametro fondamentale ai fini della statuizione di legittimità del licenziamento intimato ad una guardia giurata, la cui assenza era dipesa sempre da ragioni di carattere fisiologico, e che al suo ritorno si era ritrovata dinanzi ad una rapina a mano armata, nel corso della quale, tra l'altro, non era stata in grado di agire prontamente contro i malviventi (Cass., 31 ottobre 2012, n. 18811). Ed invero, al verificarsi della predetta condizione, consegue la necessità di una valutazione ulteriore circa il comportamento tenuto dal lavoratore in termini di diligenza, facendo sì che, come nel caso di specie, acquisti rilievo la mancata adozione di accortezze quali l'aver avvisato della propria assenza temporanea un referente dell'istituto di credito oggetto del piantonamento oppure l'aver verificato l'operatività del metal detector presente all'ingresso della banca.
Ed ancora, a prescindere dalla ubicazione fisica della persona, è stata giudicata legittima la sanzione espulsiva comminata ad un medico assegnato al turno notturno in ragione della sua irreperibilità al cercapersone, posto che una simile condotta è idonea ad integrare persino profili di rilevanza penale (con particolare riferimento all'art. 340 c.p.), qualora l'interruzione della prestazione, per durata ed entità, sia in grado di incidere sulla regolarità dell'ufficio o del servizio sanitario (Cass., 16 gennaio 2017, n. 856).
Quest'ultima pronuncia, al contempo, slegando la nozione di “abbandono” da quella di “presenza fisica” rispetto al luogo di lavoro, apre al diverso scenario del cd. Smart Working, visto e considerato che l'art. 21, comma 2, l. n. 81 del 2017 (“Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l'articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”) prevede espressamente che l'accordo scritto relativo alla modalità di lavoro agile siglato tra datore e dipendenti “individua le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari”. In ragione di ciò, chi scrive non reputa lontano il momento in cui si dibatterà in dottrina e sede di giustizia di abbandono (telematico) del posto di lavoro. |