L'istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata

29 Giugno 2018

Il presente contributo analizza la struttura normativa dell'istanza di sospensione con specifico riferimento ai requisiti necessari per la chiesta cautela, al procedimento, nonché alla natura, oggetto ed effetti del provvedimento di inibitoria avuto particolare riguardo al processo di esecuzione.
Il quadro normativo

A norma dell'art. 283 c.p.c. «il giudice d'appello su istanza di parte, proposta con l'impugnazione principale o con quella incidentale, quando sussistono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione».

La dottrina individua la ratio legis della predetta norma nell'esigenza di contemperamento del principio della durata ragionevole del processo con la tutela delle parti.

Il legislatore vuole evitare, nella sostanza, che la parte nei cui confronti si spiegano nell'immediato gli effetti sfavorevoli della sentenza possa restare pregiudicata nella tutela delle sue situazioni giuridiche soggettive da una eccessiva durata del processo di impugnazione.

Due sono le riforme che hanno investito il dettato normativo contenuto nella norma richiamata.

La prima, introdotta con la l. 28 dicembre 2005, n. 263, con la quale l'espressione gravi motivi è stata sostituita con quella gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti.

La seconda, operata con la l. 12 novembre 2011, n. 183 che ha aggiunto all'art. 283 c.p.c. il secondo comma. Tale norma conferisce al giudice la possibilità di sanzionare la parte che ha richiesto la sospensione cautelare ed ha una valenza doppiamente deflattiva, perché mira a dissuadere le parti dalla proposizione di istanze di sospensione del tutto dilatorie e a ridurre la durata dei procedimenti di secondo grado.

Si tratta di un potere sanzionatorio del giudice che, secondo una parte della dottrina, presenta aspetti di rilevante criticità laddove bilanciato con il diritto di difesa della parte proponente e con il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale.

E difatti è stato affermato che l'intento vero del legislatore non è stato quello motivato dall'intento deflattivo delle azioni del tutto infondate, quanto quello di aumentare l'introito del gettito dello Stato, che già incamera il contributo unificato.

La giurisprudenza di merito, al riguardo, ha affermato che «il destinatario della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 283, comma 2, c.p.c., data la natura pubblicistica di essa, va individuato nella amministrazione della giustizia e che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria, sebbene normalmente possa essere adottata con ordinanza revocabile, a fortiori può essere pronunciata con la stessa sentenza che definisce il giudizio» (Trib. Verona, 16 giugno 2016).

Inammissibilità e manifesta infondatezza

Il giudizio di inammissibilità si fonda sulla valutazione da parte del giudice dei presupposti di natura formale (recte: di rito) previsti dal codice di procedura civile per la rituale formulazione dell'istanza di sospensione.

É certamente inammissibile l'istanza di sospensione presentata tardivamente (per esempio alla prima udienza di trattazione), oppure presentata con l'atto di gravame e non reiterata alla prima udienza.

É parimenti inammissibile l'istanza che chiede la sospensione della provvisoria esecuzione di sentenze che non possono essere eseguite prima del passaggio in giudicato, come quelle costitutive o di accertamento.

Al riguardo la Corte di cassazione ha precisato che «le sentenze di accertamento non hanno efficacia esecutiva anticipata rispetto al momento del passaggio in giudicato, ad eccezione delle eventuali statuizioni di condanna consequenziali» (Cass. civ., sent., n. 7369/2009).

Con l'ulteriore corollario, pure affermato dai Giudici di legittimità, che «ancorché l'art. 282 c.p.c., nella formulazione vigente per effetto della sostituzione operata dall'art. 33 l. n. 353/1990, non consenta di ritenere che l'efficacia delle sentenze di primo grado aventi natura di accertamento e/o costitutiva sia anticipata rispetto alla formazione della cosa giudicata sulla sentenza e debba, dunque, affermarsi che dette sentenze possono vedere anticipata la loro efficacia rispetto a quel momento soltanto in forza di espressa previsione di legge (come accade, ad esempio, nell'art. 421 c.c.), qualora ad esse acceda una statuizione condannatoria (come, ad esempio, quella sulle spese di una sentenza di rigetto di una domanda), tale statuizione, in forza della riferibilità dell'immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado a tutte le pronunce di condanna, indipendentemente dalla loro accessorietà ad una statuizione principale di accertamento e/o costituiva, deve considerarsi provvisoriamente esecutiva» (Cass. civ., sent., n. 21367/2004).

La valutazione prima facie dell'insussistenza dei gravi e fondati motivi fonda la decisione di manifesta infondatezza dell'istanza di sospensione.

Si tratta di una valutazione che attiene al mancato assolvimento da parte del proponente dell'onere di allegazione e dell'onere della prova dei gravi e fondati motivi, oppure della deduzione di un danno patrimoniale di non rilevante entità (che si ritiene, per ciò solo, del tutto risarcibile nell'ipotesi di vittoria nel giudizio di appello), oppure dell'insussistenza di un nesso tra l'esecuzione della sentenza e lo stato di insolvenza del proponente.

Vengono in rilievo, dunque, tutti quei casi in cui l'istanza di sospensione appare ictu oculi non meritevole di accoglimento e a tale immediata valutazione di infondatezza e di manifesta infondatezza è legata la previsione, come già detto, avente un effetto chiaramente deflattivo del contenzioso, della condanna al pagamento di una somma di denaro.

I requisiti della richiesta di sospensione

La premessa iniziale è che l'art. 282 c.p.c. sancisce il principio che la sentenza di primo grado è immediatamente esecutiva.

Dal che consegue, secondo una parte della dottrina, che la sospensione dell'efficacia esecutiva costituisce l'eccezione al principio generale dettato dal legislatore all'art. 282 c.p.c. e, quindi, va interpretato restrittivamente.

Dopo la riforma del 2005 sono state superate le oscillazioni emerse sia in dottrina che in giurisprudenza sulla necessaria coesistenza dei due requisiti ed è stato affermato che pur sussistendo la fondatezza dei motivi, potrebbe non esistere un pregiudizio grave ed irreparabile.

Una parte della giurisprudenza si dimostra assai riottosa nella concessione della sospensione perché afferma che la valutazione del fumus si traduce in una valutazione anticipata del merito dell'impugnazione e anche quando esamina l'esistenza dei presupposti di legge precisa che la valutazione fatta è provvisoria, così facendo salva la possibilità di determinarsi diversamente al momento della decisione finale.

I giudici di merito hanno precisato che «leargomentazioni in fatto ed in diritto che l'appellante espone a sostegno del gravame non sono suscettibili di integrare il requisito dei "gravi motivi" richiesti dall'art. 283 c.p.c. per far luogo al provvedimento di sospensione, in quanto, dovendo considerarsi la delibazione che il giudice dell'impugnazione è chiamato a compiere, sull'istanza ex artt. 283-351 c.p.c., come accomunabile in senso ampio a quella compiuta in sede cautelare, il giudice non può anticipare la valutazione delle tesi difensive formulate dalle parti» (App. Napoli, 24 settembre 2015).

Nel testo dell'art. 283 c.p.c. è stato inserito l'aggettivo “fondati” con riferimento ai gravi motivi, così rendendo ancor più rigorosi i requisiti che il proponente deve allegare e provare e, nel contempo, imponendo al giudice dell'impugnazione una valutazione più pregnante della sussistenza di presupposti e ciò anche alla luce della non impugnazione del provvedimento del giudice.

Secondo una parte della dottrina si è voluto, in tal modo, introdurre sul piano fattuale, una limitazione al cosiddetto “effetto sospensivo” dell'appello dal quale scaturiva la proposizione del gravame ai soli fini di ottenere l'inibitoria.

Il legislatore, con tale modifica, è voluto intervenire sia sul requisito della fondatezza del gravame, sia sul pericolo nel ritardo, come emerge dalla espressa previsione della potenziale insolvenza come parametro tipico della fondatezza o meno dell'istanza inibitoria.

Il legislatore, è stato detto, ha voluto tutelare il soggetto che costretto al pagamento in virtù della sentenza esecutiva corra il rischio di non recuperare quanto corrisposta per l'impossidenza del soggetto della controparte (in dottrina si è parlato di “pericolo da infruttuosità”).

Sotto questo specifico profilo è stato precisato che in presenza di una curatela fallimentare, soggetto creditore, giammai può ritenersi sussistente detto pericolo, perché l'art. 113, comma 3, l. fall. prevede specificamente che le somme introitate dalla procedura in esecuzione di provvedimenti giudiziali provvisoriamente esecutivi vanno accantonate secondo le disposizioni date dal giudice delegato.

La valutazione che deve essere operata dal giudice, ai fini della concessione della inibitoria, attiene sia alla probabile fondatezza dell'appello, sia alla esistenza di una situazione di rischio in capo all'appellante che nelle more della decisione sul merito dell'impugnazione lo stesso possa subire il rischio di un danno ulteriore (rispetto a quella derivante dalla sola esecuzione della sentenza impugnata munita della clausola di provvisoria esecutività ai sensi dell'art. 282 c.p.c.).

La giurisprudenza di merito ha precisato che «i gravi motivi scaturenti, da una parte, dalla delibazione sommaria della fondatezza dell'impugnazione, e, dall'altra, dalla valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire (anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato) dall'esecuzione della sentenza, devono ricorrere entrambi. Ricorrenza che ha trovato ulteriore conferma a seguito delle modifiche apportate all'art. 283 c.p.c. dalla l. 28 dicembre 2005 n. 263 e poi dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 273 (conv. in l. 23 febbraio 2006, n. 51), ove il richiamo alla sussistenza di motivi "fondati" risulta giustificare una valutazione estesa al "merito" della decisione (dovendo quest'ultimo apprezzarsi sulla base di censure dotate appunto ed evidentemente di "fondatezza") accanto alla prognosi delle "conseguenze" ("gravi" e dunque da intendersi come pregiudizio – difficilmente emendabile – che la posizione dell'appellante potrebbe subire dall'esecuzione). La “fondatezza” dei motivi di gravame, dovendo esser esaminata in fase delibativa in modo necessariamente sommario, perché la si possa ravvisare (anche per la presunzione di legittimità che assiste le sentenze di primo grado, in quanto esecutive per legge), deve essere di assoluta ed immediata "evidenza" quanto a incongruità della sentenza impugnata. Quando non sia possibile apprezzare, come nel caso di specie, l'evidenza del fumus boni iuris di quanto lamentato dall'appellante né un serio pericolo di pregiudizi difficilmente emendabili per effetto dell'esecuzione, va ritenuta l'evidente infondatezza della domanda dell'appellante con condanna della parte istante alla sanzione pecuniaria di Euro 1.500,00 da versare in favore della Cassa delle ammende» (App. Ancona, 9 maggio 2017).

Ancora i giudici di merito hanno specificato che «i gravi motivi vanno individuati sia nel fumus, cioè nella rilevante probabilità della riforma della decisione appellata, a causa della manifesta erroneità delle statuizioni o per palesi errori logici o giuridici, individuati dai motivi di appello, sia nel periculum, cioè nel rischio che in conseguenza dell'esecuzione della sentenza il diritto controverso rimanga irrimediabilmente pregiudicato» (App. Venezia, 17 febbraio 2014).

Sui gravi motivi i Giudici di legittimità hanno specificamente affermato che «la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado che il giudice d'appello, ai sensi dell'art. 283 c.p.c., nel testo novellato dalla l. n. 353/1990 può disporre in presenza di «gravi motivi» è rimessa ad una valutazione globale d'opportunità, poiché tali motivi consistono per un verso nella delibazione sommaria della fondatezza dell'impugnazione e per altro verso nella valutazione del pregiudizio patrimoniale che il soccombente può subire (anche in relazione alla difficoltà di ottenere eventualmente la restituzione di quanto pagato) dall'esecuzione della sentenza, che può essere inibita anche parzialmente se i capi della sentenza sono separati. Ne consegue che il potere discrezionale riconosciuto al giudice d'appello dagli artt. 283 e 351 c.p.c. dopo la suddetta novella è più ampio di quello riconosciuto al medesimo giudice con riferimento alla sentenza impugnata con ricorso per Cassazione ovvero alla sentenza di primo grado favorevole al lavoratore o a quella di condanna relativa a rapporti di locazione, comodato e affitto d'immobili, per la sospensione dell'esecutività delle quali è rispettivamente richiesta l'esistenza di un “grave e irreparabile danno” ovvero di un “gravissimo danno”» (Cass. civ., sent., n.4060/2005).

La giurisprudenza di merito, in un'ottica sostanzialistica ha concesso la cautela anche prescindendo dalla sussistenza del fumus e fondandola sulla sola valutazione dell'irreparabilità del danno e sulla mancanza di particolare vantaggio dall'altra.

Così la Corte d'appello di Venezia, nell'ordinanza 10 novembre 2010, ha affermato che «rilevato che a prescindere dalla fondatezza del fumus, tenuto conto delle contrapposte esigenze delle parti da valutare unitamente alla peculiarità della attività svolta dalla appellata, pare opportuno disporre la sospensione dell' efficacia esecutiva della sentenza in esame».

Circa il periculum in mora la giurisprudenza di merito ha evidenziato che «l'appellante che intenda conseguire l'inibitoria dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, è tenuto ad allegare e provare la sussistenza di elementi oggettivi idonei a dimostrare la ricorrenza, nel caso di specie, dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Tale ultimo requisito, in particolare, non può dirsi integrato dalle conseguenze connesse alla esecuzione forzata della decisione appellata, dovendo invece l'appellante dedurre e dimostrare che egli, dall'esecuzione della decisione in questione, subirebbe oggettivamente effetti negativi ulteriori e ben più gravi che non queste ultime, a maggiore ragione nel caso in cui la condanna di cui sia stato destinatario risulti di contenuto ammontare, ipotesi in cui è da escludersi, in ogni caso, un eventuale pericolo nel ritardo, di guisa che ove l'appellante non abbia allegato e provato la sussistenza dei richiamati elementi oggettivi, la relativa istanza deve essere rigettata» (App. Napoli, 24 settembre 2015).

Il procedimento

La cosiddetta “inibitoria processuale” è regolata dagli artt. 283 e 351 c.p.c..

La parte che vuole presentare la richiesta di sospensione delle provvisoria esecutività della decisione di primo grado può formulare l'istanza nell'atto di gravame e in questo caso il giudice provvede nella prima udienza con ordinanza non impugnabile, oppure con atto diverso da quello di appello, anche se comunque funzionalmente collegato a quest'ultimo.

La giurisprudenza di merito ha affermato che «l'istanza di sospensione (cd. inibitoria) dell'efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, proposta ai sensi dell'art. 283 c.p.c., non richiede a pena di inammissibilità l'espressa formulazione di specifici motivi nell'atto di citazione in appello, potendo questi essere esposti anche nel successivo ricorso ex art. 351 c.p.c. (App. Milano, 23 ottobre 2013).

La Corte di cassazione ha precisato che «poiché ai sensi dell'art. 283 c.p.c. riformato, l'istanza diretta ad ottenere la sospensione, in tutto o in parte, dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza di primo grado deve essere proposta con l'impugnazione principale o incidentale, la decisione di inammissibilità dell'appello (nel caso di specie, appello con riserva dei motivi) fa venir meno anche gli effetti» (Cass. civ.,sent., n. 13617/2004).

L'art. 351, comma 2, c.p.c. prevede che l'appellante può, con ricorso al giudice (che nel caso di Corte di appello è il Presidente del collegio), chiedere che la decisione sulla sospensione sia pronunciata prima dell'udienza di comparizione.

In questo caso, il Presidente del collegio o il tribunale, con decreto in calce al ricorso, ordina la comparizione delle parti in camera di consiglio, rispettivamente, davanti al collegio o davanti a sé e, se ricorrono giusti motivi di urgenza, con lo stesso decreto, può disporre provvisoriamente l'immediata sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza; in tal caso, all'udienza in camera di consiglio il collegio o il tribunale, conferma, modifica o revoca il decreto con ordinanza non impugnabile.

La prima udienza, quindi, costituisce il termine ultimo entro il quale il giudice deve pronunciarsi sull'istanza di sospensione.

Si è posto il problema della impugnabilità o meno dell'ordinanza di sospensione, fatta eccezione per l'ultimo comma dell'art. 351 c.p.c. che dichiara espressamente non impugnabile l'ordinanzacon cui il collegio conferma, modifica o revoca il decretodi sospensione emesso in via d'urgenza.

L'opinione maggioritaria è nel senso che, attesa l'identità di ratio sottesa ad entrambi i provvedimenti anche l'ordinanza in esame sia non impugnabile, né revocabile o modificabile dallo stesso collegio.

Come si è visto l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata, formulata ai sensi dell'art. 283 c.p.c., dà inizio ad un subprocedimento incidentale, privo di autonomia rispetto al giudizio di merito.

I Giudici di legittimità da tale assunto hanno fatto discendere il corollario che la regolamentazione delle spese relative a detto subprocedimento incidentale «deve essere disposta, al pari di quella concernente le spese del procedimento principale, con il provvedimento che chiude quest'ultimo, tenendo conto del suo esito complessivo. Pertanto, ove la sentenza impugnata sia stata riformata in toto dal giudice d'appello, la liquidazione delle spese relative a tale subprocedimento non può essere esclusa sul presupposto che l'istanza di sospensione fosse stata, medio tempore, rigettata» (Cass. civ., sent., n. 2671/2013).

Il giudice di appello deve pronunciare sull'istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado proposta ai sensi dell'art. 283 c.p.c. alla prima udienza o, al più tardi, prima della precisazione delle conclusioni, onde, qualora il relativo provvedimento sia emesso con la sentenza che definisce il giudizio di appello, esso deve considerarsi inutile in quanto tale sentenza, per il suo carattere sostitutivo ed assorbente, rimuove la sentenza di primo grado, prendendone il posto.

Ove, tuttavia, la pronuncia sia data, la stessa non è ricorribile per cassazione neanche a norma dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento di natura processuale con contenuto non decisorio (Cass.civ., sent., 13 marzo 2007, n. 5829).

Natura, oggetto ed effetti del provvedimento di inibitoria

La giurisprudenza di legittimità è concorde nell'affermare che il provvedimento di sospensione emesso ai sensi dell'art. 283 c.p.c. abbia natura cautelare.

Più specificamente i Giudici di legittimità hanno evidenziato che «l'ordinanza, emessa ai sensi dell'art. 283 c.p.c., con la quale venga accolta la istanza di sospensione della efficacia della sentenza di primo grado, ha carattere provvisorio e cautelare; essa, pertanto, non pregiudica in nessun caso la decisione definitiva sull'appello, fondata sulla piena cognizione di tutte le acquisizioni processuali» (Cass. civ., sent., n. 4299/2005; Cass.civ., sent., n. 4024/2007).

L'oggetto del provvedimento richiesto al giudice di appello riguarda sia l'efficacia esecutiva provvisoria della sentenza (che ai sensi dell'art. 282 c.p.c. viene attribuita a tutte le decisioni di primo grado), sia un'esecuzione già iniziata (ed anche i singoli atti esecutivi posti in essere).

É stata ritenuta ammissibile la proposizione di entrambe le richieste, così come è stata ritenuta possibile anche una sospensione parziale (secondo una certa dottrina, tuttavia, soltanto se i capi della sentenza siano separati).

Con riguardo agli effetti e ai rapporti esistenti tra sospensione della esecutività provvisoria del titolo e processo esecutivo iniziato sulla base dello stesso titolo, bisogna avere riguardo al momento temporale in cui viene emesso il provvedimento di inibitoria.

Se l'inibitoria è disposta prima dell'inizio dell'esecuzione l'effetto è quello della preclusione di qualsiasi azione esecutiva.

Se l'inibitoria è disposta dopo l'inizio dell'esecuzione, si impone la sospensione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 623 c.p.c., restando legittimi tutti gli atti di esecuzione già compiuti.

La Cassazione, al riguardo, ha specificato che «l'ordinanza di sospensione dell'esecutività di un titolo rende priva di idoneo fondamento la procedura esecutiva su di esso originariamente basata e, quindi, tutti gli atti emessi nel suo corso, fin dalle ore zero del giorno in cui l'ordinanza stessa è stata pubblicata» (Cass. civ., ord., n. 24637/2014).

Nell'ulteriore ipotesi in cui l'appellante debitore abbia proposto opposizione avverso l'azione esecutiva intrapresa dall'appellato creditore, l'inibitoria nel frattempo disposta dal giudice non ha alcuna rilevanza sull'oggetto del giudizio di opposizione, mentre assume fondamento nel processo esecutivo, dove il giudice dell'esecuzione può disporre la sospensione dell'esecuzione (Cass. civ., sent., n. 18512/2007).

I Giudici di legittimità hanno affermato che «il giudice dell'esecuzione può sospendere la procedura esecutiva ex art. 624 c.p.c. anche nell'ipotesi di sospensione dell'esecutività del titolo giudiziale, nonostante ciò possa costituire il presupposto di una sospensione deformalizzata ex art. 623 c.p.c., sicché le parti interessate, ove non impugnino l'ordinanza nelle forme previste dall'art. 624 c.p.c., sono tenute ad instaurare tempestivamente il giudizio di merito, producendosi, in mancanza, la stabilizzazione del provvedimento e l'estinzione del processo esecutivo ai sensi del terzo comma della medesima norma» (Cass. civ., sent., n. 7364/2015).

Ricorso per cassazione e provvedimento di inibitoria

I Giudici di legittimità hanno affermato che «è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento con il quale il giudice di appello nega la propria competenza funzionale sull'istanza di revoca della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado e rimette gli atti al Presidente, - sul presupposto dell'inapplicabilità dell'art. 351 c.p.c. nel testo novellato dalla l. 26 novembre 1990 n. 353 - perché la natura ordinatoria e cautelare di esso, destinato ad esser assorbito dalla sentenza conclusiva del giudizio, ne determina l'inidoneità ad incidere su diritti soggettivi con efficacia di giudicato, senza che rilevi in contrario la circostanza che il provvedimento si sia limitato ad affrontare questioni pregiudiziali, quali quella della devoluzione dell'istanza all'uno o all'altro organo dello stesso ufficio» (Cass. civ., sent., n. 564/1998).

La circostanza che l'art. 351, comma 1, c.p.c., statuisce che l'ordinanza non sia impugnabile porta a ritenere che non sia esperibile il ricorso straordinario in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost..

Parimenti si ritiene , ma è controverso, che l'ordinanza in esame non sia reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c..

Alcuni autori hanno affermato che proprio la natura cautelare del provvedimento di sospensione renda possibile il rimedio del reclamo, rilevando anche profili di illegittimità costituzionale degli artt. 283-351 c.p.c. in relazione al diritto di difesa, al diritto di uguaglianza e al diritto del giusto processo di cui all'art. 111 Cost..

In conclusione

L'istituto giuridico in esame, oggetto di interventi normativi di modifica, non ha avuto un'interpretazione lineare sia nell'ambito dottrinario, che in quello giurisprudenziale.

Si tratta chiaramente di un mezzo di tutela dell'appellante debitore, avente natura cautelare, previsto al fine di evitare che questi possa essere costretto ad ottemperare, senza poi riuscire a recuperare quanto corrisposto.

La valutazione del giudice, che deve tradursi in una motivazione attenta e puntuale, ha ad oggetto sia la fondatezza dell'appello, sia (per l'appunto) il rischio che il debitore possa subire nelle more del giudizio anche un danno ulteriore danno rispetto a quello derivante dall'esecuzione della sentenza impugnata.

Particolare attenzione meritano, in tale contesto, i profili di inammissibilità e di manifesta infondatezza delle istanze di inibitoria presentate.

La sanzione prevista, proprio al fine specifico di evitare il ricorso a richieste aventi fini meramente dilatori e in un'ottica specificamente dilatoria, ha natura pubblicistica e il destinatario è l'amministrazione della giustizia.

Il procedimento è duplice poiché la richiesta può essere presentata nell'atto di appello o con atto separato; ha carattere incidentale e non ha carattere autonomo rispetto al giudizio di merito.

Il ricorso per cassazione non è stato ritenuto rimedio esperibile in ragione dell'espressa previsione della non impugnabilità contenuta nell'art. 351, comma 1, c.p.c. e in ordine al rapporto tra provvedimento di sospensione e processo esecutivo è pacifico che il giudice dell'esecuzione non può portare avanti l'esecuzione ove iniziata, pur rimanendo validi gli atti di esecuzioni già attuati.

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