Inadempimento deontologicamente rilevante e violazione del dovere di diligenza

Claudia Blu
03 Luglio 2018

La tematica giuridica che la decisione in oggetto affronta è se costituisce inadempimento deontologicamente rilevante il comportamento dell'avvocato che trattiene indebitamente i soldi che il cliente gli consegna per conseguire una transazione e, ancor prima, il comportamento del legale che si costituisce tardivamente e così facendo legittima la pronuncia del tribunale di improcedibilità dell'opposizione proposta.
Massima

Costituisce inadempimento deontologicamente rilevante e violazione del dovere di diligenza il comportamento dell'avvocato che trattenga indebitamente somme percepite dal cliente e che proponga opposizione a decreto ingiuntivo assegnando al convenuto opposto un termine a comparire inferiore a novanta giorni e non si costituisca nel termine dimezzato di cinque giorni, con la conseguente dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione.

Il caso

Un signore si era rivolto all'avvocato ricorrente in Cassazione, conferendogli formale mandato, per promuovere un giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo contro una società di Bologna, che aveva agito nei suoi confronti in sede monitoria, assumendo di essere creditrice, in esecuzione di un contratto di compravendita, per la somma di euro 9.961,30 oltre accessori.

Dopo circa due anni dal conferimento dell'incarico, il cliente, che aveva poi presentato un esposto al Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Bari, aveva saputo che il tribunale di Bari in data 7 marzo 2012, aveva dichiarato improcedibile l'opposizione per la tradiva costituzione dell'opponente.

Inoltre, il cliente, al fine di definire in via transattiva la vicenda, consegnava all'avvocato la complessiva somma di euro 9.300,00, ma contattata personalmente la società creditrice apprendeva che questa aveva ricevuto dall'avvocato soltanto la somma di euro 5.300,00.

L'avvocato ricorrente, in data 29 gennaio 2014, in seguito alle rimostranze del cliente, rilasciava una dichiarazione, nella quale ammetteva di avere ricevuto in contanti ed in assegni la somma complessiva di Euro 9.300,00 da lui stesso inviata alla legale della società creditrice, con questo estinguendo il debito.

Il cliente aveva saputo che l'avvocato aveva inviato il 21 gennaio 2014 al legale della società creditrice un fax nel quale, richiamando l'avere versato fino a quel momento la somma di euro 5.300,00 chiedeva a nome del suo cliente di poter transigere la vertenza attraverso il versamento in unica soluzione di 6.500,00 euro.

La questione

La tematica giuridica che la decisione in oggetto affronta è se costituisce inadempimento deontologicamente rilevante il comportamento dell'avvocato che trattiene indebitamente i soldi che il cliente gli consegna per conseguire una transazione e, ancor prima, il comportamento del legale che si costituisce tardivamente e così facendo legittima la pronuncia del Tribunale di improcedibilità dell'opposizione proposta

Le soluzioni giuridiche

Il Consiglio nazionale forense ha rigettato il ricorso proposto dall'avvocato rilevando l'assoluta genericità dei motivi e ritenendo congruamente motivata sull'accertamento dei fatti la decisione del Consiglio dell'Ordine di Bari.

Nello specifico, il Consiglio dell'Ordine di Bari aveva ritenuto sussistenti entrambe le incolpazioni mosse all'avvocato ricorrente.

Da un lato, la costituzione tardiva nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo, dal quale era conseguita l'improcedibilità del ricorso. Dall'altro, la ricezione delle somme necessarie per estinguere il debito e il mancato versamento delle stesse ad estinzione del debito in esecuzione dell'incarico ricevuto dal cliente.

In seguito all'esposto presentato dal cliente il 18 febbraio 2014, come già detto, e in assenza dei chiarimenti richiesti, il Consiglio dell'Ordine degli avvocati formulava il capo di imputazione contestando all'avvocato ricorrente:

a) di essersi tardivamente costituito nell'interesse del suo cliente nel giudizio di opposizione promosso dinanzi al tribunale di Bari avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore della società creditrice, così pregiudicando l'esito della lite;

b) di essersi trattenuto indebitamente per sé la complessiva somma di euro 4.000,00 corrispostagli, in contanti e mediante assegni postali, dal cliente al fine di eseguire gli accordi transattivi raggiunti con la società creditrice dopo la definizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Il Consiglio dell'Ordine degli avvocati contestava, con riguardo alla prima condotta, la violazione dei generali doveri di probità, dignità, decoro, lealtà, correttezza e diligenza di cui agli artt. 5, 6 e 8 del Codice Deontologico, nonché il dovere specifico imposto dall'art. 38 stesso Codice e in relazione alla seconda condotta i generali doveri di probità, dignità, decoro, lealtà, correttezza, fedeltà e diligenza di cui agli artt. 5, 6, 7 e 8 del Codice Deontologico, nonché il dovere specifico imposto dall'art. 41 stesso Codice (nel nuovo Codice Deontologico artt. 9, 10, 12, 26 e 30).

All'esito del dibattimento, acquisita la sentenza che dichiarava l'improcedibilità dell'opposizione per la tardiva costituzione dell'opponente e le comunicazioni avvenute tra il legale e la società creditrice, riteneva sussistenti gli illeciti disciplinari contestati e comminava la sanzione della sospensione per un anno dall'esercizio della professione forense.

Osservazioni

Il Consiglio Nazionale Forense ha ritenuto sussistere la violazione degli artt. 9 (Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza), 10 (Dovere di fedeltà), 12 (Dovere di diligenza), 26 (Adempimento del mandato) e 30 (Gestione del denaro altrui) del Nuovo Codice Deontologico.

É utile premettere che nella materia disciplinare forense non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale e che, di conseguenza in tale ambito non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l'enunciazione dei doveri fondamentali, tra cui, per l'appunto, quelli di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza, fedeltà e diligenza, ai quali l'avvocato deve improntare la propria attività (Cass. civ., Sez. Un., sent., 16 dicembre 2013, n. 27996).

Per quel che rileva in questa sede, va evidenziato che l'art. 9 prevede che l'avvocato deve esercitare l'attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, anche al di fuori dell'attività professionale; a norma dell'art. 10 l'avvocato deve adempiere in modo fedele al mandato che riceve, svolgendo la propria attività a tutela dell'interesse della parte assistita; l'art. 12 disciplina il dovere dell'avvocato di esercitare la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale; l'art. 26 afferma il principio della competenza dell'avvocato, il quale accettando l'incarico fa presupporre che abbia la competenza a svolgerlo e l'art. 30 specifica che l'avvocato deve gestire con diligenza il denaro ricevuto dalla parte assistita o nell'interesse della parte assistita e deve renderne conto sollecitamente.

La sentenza del Consiglio Nazionale Forense si pone in linea con l'orientamento consolidato secondo cui la professione forense implica, per sua natura, l'impiego di una seria diligenza.

Più in particolare, nell'attività professionale dell'avvocato, l'inadempimento del professionista deve essere considerato con riguardo ai doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale e, nello specifico, al dovere di diligenza che affonda le proprie radici nel criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, fissato dell'art. 1176, comma 2, c.c. il quale deve essere commisurato alla natura della professione esercitata e dunque alla diligenza media che il professionista deve applicare nello svolgimento della propria attività (Cass. civ., sent., 29 settembre 2009, n. 20828).

Ciò conformemente al principio che le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo (Cass. civ., sent., 18 giugno 1996, n. 5617).

La violazione del dovere di diligenza comporta inadempimento contrattuale, del quale il professionista è chiamato a rispondere anche per la colpa lieve (salvo che nel caso in cui, a norma dell'art. 2236 c.c., la prestazione dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà), e, in applicazione del principio di cui all'art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso (Cass. civ., sent., 23 aprile 2002, n. 5928).

I Giudici di legittimità hanno affermato che l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del proprio cliente, ai sensi degli artt. 2236 e 1176 c.c., in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui, per negligenza o imperizia, compromette il buon esito del giudizio, mentre nelle ipotesi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve ritenersi esclusa la sua responsabilità, a meno che non risulti che abbia agito con dolo o colpa grave (Cass. civ., sent., 11 agosto 2005, n. 16846).

Ed ancora, la Corte di cassazione ha evidenziato che in tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato, la coscienza e volontà consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione, per cui vi è una presunzione di colpa per l'atto sconveniente o vietato a carico di chi lo abbia commesso, il quale deve dimostrare l'errore inevitabile, cioè non superabile con l'uso della normale diligenza, oppure la sussistenza di una causa esterna, mentre non è configurabile l'imperizia incolpevole, trattandosi di professionista legale tenuto a conoscere il sistema delle fonti (Cass. civ., Sez. Un., 29 maggio 2017, n. 13456).

I Giudici di legittimità hanno, altresì, osservato che l'eccezione d'inadempimento, ex art. 1460 c.c., può essere opposta dal cliente all'avvocato che abbia violato l'obbligo di diligenza professionale, purché la negligenza sia idonea a incidere sugli interessi del primo, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole del giudizio ed essendo contrario a buona fede l'esercizio del potere di autotutela ove la negligenza nell'attività difensiva, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato la "chance" di vittoria (Cass. civ., sent., 15 dicembre 2016, n. 25894).

In applicazione dei principi suesposti il Consiglio Nazionale Forense e prima ancora il Consiglio dell'Ordine degli avvocati hanno ritenuto configurate, con motivazioni condivisibili, le condotte disciplinari contestate al legale e hanno applicato la sanzione della sospensione dall'esercizio professionale per la durata di anni uno.

Ed invero, ciò costituisce esplicazione della potestà sanzionatoria e regolamentare riconosciuta nell'ambito degli illeciti disciplinari agli organi competenti, il cui corollario prescrive agli avvocati, nell'esercizio della loro professione, di uniformarsi ai principi e alle norme comportamentali contenuti nel codice, non solo nei rapporti con la controparte e con gli altri professionisti, ma anche nei rapporti con il cliente.

Guida all'approfondimento
  • L. Laperuta, Compendio di ordinamento e deontologia forense, Bologna, 2016;
  • R. Danovi, Ordinamento forense e deontologia, Giuffrè, 2018.

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