Omissione di tempestiva diagnosi: in conseguenza della condotta colposa del medico, ai congiunti spetta il risarcimento

Redazione Scientifica
04 Luglio 2018

Si rinviene l'esistenza di un danno risarcibile alla persona ove risulti che, per effetto di una tardiva diagnosi d'infarto sia andata perduta dal paziente la possibilità di sopravvivenza per alcune settimane od alcuni mesi, o comunque per un periodo limitato, in più rispetto al periodo temporale effettivamente vissuto.

IL CASO Un uomo si reca al pronto soccorso in preda a dolori retrosternali acuti, ma viene rimandato a casa con una semplice diagnosi di nevralgia. Il giorno seguente, un esame elettrocardiografico rileva la presenza di un infarto acuto e gli viene pertanto prescritto un ricovero d'urgenza; l'uomo, però, muore poco dopo. I congiunti del danneggiato si rivolgono dunque al Tribunale di Cagliari per ottenere dalla USL e dal medico del pronto soccorso il risarcimento dei danni patiti. Il Giudice di prime cure accoglie la domanda e dispone il risarcimento ma la Corte d'appello, successivamente adita, rigetta la domanda risarcitoria ritenendo che, nonostante nel comportamento del sanitario fosse possibile rinvenire sia negligenza che imperizia, per non aver disposto il ricovero immediato del paziente, la sua prospettiva di vita, in termini di probabilità statistica, non poteva essere superiore ad alcuni mesi, 12 secondo l'ipotesi più favorevole, 3 secondo quella più nefasta. I congiunti del danneggiato ricorrono dunque in Cassazione.

CONDOTTA COLPOSA DEL MEDICO In particolare, con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. sostenendo che due delle tre cause che avrebbero determinato il decesso del congiunto, ossia la fibrillazione ventricolare e l'asistolia, se prontamente riconosciute avrebbero potuto essere trattate con buone probabilità di successo e che la chance di vita era state tranciata dalla condotta colposa del medico.

RIDUZIONE E PEGGIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA MINOR VITA Secondo la Cassazione il caso di specie integra la fattispecie in cui la condotta colpevole del medico non ha cagionato la morte del paziente ma una significativa riduzione della sua vita, oltre ad un peggioramento della qualità della stessa per tutta la sua minor durata. Il medico dovrà quindi rispondere del danno di minor durata della vita, ritenendo certo o altamente probabile come conseguenza del suo comportamento l'incremento delle sofferenze psichiche e spirituali del danneggiato.

PRINCIPIO DI DIRITTO La Suprema Corte ritiene fondato il motivo, rinvia gli atti alla corte d'appello in diversa composizione enunciando il principio di diritto a cui il giudice di merito dovrà attenersi: «determina l'esistenza di un danno risarcibile alla persona l'omissione di un processo morboso terminale ove risulti che, per effetto dell'omissione, sia andata perduta dal paziente la possibilità di sopravvivenza per alcune settimane od alcuni mesi, o comunque per un periodo limitato, in più rispetto al periodo temporale effettivamente vissuto».

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