Erronea denominazione sociale del creditore nell’atto di pignoramento e incidenza nel processo esecutivo
05 Luglio 2018
Massima
L'erronea indicazione della forma sociale del creditore riportata nell'atto di pignoramento non incide sulla regolarità del processo esecutivo qualora non abbia ingenerato incertezze sull'esatta identificazione della società creditrice. Il caso
Il debitore ha proposto opposizione ex art. 615 c.p.c. avverso l'ordinanza che autorizzava la messa in vendita dell'impianto pignorato e chiesto la sospensione dell'esecuzione, deducendo: a) il difetto di legittimazione in capo alla società creditrice che aveva modificato la propria denominazione; e b) l'illegittima messa in vendita dell'impianto pignorato, in quanto lo stimatore non avrebbe accertato la capacità di funzionamento degli impianti, accertamento di cui era stato espressamente incaricato dal giudice dell'esecuzione al momento della nomina, nonché l'erroneità e carenza delle conclusioni dello stimatore e l'illegittimità del provvedimento giudiziale di recepimento delle medesime nel porre in vendita il complesso dei beni pignorati. Il giudice dell'esecuzione ha ritenuto infondati i motivi di opposizione e, conseguentemente, rigettato l'istanza di sospensione. Il debitore ha così reclamato, ai sensi degli artt. 624 e 669-terdecies c.p.c., davanti al tribunale di Benevento, la decisione del giudice dell'esecuzione. La questione
In applicazione del principio della ragione più liquida (cfr. Cass. civ., 28 maggio 2014, n. 12002), il Collegio ha esaminato nel merito i motivi di opposizione sollevati dal debitore, indipendentemente dalle contestazioni preliminari mosse dal creditore; ciò perché i primi sono risultati idonei a decidere (recte: rigettare) il reclamo ed a confermare la legittimità del provvedimento di autorizzazione a vendita adottato dal giudice dell'esecuzione. Le soluzioni giuridiche
Per una corretta disamina dei motivi di opposizione che avrebbero dovuto, a dire del debitore, giustificare la sospensione dell'esecuzione, occorre soffermarsi in prima battuta sul cd. difetto di legittimazione attiva del creditore che sarebbe soggetto diverso dal creditore individuato nel titolo, e non più esistente dal 2011. Diverse sono le ragioni che hanno condotto il Collegio a ritenere infondata tale doglianza. La prima. Dal fascicolo dell'esecuzione risulta che, nonostante l'erronea indicazione, nell'atto di pignoramento della forma societaria (s.p.a. in luogo di s.r.l.) è pacifico tra le parti che il creditore procedente fosse proprio la omissis s.r.l., come è agevole desumere dagli atti della debitrice che ha espressamente indicato quale creditore procedente la omissis s.r.l. (cfr. Cass. civ., 4 maggio 2012, n. 6803, nel senso che l'erronea indicazione della forma sociale nell'atto di costituzione in giudizio della società non incide sulla validità dell'atto di costituzione, salvo il caso in cui abbia ingenerato incertezza sulla esatta identificazione della società). É inoltre, pacifico, che il titolo esecutivo, costituito da una sentenza del tribunale di Milano confermata in appello, è stato correttamente emesso a favore del creditore, individuato attraverso la corretta denominazione e forma sociale. La seconda. Il Collegio correttamente ha recepito un consolidato principio in forza del quale la trasformazione della società comporta il mero mutamento formale di una organizzazione societaria preesistente, ma non la creazione di un nuovo ente, diverso dal vecchio, «sì che l'ente trasformato non si estingue per rinascere sotto altra forma, né dà luogo a un nuovo centro di imputazione di rapporti giuridici, ma sopravvive alla vicenda modificativa senza soluzione di continuità e senza perdere la identità soggettiva» (così Cass. civ., 12 novembre 2003, n. 17066 che richiama altresì Cass. civ., 30 luglio 1992, n. 9124 e Cass. civ., 25 marzo 1992, n. 3713). In questo stato di cose si può affermare che l'indicazione nell'atto di pignoramento della vecchia denominazione sociale della società non può equipararsi all'introduzione della procedura espropriativa ad opera di un soggetto diverso dal titolare del credito, trattandosi di un mero errore materiale, che non ha determinato alcuna incertezza in ordine all'individuazione del creditore procedente. Anche il (diverso) motivo di opposizione, in materia di violazioni ed irregolarità commesse dallo stimatore non sembra giustificare la sospensione della procedura. Si tratta, a ben guardare, di una doglianza che integra un'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c., posto che attiene all'illegittimità della relazione di stima e del provvedimento giudiziale che l'ha recepita, e non al diritto di procedere in via esecutiva sui beni dell'esecutato. Ed infatti nella ordinanza in commento si precisa che l'illegittimità delle conclusioni raggiunte dallo stimatore, avrebbero dovuto essere contestate, ex art. 617 c.p.c., nei venti giorni dalla comunicazione del provvedimento che autorizzava la vendita ordinanza. Da qui la tardività del suddetto motivo di opposizione. Osservazioni
La decisione del tribunale di Benevento sembra corretta e merita di essere condivisa. Alle considerazioni già illustrate va aggiunto che proprio per evitare dilazioni e lungaggini la giurisprudenza, con il consenso della dottrina, tende ad esaltare la barriera preclusiva posta dagli artt. 569 e 617 c.p.c.. Per questa ragione costituisce ormai ius receptum il principio che è inammissibile l'opposizione fondata su contestazioni relative all'ordinanza di vendita che tendono a riaprire la fase autorizzativa; ciò in quanto i vizi del provvedimento ex art. 569 c.p.c. devono formare oggetto di opposizione agli atti esecutivi nel termine perentorio prescritto dall'art. 617 c.p.c., appartenendo ad una sequenza procedimentale precedente a quella della vendita stessa. |