Specificità della contestazione disciplinare e diritto di difesa del lavoratore

Luigi Di Paola
06 Luglio 2018

La previa contestazione dell'addebito, necessaria nei licenziamenti qualificabili come disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l'immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificità, che è integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli artt. 2104 e 2105 c.c.; per ritenere integrata la violazione del principio di specificità è necessario che si sia verificata una concreta lesione del diritto di difesa del lavoratore e la difesa esercitata in sede di giustificazioni è un elemento concretamente valutabile per ritenere provata la non genericità della contestazione.
Il caso.

Un lavoratore impugna il licenziamento intimatogli per giusta causa adducendo la genericità della contestazione disciplinare (formulata nei seguenti termini: “attività extralavorativa in pendenza di malattia” nei giorni 28 e 29 aprile, 12 e 13 maggio, 18 giugno 2009). La S.C. ritiene soddisfatto il requisito della specificità, rilevando, tra l'altro, che le giustificazioni rese nell'immediatezza dal lavoratore medesimo erano state puntuali e finalizzate a privare di rilevanza disciplinare la condotta.

La questione.

La questione in esame è la seguente: quando può dirsi rispettato (o, al contrario, violato) il principio di specificità della contestazione disciplinare?

Le soluzioni giuridiche.

La risposta contenuta nella sentenza in commento può così sintetizzarsi: la contestazione disciplinare può considerarsi specifica quando – pur nella elasticità della formulazione dell'addebito – non impedisce, in concreto, l'esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore; il che può evincersi dalle stesse giustificazioni rese da quest'ultimo in sede di procedimento disciplinare (nello stesso senso v. Cass. 5 luglio 2013, n. 16831, che, in relazione ad una contestazione dell'addebito riferita a numerosi episodi, già oggetto di procedimenti giudiziari per sanzioni conservative ed altri fatti di gravi intemperanze verbali o di provocazione, integranti inosservanza dei doveri di diligente e leale collaborazione, ha ritenuto non necessaria l'indicazione anche del giorno e dell'ora in cui gli stessi fatti sono stati commessi, ove l'incolpato abbia potuto esercitare utilmente il diritto di difesa; v., altresì, Cass. 21 aprile 2005, n. 8303, che ha considerato specifica la contestazione con cui è stato addebitato al lavoratore di essersi reso autore di ingiurie e minacce, benché mancasse la precisazione del contenuto delle frasi).

In una sentenza del pari recente, la S.C. (Cass. 20 marzo 2018, n. 6889) ha precisato che “nell'apprezzare la sussistenza del requisito della specificità della contestazione il giudice di merito deve verificare, al di fuori di schemi rigidi e prestabiliti, se la contestazione offre le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati tenuto conto del loro contesto e verificare altresì se la mancata precisazione di alcuni elementi di fatto abbia determinato un'insuperabile incertezza nell'individuazione dei comportamenti imputati, tale da pregiudicare in concreto il diritto di difesa” (nella specie è stato demandato al giudice di rinvio di accertare se nonostante la descrizione in dettaglio della condotta addebitata, la mancata indicazione dei nominativi di tutte le colleghe molestate dall'incolpato - di cui una era stata indicata con le iniziali nella lettera di contestazione - avesse effettivamente determinato un'insuperabile incertezza nell'individuazione dei comportamenti imputati, tale da pregiudicare in concreto il diritto del lavoratore a difendersi). Analogamente è stato affermato (v. Cass. 14 giugno 2013, n. 15006) che “l'errata indicazione del giorno in cui sarebbe stato commesso il fatto addebitato assume un valore decisivo ai fini della correttezza della contestazione poiché pregiudica il diritto alla prova spettante all'incolpato” (nella specie, relativa ad una condotta avvenuta nottetempo, l'identificazione esatta del giorno assumeva rilievo ai fini della prova di non essere stato nei luoghi dell'illecito).

Sempre in un'ottica di salvaguardia del diritto di difesa, è stato puntualizzato (cfr. Cass. 27 marzo 2018, n. 7581), che “il datore di lavoro, pur non essendovi obbligato dall'art. 7 st. lav., è tenuto a offrire in consultazione al lavoratore incolpato i documenti aziendali laddove l'esame degli stessi sia necessario al fine di consentirgli un'adeguata difesa, in base ai principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, indipendentemente dalla comprensibilità dell'addebito”.

Resta ferma (v., per tutte, Cass. 6 dicembre 2017, n. 29240) la ammissibilità della contestazione “per relationem”.

Osservazioni.

La S.C. valorizza, al fine di valutare l'eventuale genericità della contestazione, il pregiudizio in concreto subito dal lavoratore per non aver egli potuto esercitare il proprio diritto di difesa.

Se, quindi, a fronte di una contestazione generica, il lavoratore medesimo riesce, nell'ambito del procedimento disciplinare, a difendersi adeguatamente - avendo anche solo intuito le ragioni dell'iniziativa datoriale -, la violazione non dovrebbe ritenersi sussistente.

Si tratta però di stabilire se quanto detto possa affermarsi anche in relazione ad una contestazione a tal punto generica da equivalere al nulla (ad esempio: “le contestiamo di aver commesso molteplici infrazioni”).

Il tema è delicato, perché, da un lato, vi è il rischio che il contenuto della contestazione debba ricavarsi, in via esclusiva, dalle difese svolte dal lavoratore; e potrebbe non essere agevole per il giudice stabilire, effettivamente, se la difesa sia stata esercitata in modo congruo.

Dall'altro, la mancata difesa del prestatore, in tali casi, potrebbe rivelarsi arma vincente, poiché l'omissione datoriale è insuscettibile di essere, per così dire, sanata; e il profilo non è per nulla trascurabile, poiché, per la S.C., l'omessa contestazione - cui dovrebbe essere riconducibile la contestazione generica che non consente di apprezzare il fatto - dà luogo alla tutela reintegratoria “attenuata” di cui all'art. 18, comma 4, st. lav. (cfr. Cass. n. 25745 del 2016: “il radicale difetto di contestazione dell'infrazione determina l'inesistenza dell'intero procedimento, e non solo l'inosservanza delle norme che lo disciplinano, con conseguente applicazione della tutela reintegratoria, di cui al comma 4 dell'art. 18, l. n. 300 del 1970, come modificato dalla l. n. 92 del 2012, richiamata dal comma 6 del predetto articolo per il caso di difetto assoluto di giustificazione del provvedimento espulsivo, tale dovendosi ritenere un licenziamento disciplinare adottato senza alcuna contestazione di addebito”).

Va altresì detto che tale ultimo indirizzo sembra attualmente non perfettamente compatibile con la recente presa di posizione delle Sezioni Unite (v. Cass. n. 30985 del 2017) sulla questione della tempestività della contestazione, risolta nel senso che la relativa violazione conduce all'applicabilità della tutela indennitaria “forte” di cui all'art. 18, comma 5, st. lav.

Ed infatti il diritto di difesa può, ad esempio, esser maggiormente intaccato, nel processo, da una contestazione formulata a distanza di sei o sette mesi dall'avvenuta cognizione del fatto ad opera del datore piuttosto che da un licenziamento, pur non preceduto da contestazione, motivato (quindi contenente la descrizione dell'infrazione) ed intimato a distanza di un mese dalla predetta cognizione.

La questione è opinabile, sicché occorrerà verificare se gli indirizzi sopra illustrati saranno, o meno, confermati.

Vi è poi da considerare il caso in cui le lacune di una contestazione non siano colmate da una difesa “sanante” del prestatore in sede di giustificazioni nell'ambito del procedimento disciplinare e, tuttavia, il difetto di specificità non sia tale da impedire, in sede giudiziale, l'esercizio del diritto di difesa da parte del lavoratore, rendendolo solo più difficile.

Potrebbe qui sostenersi l'applicabilità della tutela indennitaria “debole” di cui all'art. 18, comma sesto, st.lav. (ove è previsto, tra l'altro, che nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'art. 2, comma 2, l. 15 luglio 1966, n. 604 o della procedura di cui all'art. 7 st.lav., si applica un'indennità risarcitoria omnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto), costituente, in sostanza, il prezzo del disagio patito dal lavoratore nella predisposizione di una difesa che avrebbe potuto essere di più agevole messa in atto ove la contestazione fosse stata sin dall'inizio più puntuale.

Sulla questione vi è un precedente della Cassazione (Cass. n. 16896 del 2016), la quale ha statuito che “Nell'ipotesi in cui la contestazione disciplinare, finalizzata al licenziamento, non contenga una sufficiente e specifica descrizione della condotta tenuta dal lavoratore, é applicabile l'art. 18, comma 6, st. lav. (nella formulazione “ratione temporis” vigente, risultante dalla l. n. 92 del 2012), con riferimento alle ipotesi di vizi di forma attinenti alla motivazione del recesso, come ora disciplinata dall'art. 2, comma 2, l. n. 604 del 1966, con conseguente dichiarazione giudiziale di risoluzione del rapporto di lavoro e condanna del datore al pagamento di un'indennità risarcitoria compresa tra sei e dodici mensilità della retribuzione globale di fatto” (nel caso in questione il datore di lavoro aveva precisato i profili dell'addebito solo con la memoria di costituzione).

Non è chiaro se, stando al predetto precedente, la tutela indennitaria “debole” debba applicarsi anche all'ipotesi di contestazione del tutto generica, e quindi, equivalente alla contestazione mancata; ove si optasse per la soluzione positiva, potrebbe venire in rilievo un'ulteriore disarmonia rispetto alla citata Cass. n. 25745 del 2016.

Un'ultima annotazione sul profilo degli oneri di deduzione e prova.

Al riguardo è plausibile ritenere che il lavoratore debba solo dedurre la genericità della contestazione senza ulteriori specificazioni, non essendo necessario che egli precisi di non esser stato in condizione di esercitare il proprio diritto di difesa; l'avvenuta, adeguata esplicazione della prerogativa difensiva dovrebbe essere quindi oggetto di allegazione (non integrante eccezione in senso proprio) ad opera del datore, con valutazione rimessa al giudice di merito.

Per riferimenti sul tema, sia consentito il rinvio a L. Di Paola, I vizi formali e procedurali, ne “Vicende ed estinzione del rapporto di lavoro”, III, Lavoro, Pratica Professionale, diretto da P. Curzio, L. Di Paola e R. Romei, Milano, Giuffrè, 2018, 335 ss.

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