Le “procedure di allerta” previste dalla c.d. riforma Rordorf: un nuovo ruolo per amministratori e sindaci?

09 Luglio 2018

La questione concernente doveri e responsabilità dei membri dell'organo amministrativo e di controllo in presenza di una “crisi” dell'impresa societaria – sia essa “pre-concorsuale”, oppure tale da integrare la nozione ex art. 160 l. fall. – è stata recentemente oggetto di numerosi interventi da parte della giurisprudenza teorica e pratica. Se, per un verso, da tali contributi spesso emergono approcci argomentativi e proposte interpretative eterogenei, per altro verso, pienamente condivise sono le esigenze alle quali è necessario che l'ordinamento faccia fronte con riguardo alla tematica in esame. Di queste esigenze – o, perlomeno, di alcune di queste – si è fatto carico il legislatore, che con la 19 ottobre 2017, n. 155 (la “Legge-delega”) ha inteso garantire una più precisa determinazione della nozione di crisi, che tenga conto anche dell'evoluzione della scienza aziendalistica in materia; regolare modelli volti a consentire un'emersione tempestiva dello stato di crisi e a favorire il risanamento dell'impresa; riformulare le disposizioni che hanno causato contrasti interpretativi.
Doveri e responsabilità di amministratori e sindaci dell'impresa societaria in crisi nella c.d. “Riforma Rordorf”

La questione concernente doveri e responsabilità dei membri dell'organo amministrativo e di controllo in presenza di una “crisi” dell'impresa societaria – sia essa “pre-concorsuale”, oppure tale da integrare la nozione ex art. 160 l. fall. – è stata recentemente oggetto di numerosi interventi da parte della giurisprudenza teorica e pratica (cfr., in luogo di molti, Pinto, Concordato preventivo e organizzazione sociale, in Riv. soc., 2017, 100 ss.; Luciano, La gestione della S.r.l. nella crisi pre-concorsuale, in Riv. soc., 2017, 405 ss.; Id., La gestione della S.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, 2016; Baccetti, La gestione delle società di capitali in crisi tra perdita della continuità aziendale ed eccessivo indebitamento, in Riv. soc., 2016, 568 ss.; Brizzi, Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015; Montalenti, I doveri degli amministratori, degli organi di controllo e della società di revisione nella fase di emersione della crisi, in Diritto societario e crisi d'impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, 35 ss.; Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell'impresa societaria, in Giur. comm., 2014, I, 304 ss.; Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, 669 ss.; Vicari, I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi d'impresa, in Giur. comm., 2013, I, 128 ss. In giurisprudenza v., ad esempio, Cass., 20 aprile 2017, n. 9983; Trib. Venezia, 15 febbraio 2017; Trib. Roma, 18 gennaio 2017, n. 11177; Trib. Milano, 19 aprile 2016, n. 1096, in ilfallimentarista.it; Trib. Venezia, 11 dicembre 2015).

Se, per un verso, da tali contributi spesso emergono approcci argomentativi e proposte interpretative eterogenei, per altro verso, pienamente condivise sono le esigenze alle quali è necessario che l'ordinamento faccia fronte con riguardo alla tematica in esame. Di queste esigenze – o, perlomeno, di alcune di queste – si è fatto carico il legislatore, che con la legge 19 ottobre 2017, n. 155 (la “Legge-delega”) ha inteso, per quanto in questa sede più interessa, i) garantire una più precisa determinazione della nozione di crisi, che tenga conto anche dell'evoluzione della scienza aziendalistica in materia; ii) regolare modelli volti a consentire un'emersione tempestiva dello stato di crisi e a favorire il risanamento dell'impresa; iii) riformulare le disposizioni che hanno causato contrasti interpretativi.

Sulla base delle indicazioni fornite dalla Legge-delega, la Commissione incaricata di elaborare i progetti di decreti legislativi, presieduta da Renato Rordorf, ha redatto una bozza di “Codice della crisi e dell'insolvenza” (“Codice della crisi”), così come una proposta di modifiche del codice civile (documenti indicati nel prosieguo come la “Riforma”), trasmessi al Ministro della Giustizia il 22 dicembre scorso.

L' “allerta” come strumento di rilevazione di uno stato di “crisi” già sussistente

La previsione di strumenti di “allerta” rappresenta una delle più importanti novità della Riforma e si colloca pienamente tra gli “obiettivi” sottesi alla stessa, così come indicati in precedenza. Al riguardo, tuttavia, merita immediatamente chiarire come, diversamente da quanto la terminologia utilizzata – e, in particolare, il richiamo all' “allerta” – sembrerebbe suggerire, siffatti strumenti non siano idonei a consentire l'emersione del rischio che, in futuro, subentri una “crisi”, ma siano piuttosto funzionali alla corretta regolazione di una condizione patologica già sussistente. Tale constatazione non deve sorprendere, considerato che gli indici normativi forniti sia dalla Legge-delega che dal Codice della crisi impongono inequivocabilmente di concludere in questo senso. Né a differenti conclusioni può giungersi in ragione dell'adozione della “nuova” nozione di “crisi”, intesa quale probabile insolvenza del debitore (cfr. art. 2, Codice della crisi).

Una sommaria esposizione della disciplina in questione è utile a chiarire quanto appena osservato. L' “allerta” è costituita da alcuni oneri di segnalazione al cui esito (o prima) il debitore può ricorrere all'organismo di composizione della crisi (v. art. 15, commi 1 e 2, Codice della crisi). Condizione applicativa di suddetti oneri è uno squilibrio reddituale, patrimoniale o finanziario rilevabile tramite appositi indici individuati con cadenza triennale dal C.N.D.C.E.C., tali da far ragionevolmente presumere che sussista uno stato di crisi (cfr. art. 16, commi 1 e 2, Codice della crisi). Il dichiarato scopo di queste misure, dunque, non consiste nell'individuazione di indici tali da far ritenere che sussista un rischio di crisi, ovvero una “crisi prospettica” (su questa nozione cfr., ex multis, Strampelli, Capitale sociale e struttura finanziaria nelle società in crisi, in Riv. soc., 2012, 629; De Luca, Prevenire è meglio che curare. Proposte per «curare» il concordato preventivo che non «previene», in Dir. fall., 2010, I, 90 s. In giurisprudenza: Trib. Milano, 10 novembre 2009, in Corr. giur., 2010, 109), ma a consentire l'emersione di una crisi già in atto. In questo senso, del resto, depone l'intera disciplina in esame: in ragione della previsione ex art. 17, comma 1, Codice della crisi, gli organi di controllo societari e il revisore dei conti, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, verificano che l'organo amministrativo valuti costantemente, nel caso assumendo le iniziative più idonee, l'adeguatezza degli assetti organizzativi, l'esistenza dell'equilibrio economico-finanziario e il prevedibile andamento della gestione; costoro segnalano inoltre all'organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi di crisi. Entro trenta giorni dalla predetta segnalazione, gli amministratori riferiscono sulle soluzioni individuate e le iniziative intraprese; laddove la risposta manchi o sia “inadeguata” – ovvero nei successivi sessanta giorni non si adottino le misure reputate “necessarie” – l'organo di controllo e/o il revisore dei conti procedono ad informare l'organismo di composizione della crisi. Tale segnalazione comporta un esonero dalla responsabilità solidale per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni/azioni successivamente poste in essere dall'organo amministrativo in difformità dalle prescrizioni ricevute, che non siano conseguenza di decisioni assunte prima della segnalazione.

La considerazione delle funzioni di controllo che istituzionalmente spettano al relativo organo e al revisore dei conti – le quali, per definizione, si svolgono in via successiva rispetto all'esercizio della funzione amministrativa (sulla nota questione concernente il delicato “confine” tra controlli ex ante ed ex post – così come, in una prospettiva non dissimile, tra controlli nel merito e di legalità – basti rinviare, nella letteratura più recente, a Portale, La corporate governance delle società bancarie, in Riv. soc., 2016, 52 s.; Sfameni, sub art. 2403, in Le società per azioni, Commentario diretto da Abbadessa e Portale, Milano, 2016, 1564 ss., ove riferimenti) – consente di confermare quanto accennato in precedenza: nel momento in cui costoro verificano uno squilibrio economico-finanziario tale da implicare la segnalazione agli amministratori ex art. 17, Codice della crisi, è evidente che la condizione oggetto di siffatta segnalazione sarà inquadrabile nell'ambito di una “crisi” in senso pieno (e non di stati prodromici alla medesima).

Identiche conclusioni valgono per gli obblighi di segnalazione di cui all'art. 18, Codice della crisi, che gravano su alcuni creditori pubblici qualificati qualora via sia un'esposizione debitoria “rilevante” della società. Se entro tre mesi da tale segnalazione la società non ha assunto alcuna tra le iniziative indicate dallo stesso disposto ex art. 18, comma 1, Codice della crisi (al debitore, in particolare, si chiede di estinguere il debito, raggiungere un accordo con il creditore, dar prova di aver presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda di accesso a una procedura concorsuale), il creditore pubblico procede senza indugio a una segnalazione in favore dell'organismo di composizione della crisi e dell'organo di controllo della società.

Doveri e responsabilità di amministratori e sindaci alla luce delle procedure di “allerta”

Alla luce delle regole appena esposte, è possibile formulare alcune considerazioni di ordine generale in merito a doveri e responsabilità dei componenti degli organi di amministrazione e controllo delle imprese societarie in crisi.

Con riguardo agli amministratori, la disciplina esaminata codifica, in modo più o meno esplicito, alcuni compiti già pacificamente riconosciuti nell'ambito della più recente elaborazione in materia. Così, in primo luogo, per il c.d. “dovere conoscitivo-preliminare”, che impone all'organo amministrativo di venire prontamente a conoscenza della presenza di uno stato di crisi, inteso quale difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l'insolvenza dell'impresa societaria (in questi termini la “nuova” nozione di crisi ex art. 2, comma 1, n. 1, Codice della crisi): se la Riforma dispone espressamente che tale dovere grava sugli organi di controllo, non c'è dubbio che il medesimo vincoli altresì – e ancor prima – i titolari della funzione amministrativa.

Alle medesime conclusioni è dato pervenire con riferimento ad un obbligo di “attivazione” degli amministratori che consegue alla presa d'atto della presenza della crisi, il quale li obbliga ad assumere le iniziative più opportune (“misure adeguate”, nel lessico al quale ricorre il Codice della Crisi. Al riguardo v. anche la proposta concernente il “nuovo” art. 2086, comma 2, c.c., ai sensi del quale in presenza di una crisi d'impresa gli amministratori sono tenuti ad attivarsi senza indugio al fine di ricorrere e di attuare uno degli strumenti di composizione formale della stessa); obbligo che sussiste certamente a prescindere dalla presenza di una richiesta dell'organo di controllo in questo senso.

Se tuttavia tali compiti si desumono, allo stato, dai “doveri generali” degli amministratori (v., tra gli altri, gli obblighi che derivano dai disposti di cui agli artt. 2381, 2392, 2394, 2497 c.c.), la Riforma detta mansioni maggiormente “specifiche” e ne disciplina nel dettaglio le modalità e i termini di esercizio, riducendo i margini di incertezza sulle condotte all'assunzione delle quali sono tenuti gli amministratori dell'impresa societaria in crisi. Riducendo, ma non certo eliminando siffatti margini: la valutazione in termini di correttezza (rectius, diligenza) dell'operato degli amministratori risente necessariamente di un'attenta considerazione del peculiare contesto in cui si trova l'impresa societaria e delle sue caratteristiche. Conseguentemente non è possibile evitare il ricorso a clausole generali (come il già menzionato concetto di “misure adeguate”), destinate a trovare concretezza in rapporto alle specificità della situazione concreta (cfr., ad esempio, Mazzoni, La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell'impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Aa. Vv., Amministrazione e controllo nel diritto delle società – Liber amicorum A. Piras, Torino, 2010, 829 ss.).

(Segue:) Il “nuovo” ruolo dell'organo di controllo

Se con riguardo alla posizione che verrebbero ad assumere gli amministratori a seguito dell'entrata in vigore della Riforma, dunque, la medesima sembra limitarsi a “chiarire” il quadro, lasciando sostanzialmente inalterato il rapporto tra doveri e responsabilità dei medesimi, a differenti conclusioni è necessario pervenire relativamente all'organo di controllo che, per gli aspetti che qui maggiormente interessano, sembra il vero “protagonista” della Riforma.

In questo senso, la formulazione in capo all'organo di controllo dell'obbligo di “verificare che l'organo amministrativo valuti costantemente, nel caso assumendo idonee iniziative, se l'assetto organizzativo dell'impresa è adeguato, se sussiste l'equilibrio economico e finanziario e qual è il prevedibile andamento della gestione, nonché di segnalare immediatamente all'organo amministrativo l'esistenza di fondati indizi della crisi” di cui all'art. 17, comma 1, Codice della crisi, presenta senza dubbio rilevanti elementi di novità (si segnala, peraltro, come tali elementi di novità emergano altresì in rapporto ai Principi di comportamento del collegio sindacale di società non quotata elaborati nel 2015 dal C.N.D.C.E.C. in materia di attività del collegio sindacale nella crisi di impresa. V., in particolare la norma 11, che i medesimi principi in tema di società quotate estendono anche a queste ultime).

In primo luogo, merita precisare come l'organo di controllo non debba formulare direttamente le predette “valutazioni”, ma soltanto verificare che gli amministratori procedano in tal senso. Ugualmente, però, questa verifica non può essere meramente formale, dovendo i sindaci garantire perlomeno che tali “valutazioni” non si basino su istruttorie palesemente insufficienti e che non pervengano a conclusioni irragionevoli. Una conferma in questo senso si rintraccia, anzitutto, nella presenza dell'obbligo di segnalazione dei “fondati indizi della crisi” del quale si è detto più volte, il cui adempimento presuppone un attento esame delle valutazioni degli amministratori, così come dei dati che costoro hanno considerato al fine di formularle. Nello stesso senso consente di concludere la previsione dell'obbligo di valutare l' “adeguatezza” delle soluzioni proposte dall'organo amministrativo a seguito della “segnalazione”, ovvero della corrispondenza tra le iniziative adottate dal medesimo e quanto reputato “necessario” (cfr. art. 17, comma 3, Codice della crisi). La formulazione di tali giudizi implica necessariamente, per un verso, un sindacato nel merito delle iniziative proposte o assunte e, per altro verso, ampi margini di discrezionalità, i quali necessariamente conseguono all'adozione di clausole generali quali quelli di “idoneità”, “adeguatezza” e “necessità”.

In un'ottica più generale, le considerazioni suesposte consentono di ritenere che la Riforma delinei un “nuovo” ruolo per l'organo di controllo (e, per gli aspetti di sua competenza, per il revisore dei conti), il quale – per mezzo delle valutazioni di cui sopra e nei limiti delle stesse – diviene “parte attiva” nel processo non solo di rilevazione, ma anche di gestione della crisi dell'impresa societaria. Resta inteso che anche qualora le previsioni disposte dalla “Riforma” entrino in vigore, la funzione gestoria continuerà formalmente a spettare in via esclusiva agli amministratori (cfr., con riguardo alle s.p.a., il disposto dell'art. 2380-bis c.c.). Può facilmente immaginarsi, però, come le regole esposte in precedenza siano idonee perlomeno a generare una dialettica tra l'organo amministrativo e i sindaci, funzionale a individuare le decisioni maggiormente “adeguate” e “necessarie” in rapporto alla crisi.

All'ampliamento dei compiti dell'organo di controllo conseguono necessariamente maggiori responsabilità in capo ai suoi membri. Laddove le valutazioni di cui sopra risultino scorrette o inadeguate, in altri termini, costoro possono essere chiamati a rispondere del danno che hanno cagionato ai sensi dell'art. 2407 c.c..

Il (necessario) riconoscimento dei margini di discrezionalità ai quali si è fatto cenno, peraltro, pone delicati problemi con riguardo al rapporto tra i medesimi e la responsabilità dei “controllori”; si tratta, in altri termini, di chiarire se anche a questi ultimi si applica, nell'esercizio delle loro valutazioni in merito al corretto esercizio della funzione amministrativa dell'impresa societaria in crisi, la business judgement rule.

Nel quadro così delineato, occorre attentamente valutare l'esonero di responsabilità del quale godono i membri dell'organo di controllo che, ai sensi dell'art. 17, comma 3, Codice della crisi, segnalano tempestivamente all'organo di composizione della crisi la presenza di tale stato. Il ricorso a siffatta “segnalazione” potrebbe trasformarsi in un facile escamotage per consentire all'organo di controllo di abiurare al proprio “ruolo”, così come definito in precedenza, e garantirsi una facile “immunità” da eventuali azioni di responsabilità. Questa regola, in altri termini, rischia di incentivare giudizi di “inadeguatezza” delle “risposte” fornite dall'organo amministrativo – con conseguente “segnalazione” – al solo scopo di godere del summenzionato esonero.

Doveri e responsabilità di amministratori e membri dell'organo di controllo alla luce delle proposte di modifica del codice civile

Le considerazioni esposte in precedenza trovano conferma nell'analisi delle proposte di modifica del codice civile che riguardano i temi trattati in questa sede.

Con riferimento all'organo amministrativo, si prevede il dovere, in presenza di una crisi d'impresa, di attivarsi senza indugio per ricorrere e attuare uno degli strumenti di composizione formale della stessa (cfr. la proposta di art. 2086, comma 2, c.c., disposizione che – in virtù dei richiami operati dalla disciplina in tema di società di persone e di capitali – si andrebbe ad applicare anche ai responsabili della funzione amministrativa sociale). Merita tuttavia rilevare come allo stato, in assenza di un'espressa codificazione in questo senso, si ritiene ugualmente che l'obbligo appena riportato vincoli gli amministratori, in quanto espressione dei “doveri generali” menzionati in precedenza.

Nel medesimo senso occorre concludere con riguardo all'esplicito riconoscimento, ai sensi del “nuovo” art. 2476, comma 5-bis, c.c., di un'ipotesi di responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti dei creditori assimilabile a quella ex art. 2394 c.c.. Tale previsione porrebbe fine ad un annoso dibattito che, tuttavia, aveva ormai trovato composizione, almeno in giurisprudenza, nel medesimo senso definito dalla Riforma [al riconoscimento della possibilità anche per i creditori di s.r.l. di esercitare un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori si pervenire, come noto, in ragione di un esercizio in via surrogatoria dell'azione spettante alla società, di un ricorso all'ordinaria responsabilità extracontrattuale (cfr. art. 2043 c.c.), ovvero di un'applicazione analogica del disposto ex art. 2394 c.c., in tema di s.p.a.. All'opzione da ultimo indicata aderisce la giurisprudenza più recente; pacificamente in questo senso si pone l'orientamento del Tribunale di Milano (cfr., ex multis, 28 ottobre 2015; 8 giugno 2015, 7 ottobre 2014, 9 ottobre 2013, 7 febbraio 2013, 11 gennaio 2013 tutte visionabili su giurisprudenzadelleimprese.it; 18 gennaio, 2011, in Fall., 2011, 496). Nei medesimi termini v. anche Trib. Torino, 14 giugno 2017, n. 3152; Trib. Verona, 3 agosto 2012 e Trib. Santa Maria Capua Vetere, 2 agosto 2012, in Fallimento, 2013, 344 ss.; Trib. Napoli, 11 gennaio 2011, in Società, 2011, 507; Trib. Vicenza, 26 luglio 2010, in Soc., 2010, 1399; Trib. Napoli, 16 aprile 2004, in Soc., 2005, 1015. Contra: App. Napoli, 7 luglio 2008, in banca dati De Jure). Per una ricostruzione delle varie posizioni al riguardo, si veda, ad esempio, Dal Moro-Mambriani, Principali questioni processuali e sostanziali in tema di Azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di S.P.A. e SRL - orientamenti della sezione VIII civile Tribunale Milano, 12 luglio 2012, 6 ss., visionabile su ilcaso.it; M. Rescigno, Il problema dell'azione dei creditori, in S.r.l. – Commentario dedicato a Portale, a cura di Dolmetta e Presti, Milano, 2011, 708 ss.].

Anche le “nuove” previsioni codicistiche in materia di collegio sindacale si pongono in conformità ai principi esposti in precedenza con riferimento a siffatto organo e, in particolare, alla valorizzazione del ruolo e delle funzioni dell'organo di controllo che sembra emergere dalla Riforma. Le previsioni normative proposte si soffermano sulle s.r.l., riducendo nettamente i requisiti necessari per imporre alle società di dotarsi del collegio sindacale (cfr. la “nuova” formulazione dell'art. 2477, commi 3 e 4, c.c.) e, quindi, moltiplicando esponenzialmente le ipotesi in cui queste dovranno dotarsi di tale organo. Al riguardo, è appena il caso di osservare come nel bilanciamento tra i rilevanti costi che siffatta scelta inevitabilmente comporta e la presenza di maggiori e più pervasivi controlli, la Riforma ha inteso privilegiare l'esigenza da ultimo indicata.

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