L'omessa pronuncia o la decisione di non sollevare questione di legittimità costituzionale è ricorribile in Cassazione?

Cesare Trapuzzano
09 Luglio 2018

L'interrogativo che si pone alla Suprema Corte attiene al tema della possibilità di impugnare la sentenza d'appello in Cassazione per vizio di omessa pronuncia, ove il giudice non abbia disposto alcunché sull'invito della parte a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale, ovvero per vizio di motivazione, ove detta questione sia stata dichiarata manifestamente infondata sulla scorta di ragioni reputate criticabili.
Massima

Non può configurarsi vizio di motivazione in relazione alla valutazione, operata dal giudice a quo, di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale di una norma, come argomentata dalla parte, in quanto tale questione è strumentale rispetto alla domanda che implichi l'applicazione della norma medesima e non può costituire oggetto di un'autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero – nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito – un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione, essendo la relativa questione deducibile e rilevabile, anche d'ufficio, nei successivi stati e gradi del giudizio.

Il caso

La pronuncia in commento attiene all'impugnazione di una cartella esattoriale, disattesa in sede di gravame dalla competente Commissione tributaria regionale. La Corte di legittimità ha innanzitutto precisato che i due ricorsi riuniti vertono sullo stesso oggetto, essendo pacifico tra le parti che la cartella impugnata con il ricorso introduttivo del secondo giudizio altro non sia che la rinnovazione della prima, alla luce del provvedimento di sgravio parziale intervenuto nel corso del primo giudizio, oltre che naturalmente della definizione — pur essa intervenuta nelle more del primo giudizio — della controversia sugli avvisi sottostanti, a seguito della sentenza della Cassazione. Ciò importa che l'interesse del contribuente in ordine al primo ricorso è cessato, in quanto relativo a cartella da ritenersi ormai già privata di effetti ed espunta dalla realtà fattuale e giuridica, in conseguenza, prima, del provvedimento di sgravio parziale per l'importo sottratto dallo stesso Ufficio all'azione di riscossione e, poi, della emissione di altra definitiva cartella per l'intero residuo importo, in tale parte interamente sovrapponibile alla prima e di questa comportante l'implicita revoca. Sicché il primo ricorso è inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, restando conseguentemente assorbito l'esame dei motivi che ne erano posti a fondamento.

Ma il profilo centrale sul quale in questa sede si intende porre l'attenzione concerne un altro aspetto affrontato dalla sentenza in commento. Segnatamente, assumono particolare rilievo i motivi di ricorso in Cassazione — e l'anteposta questione di legittimità costituzionale — raggruppati intorno al tema della censura avverso la decisione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata di non sollevare la questione di legittimità costituzionale in ordine alle norme di cui la parte ha dedotto le ragioni di contrasto con i parametri costituzionali. Infatti, con riferimento ai compensi di riscossione (cd. aggio), il contribuente ha lamentato l'illegittimità sotto vari profili, senza che tali doglianze abbiano avuto corso. In conseguenza, il contribuente ha anzitutto riproposto la questione — già argomentata nel giudizio di merito ma disattesa dal giudice a quo — in ordine agli asseriti dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 17, comma 3, del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28settembre 1998, n. 337), nel testo vigente ratione temporis, come modificato dall'art. 2, comma 3, lett. a), del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, conv. con modif. in legge 24 novembre 2006, n. 286, per violazione degli artt. 3, 25, 53 e 97 Cost.; dubbi prospettati perché la nuova norma, onerando il contribuente sempre e comunque dell'onere di corrispondere l'aggio esattoriale, sia in caso di pagamento tempestivo sia in caso di pagamento tardivo, in quest'ultimo caso in misura integrale (così innovando rispetto alla precedente formulazione che poneva l'aggio a carico del debitore soltanto in caso di mancato pagamento entro la scadenza della cartella di pagamento e solo in misura percentuale), avrebbe introdotto una misura sostanzialmente sanzionatoria o, comunque, una vera e propria nuova tassa con effetti retroattivi, in violazione dell'art. 25 Cost. oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza ex art. 3 Cost., di capacità contributiva ex art. 53 Cost., di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost., in quanto la norma prevede la corresponsione di un aggio pari al 4,65% a fronte della mera notifica della cartella di pagamento e in assenza di qualsiasi ulteriore attività. Inoltre, il ricorrente ha articolato specifici motivi di censura avverso la decisione del giudice del gravame di non sollevare le questioni di legittimità costituzionale, come dedotte dal contribuente.

La questione

I primi quattro motivi di ricorso ruotano attorno alla medesima questione, poiché essi denunciano rispettivamente:

  • vizio di motivazione in relazione alla valutazione di manifesta infondatezza, da parte del giudice a quo, della prospettata questione;
  • violazione e falsa applicazione dell'art. 57 del d.lgs. 31 dicembre1992, n. 546, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto costituire inammissibile domanda nuova in appello la richiesta di interpretazione adeguatrice della norma nei sensi prospettati con la questione di legittimità costituzionale;
  • violazione e falsa applicazione dell'art. 17, comma 3, del d.lgs. n.112/1999, ove interpretato nel senso, costituzionalmente orientato, di ritenere addebitabile l'aggio esattoriale al debitore solo in caso di inadempimento, nella specie non configurabile o, in subordine, nel senso di ritenere la sua nuova formulazione non applicabile al caso di specie, nel quale si verte dell'iscrizione a ruolo di tributi accertati quasi dieci anni prima.

In sostanza, l'interrogativo che si pone attiene al tema della possibilità di impugnare la sentenza d'appello in Cassazione per vizio di omessa pronuncia, ove il giudice non abbia disposto alcunché sull'invito della parte a sollevare questione di legittimità costituzionale in via incidentale, ovvero per vizio di motivazione, ove detta questione sia stata dichiarata manifestamente infondata sulla scorta di ragioni reputate criticabili.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento ha puntualizzato che non può certo configurarsi vizio di motivazione in relazione alla valutazione, operata dal giudice a quo, di manifesta infondatezza della predetta questione di legittimità costituzionale. In proposito, la questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l'applicazione della norma medesima, non può costituire oggetto di un'autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione: la relativa questione è infatti deducibile e rilevabile, anche d'ufficio, nei successivi stati e gradi del giudizio che sia validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione (sul tema Cass. civ., sez. I, 11 dicembre 2006, n. 26319; così anche Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 2004, n. 5135; Cass. civ., sez. lav., 29 ottobre 2003, n. 16245; Cass. civ., sez. I, 10 luglio 1980, n. 4399).

In ogni caso, la Suprema Corte ha precisato che le questioni sollevate dalle ordinanze dei giudici di merito menzionate in ricorso ed altre analoghe sollevate da altri giudici di merito con ordinanze successive sono state dichiarate inammissibili in punto di rilevanza (Corte cost., 21 giugno 2013, n. 158; Corte cost., 9 luglio 2015, n.147; Corte cost., 26 maggio 2017, n. 129). All'esito, la Corte ha ritenuto manifestamente infondata e ha, per l'effetto, disatteso la prospettata questione di costituzionalità, discendendone il rigetto anche dei motivi suesposti. Infatti, la natura retributiva e non tributaria dell'aggio, né tantomeno sanzionatoria, esclude la pertinenza del parametro della capacità contributiva nonché degli altri invocati dalla parte e lascia alla discrezionalità del legislatore la fissazione dei criteri di quantificazione del compenso, non essendo irragionevole che una parte del compenso dell'organizzazione esattoriale sia comunque posta a carico del contribuente, il quale pure abbia osservato il termine di pagamento della cartella (Cass. civ., sez. V, 28 febbraio 2017, n. 5154). D'altronde, ad avviso della Corte, non si può dubitare che la disciplina applicabile ratione temporis vada individuata con riferimento non già all'anno cui si riferiscono i tributi recuperati e le relative sanzioni, bensì a quello in cui ha inizio l'azione di riscossione, alla cui remunerazione sono finalizzati i compensi di che trattasi.

Osservazioni

La pronuncia in commento, confermando un orientamento di legittimità consolidato, ha affermato che il vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. può essere proposto con riferimento all'accertamento ed alla valutazione dei fatti, effettuati dal giudice di merito, peraltro – alla luce dell'attuale disciplina – soltanto nei ristretti limiti in cui detta motivazione sia del tutto omessa o comunque solo apparente, ma non con riguardo ad una questione di legittimità costituzionale, che costituisce una questione di diritto che può essere sollevata d'ufficio dalla Corte di cassazione, ove non sia ritenuta manifestamente infondata, quali che siano i difetti formali nei quali sia incorso il giudice di merito nella sua argomentazione (Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 2011, n. 28389; Cass. civ., sez. lav., 22 luglio 2010, n. 17224; Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1999, n. 3990; Cass. civ., sez. I, 22 ottobre 1979, n. 5483; Cass. civ., sez. I, 28 ottobre 1978, n. 4921). Al riguardo, la contestazione delle valutazioni di irrilevanza o manifesta infondatezza di questioni di illegittimità costituzionale operate dal giudice del merito non può costituire oggetto di un motivo di ricorso in cassazione (Cass. civ., sez. I, 24 giugno 2015, n. 13086; Cass. civ., sez. III, 26 marzo 2012, n. 4820; Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2011, n. 17873), con l'effetto che siffatti motivi sono inammissibili. Allo stesso modo e per le medesime ragioni, qualora il giudice dell'impugnazione abbia del tutto “glissato” sulle argomentazioni addotte dalla parte, volte a dare impulso alla sollevazione di una questione di legittimità costituzionale in via incidentale, non può essere proposto ricorso in cassazione sub specie di vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.. Infatti, la questione di costituzionalità di una norma non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio e può comunque essere proposta o riproposta dalla parte interessata in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti strumentale alla decisione di questioni ritualmente dedotte nel processo. Ne discende che il motivo di ricorso per cassazione non può risolversi nella mera critica della pronuncia impugnata, per la ritenuta irrilevanza ovvero manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale, giacché la questione di costituzionalità di una norma – per un verso – non può costituire unico e diretto oggetto del giudizio e – per altro verso – può sempre essere proposta, o riproposta, dalla parte interessata, oltre che rilevata d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali che siano state ritualmente dedotte nel processo. Pertanto, la valutazione negativa che il giudice del merito faccia circa la rilevanza e la fondatezza di una questione di legittimità costituzionale, così come la relativa motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione, atteso che la questione medesima può essere nuovamente sollevata dalle parti in sede di legittimità od anche esaminata d'ufficio, sempreché in tale sede siano state riproposte le questioni sostanziali o processuali alle quali quella di costituzionalità si riferisca (Cass. civ., sez. lav., 19 settembre 1986, n. 5694; Cass. civ., sez. lav., 8 febbraio 1986, n. 826; Cass. civ., sez. lav., 29 marzo 1985, n. 2212; Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1984, n. 5892; Cass. civ., sez. lav., 7 giugno 1984, n. 3441; Cass. civ., sez. lav., 13 marzo 1984, n. 1715; Cass. civ., sez. lav., 7 aprile 1983, n. 2476; Cass. civ., sez. lav., 10 dicembre 1982, n. 6769; Cass. civ., sez. I, 10 novembre 1981, n. 5947; Cass. civ., sez. lav., 3 luglio 1981, n. 4333; Cass. civ., sez. lav., 17 gennaio 1981, n. 396; Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1980, n. 3381). Per le ragioni esposte, l'omessa pronuncia o la decisione di non sollevare una questione di legittimità costituzionale non può costituire oggetto di ricorso in Cassazione.

Guida all'approfondimento

D. Chindemi, Ricorso civile per cassazione: le 7 regole d'oro, in www.altalex.it., 2017.

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