Rapporto tra variazione retributiva e diritti quesiti
09 Luglio 2018
“Il lavoratore non può pretendere di mantenere come definitivamente acquisito al suo patrimonio un diritto derivante da una norma collettiva non più sussistente, perché caducata o sostituita da altra successiva”. Per poter configurare una tale pretesa del lavoratore è necessario che “la clausola, originariamente di fonte collettiva, sia poi recepita nel contratto individuale per inequivoca volontà delle parti in tal senso espressa, sia pure per facta concludentia”, ma è altrettanto pacifico che “non potrebbe ritenersi fatto all'uopo concludente la mera reiterazione del comportamento datoriale di adesione alla clausola collettiva anche nel lungo periodo” in quanto "l'oggettiva esistenza di un obbligo giuridico e in particolare dell'obbligo derivante dal contratto collettivo costituisce giustificazione adeguata della restituzione del comportamento datoriale, la quale di per sé non implica minimamente la volontà di recepire nell'individuale la disposizione del contratto collettivo”.
Non sono configurabili diritti quesiti “in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi”. Per queste ultime vale il principio fissato dalle Sezioni unite n. 11325 del 2005 “secondo cui i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale degli stipulanti, di modo che le clausole di contenuto retributivo non hanno efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale” sicché “nel caso in cui ad una disciplina collettiva privatistica succeda altra disciplina di analoga natura, si verifica l'immediata sostituzione delle nuove clausole a quelle precedenti, ancorché la nuova disciplina sia meno favorevole ai lavoratori, giacché il divieto di deroga in peius è posto dall'art. 2077 c.c. unicamente per il contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni del contratto collettivo, con la conseguenza che i lavoratori non possono vantare posizioni di diritto quesito trovando i loro individuali interessi tutela solo tramite quella dell'interesse collettivo. |