L’erosione della legittimazione del debitore nel concordato: tra riforme mancate e riforme potenziali

10 Luglio 2018

Il tema che ci si prefigge di approfondire nella presente analisi concerne il delineamento di un ipotetico – e non meramente teorico – scenario in cui a presentare una domanda di concordato preventivo, atto funzionale all'apertura della corrispondente procedura concorsuale, non sia l'imprenditore in difficoltà economico-finanziaria, bensì il titolare della pretesa creditizia nei confronti dell'impresa.
La disciplina ai sensi della legge fallimentare in vigore

Il tema che ci si prefigge di approfondire nella presente analisi concerne il delineamento di un ipotetico – e non meramente teorico – scenario in cui a presentare una domanda di concordato preventivo, atto funzionale all'apertura della corrispondente procedura concorsuale, non sia l'imprenditore in difficoltà economico-finanziaria, bensì il titolare della pretesa creditizia nei confronti dell'impresa.

Si rende conveniente rammentare che, ai sensi dell'attuale legge fallimentare in vigore, l'unico soggetto legittimato a manifestare l'esigenza dello strumento concordatario in commento è da rinvenirsi esclusivamente nella figura del debitore (art. 160 e ss. l.fall.); in altri termini, è perentoriamente non ammessa l'evenienza che l'iniziativa in questione spetti ad un soggetto diverso dal titolare dell'impresa versante in una situazione di crisi ovvero di insolvenza.

Nondimeno, non si trascuri che il creditore dispone di uno strumento ugualmente funzionale a garantire il suo inserimento nella dinamica concorsuale, da intendersi quale la facoltà, ai sensi dell'art. 164, comma 4, l.fall., di presentare una proposta di concordato preventivo alternativa a quella già avanzata dal debitore. Una tale proposta si renderà ammissibile al verificarsi di due condizioni: (i) la titolarità di almeno il 10% dei crediti relativi alla situazione patrimoniale dell'impresa (art. 163, comma 4, l.fall.); e (ii) l'incapacità della proposta di concordato avanzata dal debitore di pagare perlomeno il 40% dei crediti chirografari a fronte di un concordato liquidatorio ovvero in misura non inferiore al 30% in presenza di un concordato caratterizzato da continuità aziendale. Alla luce della disciplina della c.d. “proposta concorrente” si evince pacificamente come la possibile prospettazione della propria visione circa le sorti aziendali rientri nelle prerogative del creditore, sebbene in via subordinata alla conclamata e dichiarata volontà del debitore di avvalersi di un siffatto strumento di composizione della crisi, intentio che si manifesta per mezzo della presentazione di una domanda di concordato.

Constatata l'impossibilità per il titolare di una pretesa creditizia di introdurre per sua autonoma iniziativa la soluzione concordataria, si rende ora opportuno procedere nella analisi di alcune recenti riforme che avrebbero potuto – e che potenzialmente ancora potrebbero – incidere considerevolmente sulla tematica oggetto di approfondimento. L'attenzione dovrà, pertanto, focalizzarsi su due diverse direttive: la prima concernente una disamina dello sviluppo della disciplina concorsuale in ambito nazionale e la seconda riguardante una riflessione in merito alle possibili influenze che possano scaturire dall'appartenenza ad un sistema quale è quello europeo.

Delega al governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza

Il testo licenziato dalla c.d. Commissione Rordorf, istituita il 28 gennaio 2015 da parte del Ministro della Giustizia, aveva introdotto una novità assoluta sul piano della legittimazione alla presentazione di una domanda di concordato preventivo: l'articolo 6 primo comma la lett. b sanciva, difatti, che «la disciplina della procedura di concordato preventivo va riordinata prevedendo… la legittimazione del terzo a promuovere il procedimento nei confronti del debitore che versi in stato di insolvenza, nel rispetto del principio del contraddittorio e con adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore medesimo, nonché misure dirette a prevenire condotte abusive».

Sin da una prima lettura della disposizione si evince chiaramente come la presente concessione abbia un effetto dirompente e mini molteplici punti cardine della disciplina concorsuale in commento; in breve, sembrava avesse trovato esplicito riconoscimento nel diritto della crisi la legittimazione del creditore – e persino di un soggetto terzo – ai fini della presentazione di una domanda di concordato preventivo, al quale si riconoscerebbe la prerogativa di aprire la suddetta procedura – ad oggi di esclusiva prerogativa del solo imprenditore – a condizione che il debitore versasse in uno stato di insolvenza. In altri termini, ne scaturirebbe tanto una pressoché piena equiparazione tra la figura del debitore e quella di un esponente del ceto creditizio quanto una modifica dei presupposti che garantiscono l'accesso al concordato, ad oggi da identificarsi quantomeno nello stato di crisi. È fuor di dubbio che una simile attribuzione intacchi in maniera estremamente incisiva il sistema sino a questo momento delineato, da una parte, risolvendo una serie di problematiche di natura pragmatica sorte in merito all'istituto della proposta concorrente e, dall'altra, introducendo inesorabilmente criticità ulteriori, le quali saranno oggetto di successivo approfondimento (si faccia riferimento, ad esempio, alla legittimazione del creditore proponente, nei cui confronti non sarebbe più richiesta l'applicazione del precetto che richiede la titolarità perlomeno del 10% dei crediti relativi alla situazione debitoria dell'impresa ai fini della presentazione di una proposta concorrente. Si faccia ulteriormente riferimento a come non si porrebbe più la questione relativa al rapporto di dipendenza tra la proposta concorrente e la proposta del debitore. Ancora, le condizioni di ammissibilità e le dinamiche annesse non si porrebbero più quali limiti all'affermazione di una proposta alternativa, non dovendo più il creditore fondare la propria legittimazione nella parziale soddisfazione prospettata dal debitore per mezzo del professionista asseveratore. Non si ignori, per di più, come verrebbe meno il tema dell'intervento del terzo, che nel sistema attuale necessita di essere indicato quale assuntore allorché intenda intervenire nelle dinamiche di un piano concordatario predisposto da una proposta alternativa, non essendone riconosciuta autonoma legittimità. Infine, cesserebbe di presentarsi la discussa questione della rinunzia da parte del debitore e, in particolar modo, della sua potenziale idoneità a travolgere le proposte dei creditori eventualmente presentate, comportando la chiusura della procedura).

Per quanto concerne un ipotetico coordinamento tra la disciplina attualmente in vigore e quella predisposta dalla Commissione Rordorf – allorché non si procedesse alla sostituzione della preesistente disciplina ma si ponessero entrambe in un rapporto di coesistenza –, si ricorda l'opinione di chi discerne a seconda della gravità della difficoltà dell'impresa: qualora si presentasse uno stato di crisi si riconoscerebbe esclusivamente in capo al debitore la facoltà di aprire la procedura in esame; situazione diversa a fronte di uno stato di insolvenza, laddove tale prerogativa, ai sensi del testo in esame, sarebbe riconosciuta a chiunque (in tal senso, G. Presti, Concordato preventivo: dal monopolio del debitore alle proposte concorrenti fino all'iniziativa dei terzi, in M. Arato A G. Domenichini (a cura di), in “Le proposte per una riforma della legge fallimentare – quaderni di giurisprudenza commerciale (402)”, Giuffrè Editore, Milano 2017, 98).

Sembrerebbe consequenzialmente delinearsi una prima vera criticità concernente la difficoltà nella qualificazione dello stato di difficoltà dell'impresa debitrice nei termini di stato di crisi ovvero di insolvenza; si è ritenuto, difatti, che la non linearità in merito ad una simile determinazione possa costituire un non indifferente freno all'affermazione della nuova disciplina, sebbene alla luce della codificazione dello stato di crisi nel presente testo (art. 2 lett. c). In altri termini, in assenza di «un obbligo di accertamento preventivo e specifico dell'insolvenza» (F. Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf, in questo portale, 22 settembre 2016) e di un qualsiasi intervento del Tribunale Fallimentare quale risolutore, si porrebbe la gravosa questione circa il momento in cui il terzo sia concretamente in condizione di presentare una domanda di concordato; concludendo, sembrerebbe che la difficoltà relativa alla comprensione del momento in cui un terzo divenga o meno legittimato costituisca il principale ostacolo all'affermazione della estensione della legittimazione in esame.

Non sembrerebbe opportuno prescindere dall'analisi di una ulteriore criticità evidenziata dal C.N.D.C.E.C., il quale propose di escludere dalla legittimazione il creditore (o il terzo) a fronte dell'instaurazione della procedura della composizione assistita, anch'essa introdotta per mezzo della legge delega in esame (art. 4 della Delega) (C.N.D.C.E.C., Osservazioni e proposte del Consiglio Nazionale dei Commercialisti e degli Esperti Contabili (Delega al governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza), 8 giugno 2016, 11).

Qualora tale suggerimento fosse stato oggetto di accoglimento ne sarebbe derivato, per quanto rilevante ai nostri fini, una estrema limitazione pratica alla facoltà del creditore/terzo di esperire la propria legittimazione, in ragione di una presumibile affermazione delle c.d. procedure di allerta, che si instaurerebbero necessariamente in una fase antecedente alla vera insolvenza, tanto da escludere quasi perentoriamente l'eventualità di una domanda di un terzo allorché l'impresa fosse insolvente.

I ragionamenti svolti sino a questo momento sono stati comunque resi vani dalla discussione svoltasi presso la Camera dei Deputati, durante il cui dibattito, tra gli emendamenti presentati, è stata avanzata la proposta emendativa 6.50 (votazione nominale n. 23 del 31 gennaio 2017, seduta n. 733), la quale, proponendo l'abrogazione dell'art. 6, co. 1, lett. b, e ricevendo la rispettiva approvazione, ha comportato la soppressione della disposizione che riconosceva in capo al creditore/terzo la prerogativa di presentare una domanda di concordato preventivo.
In breve, il Parlamento, esprimendosi negativamente nei confronti di una simile estensione della legittimazione, ha impedito l'attuazione della disposizione in commento: l'unico soggetto legittimato a presentare una domanda di concordato preventivo rimane, quindi, l'imprenditore.

Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla crisi di impresa

In data 22 novembre 2016 la Commissione UE ha diffuso una Proposta di Direttiva (Directive 2012/30/EUACOM/2016/0723) finalizzata ad assicurare una maggiore armonizzazione tra le diverse procedure concorsuali dei paesi membri dell'Unione Europea; siffatta Proposta si prefigge di agevolare la formazione di un sistema che possa essere contraddistinto da strumenti similari tra i diversi ordinamenti giuridici, non prescindendo, tuttavia, da una doverosa considerazione del principio di proporzionalità, alla luce del quale si garantirebbe a ciascuno stato di delineare, a partire da tale direttiva, un sistema maggiormente confacente al proprio sostrato culturale ed economico.

La disposizione oggetto del nostro interesse è da individuarsi nell'articolo 4 (rubricato «Disponibilità di quadri di ristrutturazione preventiva») che al quarto comma sancisce che «Il quadro di ristrutturazione preventiva è disponibile su richiesta del debitore o dei creditori con l'accordo del debitore»; si riconoscerebbe, pertanto, al creditore la facoltà di presentare una soluzione preventiva – indubbiamente comprensiva anche del concordato preventivo – per mezzo dell'accordo con il debitore.

L'evidente ambiguità della disposizione in esame sembrerebbe essere dettata dalla già citata esigenza di riconoscere a ciascun stato la facoltà di adattare con maggiore pertinenza siffatte direttive al proprio ordinamento giuridico; tuttavia, sembrerebbe indubbio che si stia trattando della prerogativa di presentare una vera e propria domanda di concordato preventivo, seppur vincolata dalla esigenza di una necessaria cooperazione con il debitore, derivandone, pertanto, che, qualora la Proposta venisse approvata (è bene rammentare come la Direttiva in esame sia da qualificarsi come mera proposta, ben potendo subire non irrilevanti modifiche in sede di vaglio da parte del Consiglio e del Parlamento Europeo, e potendo persino non essere oggetto di futura approvazione; ciononostante, l'impatto che sembrerebbe possa derivare da una sua eventuale attuazione richiede, nondimeno, un necessario richiamo ai fini della completezza del presente lavoro), si richiederebbe un intervento ai fini dell'adattamento con la disciplina concorsuale italiana in vigore (in tali termini si veda Camera dei Deputati, Proposta di direttiva in materia di procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti (COM(2016)723), in “Documentazione per le Commissioni – Esame di atti e documenti dell'UE, n. 77”, 22 febbraio 2017, 6), la quale riconosce attualmente al creditore esclusivamente la facoltà di presentare una proposta.

Il successivo e connesso tema cui si rende doveroso perlomeno accennare concerne il tipo di rapporto che siffatta disposizione instaurerebbe, allorché oggetto di approvazione, con l'istituto delle proposte concorrenti. Pur non potendosi prescindere dall'indispensabile intervento del legislatore su cui graverà l'onere di delineare con maggior chiarezza quanto postulato dal suddetto articolo – disciplinato in una forma piuttosto “plasmabile” –, sembrerebbe, tuttavia, ammissibile ritenere l'intervento prospettato quale indicativo di un orientamento manifestamente diverso da quello attualmente in vigore, in quanto finalizzato ad estendere la legittimazione e a favorire persino l'evenienza di una cooperazione tra l'imprenditore e gli esponenti “forti” del ceto creditizio. Non può omettersi che sembrerebbe piuttosto inverosimile sostenere nella prassi un'assenza di ostilità da parte del debitore nei confronti di soluzioni concordatarie di provenienza estranea alla visione aziendale da questi sostenuta; in altri termini, sorgerebbe il dubbio che l'intentio sia realmente da individuarsi nella ricerca di un sostegno reciproco tra i diversi operatori del sistema concordatario preventivo. In parziale soccorso al legittimo interrogativo posto si colloca il considerando 17 della medesima Proposta di Direttiva che sancisce che «il quadro di ristrutturazione dovrebbe essere disponibile prima che il debitore sia insolvente ai sensi del diritto nazionale, ossia prima che soddisfi le condizioni per avviare una procedura concorsuale per insolvenza…», potendo derivare dal combinato disposto dei due dettami una tesi che si fonderebbe sulla distinzione delle due discipline per mezzo dell'affermazione di distinti ambiti di applicazione.

Si potrebbero, pertanto, – anche in questa occasione – delineare due diversi scenari: qualora il debitore versi in uno stato di difficoltà economico-finanziaria non irreversibile – e non tale da costituire un presupposto ai fini del riconoscimento dell'insolvenza – troverebbe applicazione la disposizione in esame, finalizzata a permettere al creditore di presentare persino una domanda di concordato preventivo in presenza di una cooperazione con il debitore stesso, situazione quest'ultima da non escludersi a priori, seppur estremamente inconsueta; allorché, invece, il debitore versi in una situazione di insolvenza e manifesti l'intenzione di aprire una procedura di concordato preventivo, troverebbe allora applicazione l'istituto delle proposte concorrenti per come disciplinato nella formulazione attualmente in vigore. Infine, non si escluderebbe una eventuale sovrapposizione, ben potendo l'istituto delle proposte concorrenti – declinato nella seconda accezione – indubbiamente affermarsi anche in presenza di uno stato di crisi, seppur non congruamente con quanto generalmente si verifica nella prassi laddove le imprese facenti richiesta di apertura della procedura sono spesso in uno stato tale da considerarsi verosimilmente “decotte”. Un'ulteriore argomentazione favorevole alla ricostruzione per così come delineata verterebbe sulla comprensione della Proposta di Direttiva quale postulante una disciplina che non miri a sostituirsi a quella già preesistente, dovendo interpretarla, piuttosto, quale espressiva di una serie di orientamenti cui ciascun stato dovrà ottemperare affinché in ciascun sistema giuridico siano presenti regole tendenzialmente uniformi, le quali dovranno, però, necessariamente porsi in un rapporto di coesistenza con la disciplina preesistente (sul tema si veda L. Panzani, Conservazione dell'impresa, interesse pubblico e tutela dei creditori: considerazioni a margine della proposta di direttiva in tema di armonizzazione delle procedure di ristrutturazione, in “Crisi d'Impresa e Fallimento”, 11 settembre 2017, 8).

In conclusione, sembrerebbe possibile avanzare – analogamente a quanto postulato per l'eventuale coordinamento tra la proposta concorrente e l'estensione della legittimazione ai sensi del testo redatto dalla Commissione Rordorf – una nodale critica circa la difficoltà con la quale si garantirebbe l'affermazione del confine tra le due soluzioni, non essendo verosimile giungere ad una adeguata individuazione di uno stato di insolvenza in assenza della previsione di un intervento risolutivo da parte del Tribunale Fallimentare (in tal senso si faccia riferimento a F. Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf, cit., 7-8. In senso contrario, L. Panzani, La proposta di Direttiva della Commissione UE: Early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fall. 2017, 129, che riterrebbe che sia sufficiente il verificarsi di una probabilità di insolvenza).

Il rapporto tra il testo della Commissione Rordorf e la proposta di Direttiva

Sembra opportuno a questo punto dell'analisi procedere ad un breve confronto tra l'art. 6, co. 1, lett. b, del testo redatto dalla Commissione Rordorf – sebbene abrogato – e l'art. 4, co. 4, della Proposta di Direttiva 723/2016 – sebbene ancora allo stato di mera proposta –, al fine di dedurre da ciascuna delle disposizioni principi evolutivi comuni e differenze sostanziali che ne contraddistinguerebbero la rispettiva natura.

Nella prima disposizione citata , emerge piuttosto chiaramente la volontà di garantire l'estensione della legittimazione a qualsiasi soggetto operante sulla scena concorsuale per mezzo di un completo superamento dell'istituto delle proposte concorrenti attualmente in vigore, la cui ratio è implicitamente coincidente con il proposito di stimolare maggiormente il debitore a presentare proposte concordatarie che possano essere caratterizzate da una maggiore serietà e fattibilità; in sostanza, tramite l'erosione del monopolio del debitore si intenderebbe garantire un esito concorsuale che possa ritenersi preferibile rispetto ad una sua eventuale assenza.

Di ben diversa natura sembrerebbe essere, invece, la Proposta di Direttiva, la quale, tramite la richiesta di una cooperazione con il debitore, vuol perseguire un proposito pressoché opposto, ovvero corrispondente alla volontà di «non forzare la mano al debitore rivelando la sua crisi anche a terzi» (Associazione Concorsualisti Milano, La proposta della Commissione Europea di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 novembre 2016 (COM(2016) 723 final A 2016/0359 (COD)) e il possibile impatto sulla normativa italiana (vigente e futura), 22 maggio 2017, 22); in breve, sembrerebbe prevalere l'intentio di circoscrivere esclusivamente al debitore la soluzione della sua crisi, non riconoscendosi la facoltà di presentare una domanda in assenza del suo consenso.

Al fine di completare il quadro relativo al confronto tra le due riforme – mancate e potenziali –, sembrerebbe conveniente rievocare come la Commissione II Giustizia nel «Documento finale a norma dell'articolo 127 del Regolamento» abbia espresso una valutazione favorevole nei confronti della disciplina prevista dalla Proposta di Direttiva, seppur a condizione che in sede di discussione presso le competenti sedi europee siano presi in considerazione una serie di principi, tra i quali rileva, in particolar modo, la richiesta di attribuzione al creditore della facoltà di presentare una proposta concorrente (Commissione II Giustizia, Documento finale a norma dell'articolo 127 del Regolamento sulla: Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, la seconda opportunità e misure volte ad aumentare l'efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza e liberazione dai debiti, e che modifica la direttiva 2012/30/UE…, doc. XVIII n. 69, 24 maggio 2017, 3) : in sostanza, nel dialogo tra le istituzioni sembrerebbe emergere la richiesta di un coordinamento in materia di legittimazione ai fini dell'apertura di una procedura concorsuale preventiva.

Si concludono questi brevi cenni rilevando come sia piuttosto singolare che le riforme oggetto di analisi, da datarsi nel medesimo anno 2016 – e quindi da contestualizzarsi nel medesimo momento storico –, seppur di eterogenea provenienza, si pongano agli antipodi in merito alla soluzione da fornire al medesimo quesito, da intendersi quale l'individuazione della miglior formula che possa garantire il risultato preferibile e più vantaggioso per i diversi interessi presenti sulla scena concorsuale.

Il “provvisorio” codice della crisi e della insolvenza

Si rende ora doveroso fare un breve riferimento al testo del “Codice della crisi e dell'insolvenza”, bozza di decreto legislativo attuativo della legge delega n. 155 del 19 ottobre 2017, la quale ha trovato luce a seguito della approvazione parlamentare del testo frutto del lavoro della Commissione Rordorf – non senza alcuna modifica, così come precedentemente rilevato; siffatto testo è da intendersi caratterizzato da una natura provvisoria, rendendosi necessario, difatti, al fine della sua effettiva adozione, l'emanazione dei rispettivi decreti legislativi da parte del governo entro dodici mesi dalla sua entrata in vigore.

Non avendo il presente lavoro né l'intenzione – e né la presunzione – di fornire un'analisi in merito all'impatto del Codice sulla attuale disciplina fallimentare, ci si limiterà ad un breve cenno su come quest'ultimo disciplini il tema della legittimazione in materia di concordato preventivo. In breve, alla luce di quanto già evidenziato per mezzo del riferimento all'abrogazione della disposizione disciplinante l'estensione della suddetta prerogativa, non ci si sorprende che l'unico soggetto titolato ad introdurre la soluzione della procedura concordataria ai sensi della riforma fallimentare in commento sia da rinvenirsi esclusivamente nella figura dell'imprenditore in difficoltà economico-finanziaria (art. 90 comma primo – «Per proporre il concordato l'imprenditore deve trovarsi in stato di crisi o di insolvenza»).

Il creditore, d'altra parte, manterrebbe la già nota prerogativa di presentare una proposta concorrente alle medesime condizioni sancite dalla Legge Fallimentare attualmente in vigore, non avendo la Commissione ritenuto opportuno apportare alcuna modifica alla disciplina in commento (art. 95 - «Uno o più creditori che, anche per effetto di acquisti successivi alla domanda di concordato del debitore, rappresentano almeno il dieci per cento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale dallo stesso depositata, possono presentare una proposta concorrente di concordato preventivo e il relativo piano non oltre trenta giorni prima della data stabilita per la votazione dei creditori»).

In conclusione, non avendo il Parlamento – nella figura della Camera dei Deputati – accolto il suggerimento proposto dalla Commissione Rordorf, la legittimazione ai fini della presentazione di una domanda di concordato rimarrebbe analoga a quella attualmente in vigore ai sensi della legge fallimentare vigente.

In conclusione

Abbiamo cercato di fornire un quadro sugli scenari – mancati e potenziali – concernenti l'ipotetica estensione della prerogativa di avanzare una domanda di concordato preventivo in capo ad un soggetto diverso dall'imprenditore titolare di una impresa in crisi ovvero in insolvenza.

Sembrerebbe possibile sostenere come, da una parte, una simile estensione possa trovare una valida giustificazione nell'applicazione pragmatica del principio di natura “keynesiana” secondo cui, a fronte di un'impresa versante in un vero e proprio stato di insolvenza, si riconoscerebbe nella figura del creditore dell'impresa il vero proprietario “sostanziale” della stessa (siffatta teoria non sembrerebbe porsi in contrasto con la prassi secondo cui non sia infrequente che l'impresa che chieda l'apertura di un procedimento di concordato preventivo sia connotata da una condizione ben più grave del mero stato di crisi).

Il ragionamento si fonda sull'assioma che un'impresa insolvente, a causa del capitale sociale intaccato per perdite ovvero per la presenza di un patrimonio netto negativo, si trovi costretta ad impiegare necessariamente quale “capitale di rischio” le somme concesse dai creditori (nei medesimi termini si veda G. D'Attorre, Le proposte di concordato preventivo concorrenti, in Fall. 2015, 1164), conseguendone, dunque, l'esito per cui il patrimonio dell'impresa debba necessariamente considerarsi a disposizione dell'appagamento del ceto creditizio (art. 2740 c.c.); in breve, non si sarebbe in presenza di un ingiustificato esproprio del patrimonio dell'impresa debitrice, bensì di una vera e propria concretizzazione della responsabilità patrimoniale per mezzo della ammissibilità dell'ingerimento del titolare della pretesa creditizia nelle dinamiche aziendali. In breve, qualora si aderisca ad una simile ratio,non sembrerebbe inverosimile esprimere una certa insoddisfazione per la mancata attribuzione di una simile facoltà in capo al creditore, potendo persino esprimersi nei termini di una vera e propria “occasione perduta” da parte del Parlamento.

Ugualmente, non sembrerebbe incomprensibile argomentare ai sensi di una non condivisione dello scenario secondo cui un creditore sia in condizione di poter introdurre autonomamente la procedura concordataria, venendosi altrimenti a pregiudicare un vero e proprio “diritto a fallire” da parte del debitore, non sancito dalla Legge Fallimentare, ma comunque insito e ricavabile dalla disciplina. Ancora, allorché una siffatta scelta sia oggetto di esclusiva iniziativa da parte del creditore, il debitore si ritroverebbe spogliato della gestione dell'impresa – nella quale rientra pacificamente l'eventuale intenzione di procedere per mezzo di una eventuale ristrutturazione della stessa. Un'ultima critica che si profilerebbe per mezzo del riconoscimento di una simile facoltà consisterebbe, infine, nella perdita della accezione volontaristica della procedura concorsuale quale è, difatti, il concordato preventivo.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario