Sospensione cautelare della deliberazione di nomina degli amministratori e limite della produzione degli effetti

10 Luglio 2018

Non può adottarsi provvedimento di sospensione di una delibera che non produce più effetti. Pur volendo aderire all'orientamento maggiormente estensivo secondo il quale può essere sospesa l'efficacia delle deliberazione c.d. autoesecutive, il ricorso al provvedimento cautelare di sospensione è precluso per tutte quelle deliberazioni che, per qualsiasi causa, non sono in grado di spiegare alcuna efficacia organizzativa interna alla società
Massima

Non può adottarsi provvedimento di sospensione di una delibera che non produce più effetti. Pur volendo aderire all'orientamento maggiormente estensivo secondo il quale può essere sospesa l'efficacia delle deliberazione c.d. autoesecutive, il ricorso al provvedimento cautelare di sospensione è precluso per tutte quelle deliberazioni che, per qualsiasi causa, non sono in grado di spiegare alcuna efficacia organizzativa interna alla società (nel caso di specie, il Tribunale ha rigettato la richiesta di sospensione della delibera con cui la società ha revocato e sostituito l'amministratore, sul presupposto che la delibera impugnata è stata seguita da altra delibera con cui è stata nominata un'altra amministratrice della società).

Il caso

Il socio di minoranza e già amministratore unico di una società a responsabilità limitata impugnava, ritenendola invalida, la deliberazione assembleare con la quale egli era stato revocato dalla carica di amministratore e sostituito nella medesima dal socio di maggioranza.

Investito della istanza cautelare di sospensione, il Tribunale di Catanzaro la rigettava ritenendo insussistente il requisito del fumus boni iuris.

Nel corso del procedimento di reclamo instaurato dal socio impugnante che insisteva nella originaria istanza cautelare, emergeva che, nel corso di una successiva assemblea, il soggetto nominato amministratore con la deliberazione impugnata aveva rassegnato le proprie dimissioni ed era stato, dunque, a sua volta, sostituito con altro soggetto.

Decidendo il reclamo, il Collegio - dopo avere dato atto dei termini essenziali del dibattito inerente alla possibilità di sospendere l'esecuzione delle deliberazioni cc.dd. autoesecutive e richiamata la distinzione tra esecutività della deliberazione ed efficacia di essa - evidenziava che, nel caso di specie, pur volendo aderire all'orientamento maggiormente estensivo, per effetto delle dimissioni dalla carica del soggetto nominato all'esito della deliberazione impugnata e della intervenuta nomina di un nuovo amministratore, la deliberazione impugnata non poteva essere sospesa non essendo più produttiva di effetti.

Il provvedimento del Tribunale di Catanzaro, sebbene non particolarmente innovativo, costituisce una utile occasione per tornare a riflettere sull'istituto della sospensione delle deliberazioni - in particolare di quelle definite self-executing - e sui limiti di operatività di questo importante strumento cautelare.

Le questioni e le soluzioni giuridiche

La sospensione delle deliberazioni dell'assemblea tra esigenza di tutela dei soci e stabilità degli atti societari.

L'istituto della sospensione delle deliberazioni assembleari di società di capitali assume nell'ambito del diritto societario un particolare rilievo che, a seguito della riforma del 2003, è andato accentuandosi in modo inversamente proporzionale all'arretramento, voluto dal legislatore, della tutela reale in favore della diversa tutela risarcitoria.

Il legislatore della riforma, infatti, negata cittadinanza giuridica alla categoria della inesistenza della deliberazione, ha inteso accrescere la stabilità delle deliberazioni degli organi sociali anche a scapito dell'interesse (del socio) alla eliminazione delle conseguenze degli atti viziati prevedendo, ad es., il requisito della titolarità di una determinata aliquota del capitale sociale per la legittimazione ad esperire l'azione di annullamento della deliberazione nella società per azioni (art. 2377, comma 3, c.c.); l'elencazione tassativa delle ipotesi di nullità; l'assoggettamento, ancorché in maniera diversificata, a termini di decadenza dell'impugnazione tanto delle delibere annullabili quanto delle delibere nulle e finendo finanche a precludere, in presenza di determinati fatti, non solo l'impugnazione, ma la stessa possibilità di pronunziare l'invalidità (ad es., art. 2504-quater c.c. applicabile, ai sensi dell'art. 2506-ter c.c. anche alla scissione societaria).

Anche la giurisprudenza, peraltro, ha tenuto in primario conto le esigenze di stabilità interne all'assetto societario così rendendo ancora più importante l'istituto della sospensione dell'esecuzione delle delibere assembleari. È stato, infatti, affermato che l'annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 2378, comma 3 c.c., non incide - ancorché ne possa derivare una modifica della composizione della maggioranza allorquando non sia stata seguita dall'integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci - sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza, poiché l'omessa adozione del provvedimento di sospensione rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, resistendo, peraltro, tale legittimità anche al sopravvenire del suo annullamento, la cui efficacia, sebbene in linea di principio retroattiva, è pur sempre regolata dalla legge ed operante nei soli limiti da essa sanciti, tanto rivelandosi affatto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali (Cass., 27 febbraio 2013, n. 4946).

Nell'ambito tracciato dalle scelte legislative e dal descritto orientamento della giurisprudenza, appare del tutto manifesta la decisività, nell'ottica di tutela del socio, della questione circa l'ampiezza del perimetro operativo della sospensione cautelare delle delibere assembleari. Il provvedimento di sospensione, quindi, assume il ruolo e la funzione, anche strategica, di impedire il consolidamento degli effetti già prodottisi o in via di produzione e, quindi, di assicurare che sussistano le condizioni, in fatto, per l'utile esplicarsi degli effetti della pronunzia di annullamento o di nullità emessa all'esito del giudizio di merito.

Osservazioni

La natura anticipatoria della sospensione.

La riforma organica del diritto societario di cui al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 è intervenuta sul problema della sospensione delle deliberazioni assembleari impugnate, ma, pur confermando il carattere cautelare di essa (sul punto, Cass., 8 febbraio 2005, n. 2524), non ha inciso sulla questione di fondo, già oggetto di contrasti nella dottrina e nella giurisprudenza anteriore, concernente la natura del provvedimento di sospensione. L'esame di una simile problematica, lungi dal rimanere confinata ad un dibattito astratto, ha significative ricadute pratiche, segnatamente per la risoluzione della questione concernente la utilizzabilità del rimedio in argomento in tutte quelle fattispecie di deliberazioni che non richiedono una vera e propria esecuzione in senso tecnico, derivando la modificazione della realtà organizzativa della società direttamente dalla decisione assembleare e non già da una sua successiva attuazione fenomenica. Il problema si pone, in particolare, per le delibere di nomina e revoca degli amministratori, di approvazione del bilancio di esercizio, di modificazione dello statuto, di esclusione di soci, per quelle aventi ad oggetto operazioni sul capitale e per le delibere negative.

Premesso che in questa sede verranno analizzate soltanto le deliberazioni di nomina e revoca degli amministratori, appare opportuno indagare, in primo luogo, la natura del provvedimento di sospensione essendo quest'ultimo da una parte degli interpreti concepito come meramente conservativo e da altra parte come anticipatorio di un futuro provvedimento di merito.

Secondo una parte della dottrina, la natura meramente conservativa sarebbe più coerente con i principi che regolano l'ambito in cui la misura cautelare è destinata ad operare: la sospensione sarebbe idonea non già ad anticipare gli effetti della sentenza di annullamento, ma ad impedire che, dal momento della pronunzia dell'ordinanza da parte del giudice, la delibera possa produrre ulteriori effetti (A. Scala, Profili processuali dei nuovi artt. 2377 e 2378 in tema di impugnazione delle delibere assembleari invalide, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, II, Torino, 2006, 285; A. Bertolotti, Assemblea, in Assemblea e amministratori, a cura di G. Cavalli, Torino, 2013, 360).

Una simile ricostruzione sembra presupporre sussistente uno iato temporale e logico-giuridico tra l'approvazione della deliberazione e la sua esecuzione: la sospensione, dunque, assumerebbe la funzione di evitare di colmare il percorso che dalla delibera come atto interno porta la medesima ad acquisire effetti come atto esternalizzato in atti esecutivi (così, I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, in Giur. comm., 2008, II, 78 che critica una simile ricostruzione dell'istituto definita formalistica; ma anche I. Kutufà, Delibere assembleari self-executing e tutela cautelare, in Dir.comm., 2017, 4, I, 720). Da qui, coerentemente, l'impossibilità di predicare il ricorso alla sospensione per tutte quelle delibere nelle quali, per la loro stessa struttura, è assente una qualche distanza tra approvazione ed esecuzione. Tale ricostruzione è stata accolta anche da una parte della giurisprudenza sia di legittimità che di merito (Cass., 14 ottobre 1993, n. 10172 e Cass., 14 novembre 1992, n. 12238; Trib. Torino, 9 giugno 2003, in Giur. it., 2003, 1871; Trib. Milano, 24 aprile 2002, in Giur. it., 2002, 2101).

Coerentemente con l'impostazione descritta, tale orientamento (G. Falzone, L'inibitoria giudiziale dell'operatività degli atti giuridici, Milano, 1976, 28 ss.) conclude affermando che, anche a seguito dell'ordinanza di sospensione, rimangono fermi gli effetti già prodottisi della deliberazione: la sospensione ha, dunque, il limitato fine di impedire la possibilità che la delibera costituisca il presupposto per l'adozione di ulteriori determinazioni da parte di tutti gli organi sociali, vincolando gli amministratori a non darvi esecuzione.

Oggi, l'orientamento ora descritto, che rimarca la differenza contenutistica tra sentenza di merito ed istituto della sospensione, si fonda su un argomento letterale ed un argomento logico. Quanto al primo, si osserva che l'art. 2378 c.c. parla di sospensione dell'«esecuzione» facendo così riferimento alla possibilità della deliberazione di essere eseguita. Sul piano sistematico, inoltre, sospendere ciò che ha già trovato, dal punto di vista materiale o giuridico, esecuzione sarebbe, da un lato, privo di senso logico e, dall'altro, neppure materialmente possibile, potendosi soltanto rimuovere ciò che è già stato eseguito: una simile operazione non rientra, però, tra i poteri del giudice della cautela, ma soltanto tra quelli del giudice del merito. La sospensione, dunque, assumerebbe natura meramente conservativa senza disporre una regolamentazione anticipata del rapporto che deriverà, in via esclusiva, dalla sentenza di merito ed a condizione che quest'ultima venga emessa.

La natura conservativa del provvedimento di sospensione è stata, però, sottoposta a critica da altra parte degli interpreti che hanno svalutato l'argomento letterale e rivalutato, sul piano sistematico, la possibilità per una misura cautelare di anticipare gli effetti della decisione finale. Già prima della riforma del diritto societario, parte della dottrina era giunta ad una interpretazione estensiva del concetto di esecutività tale da ricomprendervi la stessa efficacia della deliberazione, affermando la possibilità di sospendere ogni «situazione effettuale che la volontà espressa della delibera è intesa a creare» (C. Zaganelli, Sulla sospensione di delibere di nomina di amministratori di società per azioni e cooperative, in Giur. Comm., 1976, II, 369). In questa prospettiva, il termine esecuzione non andrebbe interpretato come attinente alla fase materiale del deciso assembleare, ma con riferimento alla possibilità di (ulteriore) efficacia della deliberazione ed alla sua idoneità di produrre effetti nella vita e nell'organizzazione sociale (U. Corea, art. 2378, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015, 1794; U. Corea, La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionali, Torino, 2008; 222 ss.). Si afferma (I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 88; I. Kutufà, Delibere assembleari self-executing e tutela cautelare, cit., 729) che, «considerando in senso ampio i concetti di esecuzione della deliberazione e sua efficacia, si arriva a considerare come ancora in corso di esecuzione e suscettibile di essere sospesa una delibera di cui si possa ravvisare una efficacia ulteriore e più ampia, proiettata al di là di quella già conseguita con l'esecuzione “tecnica” o in senso stretto» (così, anche, R. Bernabai, La sospensione cautelare “speciale” delle delibere assembleari, in Soc., 2013, 849; U. Corea, art. 2378, cit., 1794; R. Sacchi, A. Vicari, Invalidità delle deliberazioni assembleari, in Le nuove S.p.A., a cura di Cagnasso e Panzani, I, Bologna, 2010, 687; S.A. Villata, Impugnazione di delibere e cosa giudicata, Milano, 2006, 505).

Oggi tale orientamento appare confortato dalla lettera della norma di cui al quinto comma dell'art. 35 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 che attribuisce agli arbitri cui l'atto costitutivo devolva anche la controversia avente ad oggetto la validità di delibere assembleari «sempre» il potere di disporre, con ordinanza non reclamabile, la sospensione dell'«efficacia» della delibera. Ora, l'interpretazione delle due norme deve tendere ad uniformare le due ipotesi (sospensione disposta dal giudice ordinario e sospensione disposta dall'arbitro) dovendosi ritenere del tutto irrazionale prima ancora che inammissibile, da una parte, declinare in maniera diversa il perimetro della tutela in relazione ad una identica fattispecie e, sotto altro profilo, l'attribuzione agli arbitri di un potere cautelare maggiore rispetto a quello del giudice statale (sulla tematica prospettata, si rinvia a G. Romano, La sospensione cautelare delle delibere assembleari. Profili problematici, in M. Cera, P.F. Mondini, G. Presti, La riforma del diritto societario nella giurisprudenza delle imprese, Milano, 2017, 44 ss.).

D'altra parte, il circoscrivere l'istituto della sospensione ad un ambito prettamente conservativo costituirebbe un «irragionevole tradimento della ratio normativa e, in definitiva, una intollerabile lesione del “diritto alla cautela” costituzionalmente garantito» (U. Corea, art. 2378, 1793; C. Zaganelli, Sulla sospensione di delibere di nomina di amministratori di società per azioni e cooperative, cit., 363; Tuccillo, La sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari, in Codice delle misure cautelari societarie, a cura di L. Nazzicone, Torino, 2012, 151). Il fondamento logico della ammissibilità di una tutela anticipatoria sta nella circostanza che non può esservi distinzione tra efficacia sostanziale della deliberazione e mera esecuzione della stessa (R. Tuccillo, La sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari, cit., 160) e ciò in quanto il termine esecuzione fa riferimento ad una fase realizzativa di quanto deliberato dalla volontà sociale. In questa prospettiva, la funzione cautelare ex art. 2378 c.c. è essenzialmente anticipatoria ed il giudice dovrebbe operare una valutazione prognostica rispetto all'esito probabile del giudizio di merito avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione ed accogliere la richiesta di sospensione ogni qual volta tale valutazione prognostica dia esito positivo, sempre che sussista, ovviamente, anche il requisito del periculum in mora (così, I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 91).

La natura anticipatoria della sospensione cautelare della deliberazione è stata, peraltro, in più occasioni affermata dalla giurisprudenza di merito. Diversi giudici hanno, infatti, espressamente dichiarato che il provvedimento cautelare di sospensione di una delibera assembleare è idoneo ad anticipare gli effetti della decisione di merito e pertanto esso non perde efficacia in caso di estinzione del giudizio di merito (ex plurimis, Trib. Milano, 22 aprile 2011, in Giur. it., 2012, 100 e in Soc., 2011, 858; Trib. Venezia, 30 dicembre 2010, in Giur. it., 2012, 895).

In definitiva, secondo una simile lettura, ai fini dell'individuazione del perimetro di operatività dell'istituto della sospensione, non occorre guardare alla tipologia delle singole delibere al fine di selezionare quali effetti siano compatibili con ciascuna di esse, ma concludere affermando che la tutela cautelare assume un ambito applicativo sostanzialmente coincidente con quello del provvedimento di merito anticipando gli effetti che si produrranno con la sentenza di merito (I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 88).

Generalmente, peraltro, l'unico limite che si ritiene ostativo alla concessione del provvedimento di sospensione è costituito dall'essersi definitivamente realizzati ed esauriti tutti gli effetti della delibera tanto da divenire irreversibili (U. Corea, Art. 2378, cit., 1796; I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 92. In giurisprudenza, Trib. Padova, 21 maggio 2005 e Trib. Padova, 8 giugno 2005 (ord.), in Corr. giur., 2006, 1283 ss.; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 20 aprile 2001, in Gius, 2002, 446). Diversamente, là dove è possibile intravedere la perdurante efficacia della deliberazione, deve ritenersi ammissibile l'adozione di un provvedimento cautelare di sospensione ai sensi dell'art. 2378, comma 4, c.c. L'affermazione, tuttavia, merita una precisazione. Come è stato osservato (U. Corea, Art. 2378, cit., 1796), il limite della compiuta produzione degli effetti giuridici dovrebbe essere valutato non già come limite - dovrebbe dirsi di ordine astratto e generale - alla concedibilità della cautela, ma come elemento da collocare e da valutare nell'ambito del periculum in mora che potrà rilevarsi, in tali casi, assolutamente carente o comunque recessivo rispetto al danno potenziale per la società.

In definitiva, pur con i limiti ora descritti, sono sospendibili le deliberazioni che continuano a manifestare una perdurante efficacia rispetto all'organizzazione societaria e alle correlate posizioni dei soci, non già in via di mero riflesso, ma di diretta incidenza sull'organizzazione sociale (così, testualmente, R. Tuccillo, La sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari, cit., 158; R. Bernabai, La sospensione cautelare “speciale” delle delibere assembleari, cit., 548). In tali casi, il provvedimento di sospensione dell'efficacia è idoneo neutralizzare gli effetti della delibera rispristinando la situazione giuridica preesistente. Ciò, peraltro, non esclude la diversità degli effetti tra sospensione ed annullamento, in quanto quelli prodotti dall'ordinanza di sospensione sono soltanto transeunti, conformemente alla natura provvisoria della sospensiva (U. Corea, Art. 2378, cit., 1798).

Le deliberazioni self executing. La deliberazione di nomina degli amministratori.

Come già accennato, il problema della natura del provvedimento di sospensione si è posto, in particolare, con riferimento a quelle deliberazioni che non necessitano di ulteriori atti di esecuzione sia perché già materialmente eseguite sia perché tecnicamente prive di esecuzione (deliberazioni c.d. self-executing) ovvero ancora per quelle deliberazioni che, pur se già eseguite, siano comunque idonee a produrre effetti nell'organizzazione sociale.

Il dibattito che ne è derivato sul punto in dottrina ed in giurisprudenza ha sostanzialmente finito per polarizzare due posizioni: da una parte, coloro che ritengono la natura conservativa della sospensione optano per l'impossibilità del ricorso ad un simile provvedimento in caso di delibere autoesecutive; dall'altra, coloro che ravvisano la natura anticipatoria sono inclini a concedere, anche in tali casi, la cautela in argomento, eventualmente, come già evidenziato, con il limite del totale esaurimento degli effetti della decisione dell'assemblea.

Il primo caso di deliberazioni per le quali si pone il problema in argomento è costituito dalla deliberazione avente ad oggetto la revoca o la nomina dei nuovi amministratori: tale delibera, infatti, è stata storicamente considerata il prototipo di delibera self executing immediatamente produttiva di effetti giuridici senza necessità di successivi atti di esecuzione (così, A. Pavone La Rosa, La rinnovazione delle deliberazioni assembleari invalide, in Banca, borsa, tit. cred., 1954, I, 893 ss., il quale configura la delibera di nomina degli amministratori come una dichiarazione unilaterale di conferimento di un potere amministrativo e gestorio, che produce di per sé un mutamento nei rapporti con i terzi, senza che occorra alcuna attività esecutiva da parte dell'organo amministrativo). Si può, sul punto, incidentalmente osservare (per tutti, M. Aiello, Gli amministratori di società per azioni, in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 16, VI, Torino, 2011, 26 ss.) che la designazione da parte dell'assemblea non è idonea, da sola, a determinare il perfezionamento del rapporto tra società ed amministratore che presuppone pur sempre il consenso dell'interessato. Così, l'assunzione della carica di amministratore non è automatica, ma richiede un atto di accettazione per il quale, però, non sono previste formule sacramentali e che può essere integrato anche da fatti concludenti perché consistenti in atti positivi incompatibili con la volontà di rifiutare la nomina (su tale ultimo punto, in particolare, Cass. 22 maggio 2001, n. 6928; Trib. Roma, 19 giugno 2013, in Pluris). Pertanto, anche alla luce dell'orientamento che definisce come conservativo il provvedimento di sospensione, sussiste un (piccolo) spazio per disporre la sospensione dell'esecuzione della delibera: la sospensione, infatti, dovrebbe intervenire prima dell'accettazione da parte dell'interessato.

Sul presupposto che non è possibile sospendere ciò che è stato già eseguito, si evidenzia - al fine di escludere la possibilità di sospensione - che la delibera, con la nomina degli amministratori, ha già raggiunto il suo scopo (R. Provinciali, Presupposti del procedimento di sospensione di delibere assembleari, in Dir. fall., 1952, II, 61 ss. In giurisprudenza, Trib. Milano, 24 aprile 2002, in Giur. it., 2002, 2101; Trib. Monza, 28 settembre 1981, in Giur. comm., 1982, II, 333 ss.; Trib. Genova, 24 maggio 1989, in Giur. comm., 1992, II, 344).

Altra parte della dottrina e della giurisprudenza ha posto in evidenza l'irrazionalità di una soluzione negativa del problema in quanto la delibera di nomina costituisce l'atto che attribuisce agli amministratori il potere di rappresentare la società e di porre in essere gli atti rientranti nell'oggetto sociale e, quindi, uno dei momenti cruciali della vita societaria (in questo senso, Trib. Piacenza, 6 maggio 1989, in Soc., 1989, 1167 secondo il quale il provvedimento di sospensione, essendo un provvedimento cautelare ed urgente tende a bloccare gli effetti futuri della delibera e cioè gli atti di gestione della società, ossia l'esecuzione da parte degli amministratori del mandato ricevuto con la delibera impugnata; Trib. Nocera Inferiore, 28 luglio 2003, in Giur. it., 2004, 2004, 115).

In altre parole, se si sposta la prospettiva dall'esecuzione della deliberazione in senso tecnico all'efficacia della medesima e, quindi, alla idoneità di essa ad incidere in via permanente sugli assetti organizzativi dell'ente, allora non dovrebbero esservi ostacoli ad ammettere la sospensione. In altre parole, la delibera di nomina degli amministratori, seppur eseguita già con l'insediamento dei nominati, è destinata a produrre i propri effetti per l'intero periodo di gestione della società da parte di quegli amministratori così designati, in considerazione di tutte le operazioni, vincolanti per la società stessa, che potranno essere decise ed attuate dai medesimi soggetti eletti (I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 91; I. Kutufà, Delibere assembleari self-executing e tutela cautelare, cit., 725). Paralizzando l'efficacia della delibera impugnata con neutralizzazione degli effetti giuridici dell'atto di nomina, la sospensione evita che i nuovi soggetti nominati possano gestire la società nelle more dell'accertamento dei vizi che afferiscono all'atto di nomina (Così, R. Gismondi, Registro delle imprese e provvedimenti cautelari societari, in Codice delle misure cautelari societarie, a cura di L. Nazzicone, Torino, 2012; R. Tuccillo, La sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari, cit., 160. Favorevole alla possibilità di sospendere le delibere di nomina degli amministratori anche F. Bonelli, Gli amministratori di società per azioni a dieci anni dalla riforma del 2003, Torino, 2013, 17).

In questo ordine di concetti, anche a volere ammettere che l'unico limite alla concessione del provvedimento di sospensione sia costituito dal completo esaurimento degli effetti ed alla loro irreversibilità, nel caso in esame l'irreversibilità non si realizza per il solo fatto dell'assunzione della deliberazione di nomina, in quanto ad essa si ricollega un'efficacia ed una imperatività destinate a protrarsi nel tempo (I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 92).

Anche la giurisprudenza maggioritaria ritiene ammissibile il provvedimento di sospensione della delibera di nomina dei componenti degli organi sociali in quanto la nomina è destinata a produrre o a mantenere effetti nel tempo (Trib. Bari, 18 maggio 1999, Giur. comm., 2000, II, 333; Trib. Napoli, 13 gennaio 1993, Dir. fall., 1993, II, 572; Trib. Milano, 21 giugno 1988, in Giur. it., 1989, I, 224).

Una volta ammessa la possibilità di sospendere l'efficacia della deliberazione di nomina o di revoca degli amministratori, il dibattito si sposta necessariamente in ordine alle conseguenze che il provvedimento cautelare provoca sull'assetto societario (sul punto, I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, cit., 92 nt. 22). Se sussiste concordia in ordine alla circostanza che la sospensione della delibera avente ad oggetto la revoca di un amministratore implica la sospensione degli effetti delle deliberazioni che ne sono logicamente la conseguenza, quale la nomina dell'amministratore in sostituzione di quello revocato (Trib. Milano, 26 luglio 1997, in Giur. it., 1998, 93; Trib. Napoli, 9 febbraio 1993, in Dir. giur., 1994, 401), problematica è, invece, la possibilità di ravvisare, quale effetto del provvedimento di sospensione e quindi del venir meno dei poteri in capo ai soggetti nominati, il ripristino della situazione antecedente e, precisamente, la reintegrazione nelle funzioni gestorie dei vecchi amministratori.

Deve essere scartata la possibilità che l'effetto del provvedimento di sospensione sia quello di privare la società del proprio organo amministrativo: se tale fosse l'effetto, infatti, la deliberazione di nomina dei nuovi amministratori non potrebbe essere mai sospesa perché difetterebbe, sempre e per definizione, il requisito del periculum in mora. Il giudizio comparativo imposto dal quarto comma dell'art. 2378 c.c. dovrebbe essere risolto a scapito del socio impugnante ed a favore della società la quale correrebbe il rischio di trovarsi, per un periodo indefinito, priva di amministratori e, quindi, paralizzata nella propria attività sociale. Per le medesime ragioni non appaiono pienamente soddisfacenti le, pur apprezzabili, soluzioni che individuano il rimedio nella norma (art. 2386 u.c. c.c.) che consente al collegio sindacale di convocare d'urgenza l'assemblea: secondo una simile ricostruzione, sarà l'assemblea a nominare un organo amministrativo interinale, la durata dei cui compiti potrà dirsi terminata nel momento in cui il consiglio sospeso dovesse essere reintegrato nelle sue effettive funzioni o nel momento in cui divenisse definitivo (nel merito) l'accertamento giudiziale di invalidità della deliberazione (R. Tuccillo, La sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari, cit., 160). Tale soluzione non appare appagante in quanto non idonea a prevenire situazioni di possibile stallo, ben potendosi verificare l'ipotesi in cui l'assemblea non riesca a nominare i nuovi amministratori.

Alla luce delle precedenti considerazioni ed in virtù della natura anticipatoria del provvedimento di sospensione, appare ammissibile che la sospensione della deliberazione di nomina dei nuovi amministratori sia idonea a comportare la reintegrazione nelle funzioni gestorie degli amministratori illegittimamente sostituiti. In questa prospettiva, il ripristino della situazione preesistente e quindi la restituzione dei poteri agli amministratori revocati (così, anche Trib. Napoli, 23 febbraio 1990, in Dir. fall., 1990, II, 911), contemporaneamente alla sterilizzazione, salvi gli atti già compiuti, degli effetti della deliberazione stessa, assolve pienamente alla funzione di assicurare la salvaguardia della situazione incisa dalla deliberazione illegittima.

Il periculum in mora: il giudizio comparativo.

Il quarto comma dell'art. 2378 c.c., innovando il sistema previgente che faceva riferimento ai gravi motivi, ha tipizzato il periculum in mora: il giudice è oggi chiamato ad operare una valutazione comparativa del pregiudizio che subirebbe il ricorrente dall'esecuzione della deliberazione impugnata e del danno che subirebbe la società dalla sospensione dell'esecuzione. Il legislatore sembra così volere introdurre una sostanziale deroga al principio generale per il quale il periculum in mora va valutato con riferimento alla posizione soggettiva di colui che chiede la tutela cautelare così amplificando, anche sotto questo profilo, la tutela della stabilità degli atti societari (in questo senso, da ultimo, Trib. Napoli, 14 maggio 2014 cit.) che può giungere a conservare l'efficacia di una deliberazione che, sia pure sulla base della cognizione sommaria devoluta al giudice della cautela, appare adottata in violazione della legge o dello statuto.

La norma richiede la valutazione della sussistenza di un nesso causale fra l'esecuzione (ovvero la protrazione dell'efficacia) della deliberazione impugnata ed il pregiudizio temuto e implica l'apprezzamento comparativo della gravità delle conseguenze derivanti, sia al socio impugnante sia alla società, dalla esecuzione e dalla successiva rimozione della deliberazione impugnata (diversamente, R. Sacchi, A. Vicari, Invalidità delle deliberazioni assembleari, cit., 689 secondo i quali il descritto orientamento comporterebbe necessariamente un radicale ridimensionamento della tutela cautelare: infatti, in questa prospettiva, «ove si procedesse ad una valutazione comparativa fra il pregiudizio che il ricorrente subisce dall'esecuzione della deliberazione e quello che la società subisce dalla sospensione, è evidente che le chances di tutela reale affidate alla possibilità di ottenere la sospensione risulterebbero di difficile realizzazione». Pertanto, gli A. propongono «di procedere ad una valutazione comparativa tra l'interesse sociale a realizzare l'operazione contemplata dalla delibera e l'interesse economico del socio uti socius (ovvero l'interesse economico altrettanto sociale di tutti i soci in quanto tali)».).

Così, sulla base della considerazione che «la norma, pur senza elevare l'interesse della società al di sopra di quello del socio impugnante, certamente sottende l'intento del legislatore di proteggere l'attività del gruppo e l'assetto di interessi che la società ha voluto realizzare attraverso le determinazioni dei propri organi», il provvedimento cautelare di sospensione dell'efficacia della delibera potrebbe essere concesso soltanto «ove si ritenga prevalente rispetto al corrispondente pregiudizio che potrebbe derivare alla società per l'arresto subito alla sua azione il pregiudizio lamentato dal socio» (Così U. Corea, Art. 2378, cit., 1785 ss.). E secondo altra, più rigorosa dottrina, la prevalenza dovrebbe intendersi nel senso, oltre che di oggettiva gravità per ciascuna delle parti, di irreversibilità assoluta o relativa degli effetti dannosi sempre a carico di una parte o dell'altra (G. Arieta, F. De Santis, Diritto processuale societario, Torino, 2004, 436).

Si avverte, tuttavia, con riferimento al requisito in argomento, una particolare difficoltà definitoria e di classificazione generale del giudizio che deve essere compiuto da parte del giudice: il giudizio comparativo non appare in alcun modo schematizzabile astrattamente dovendo essere valutato a seconda della tipologia di deliberazione impugnata e secondo le peculiarità del caso concreto.

Nel caso in cui sia impugnata una deliberazione di nomina del nuovo organo gestorio potrà essere presa in considerazione la professionalità dei componenti del consiglio di amministrazione o dell'amministratore unico nominato con la delibera incriminata ovvero la loro «vicinanza» ai soci di maggioranza che lasci fondatamente ritenere che egli eserciterà i poteri connessi alla propria carica non già nell'interesse della società, ma esclusivamente in favore di quello degli azionisti di cui egli è espressione (Trib. Palermo, 24 gennaio 2013, in Soc., 2013, 1046 secondo la quale nella valutazione comparativa ai fini della sospensione dell'esecuzione della deliberazione impugnata, il pregiudizio derivante alla società dalla reintegrazione nella carica dell'amministratore revocato, privo della fiducia dei soci di maggioranza, oltre che dal ravvicinato e reiterato avvicendamento di amministratori, è maggiore di quello derivante allo stesso amministratore dalla mancata sospensione).

In definitiva, la valutazione comparativa degli interessi coinvolti deve essere governata dal giudice con estrema cautela, in quanto l'eventuale prevalenza del pregiudizio che la società subirebbe dalla sospensione della delibera comporta l'efficacia di delibere che saranno, con ragionevole certezza, annullate all'esito del giudizio di merito con conseguenti difficoltà di ripristinare lo status quo ante. E in tale valutazione occorre sempre considerare l'orientamento, citato in apertura di questo intervento, della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, ad esempio, le successive deliberazioni dell'assemblea assunte sulla base delle maggioranze formatesi in ragione di una deliberazione di aumento di capitale non sospesa, ma poi annullata, mantengono la propria validità ed efficacia.

Conclusioni

Il provvedimento qui annotato ha ribadito l'indirizzo che sembra oggi maggioritario secondo il quale possono essere oggetto di sospensione cautelare tutte quelle deliberazioni che, indipendentemente dall'esistenza di una fase tecnica di «esecuzione», possono svolgere la loro «efficacia» organizzativa nell'ambito della vita societaria. Tuttavia, come correttamente evidenziato nell'ordinanza, tale possibilità viene meno ogni qualvolta quella deliberazione abbia - per qualsiasi motivo e, in particolare, per essere intervenuta una successiva deliberazione di nomina di nuovi amministratori - esaurito tutti i propri effetti: in tali casi, infatti, l'organizzazione societaria non è più governata dalla deliberazione oggetto dell'impugnazione con la conseguenza che, non potendosi ravvisare alcuna perdurante efficacia di essa, vengono meno gli stessi presupposti per disporne la sospensione in via cautelare.

Guida all'approfondimento

S.A. Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, 2006;

R. Tuccillo, La sospensione dell'esecuzione delle deliberazioni assembleari, in Codice delle misure cautelari societarie, a cura di L. Nazzicone, Torino, 2012;

U. Corea, La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionali, Torino, 2008;

U. Corea, art. 2378, in Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2015;

Scala, Profili processuali dei nuovi artt. 2377 e 2378 in tema di impugnazione delle delibere assembleari invalide, in Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, II, Torino, 2006;

I. Kutufà, La sospendibilità di delibere assembleari già eseguite, in Giur. comm., 2008, I, 78 ss.;

I. Kutufà, Delibere assembleari self-executing e tutela cautelare, in Dir.dir.comm., 2017, 4, I, 719 ss.;

R. Sacchi, A. Vicari, Invalidità delle deliberazioni assembleari, in Le nuove S.p.A., a cura di Cagnasso e Panzani, I, Bologna, 2010;

A. Bertolotti, Assemblea, in Assemblea e amministratori, a cura di G. Cavalli, Torino, 2013, 334 ss.;

G. Arieta, F. De Santis, Diritto processuale societario, Torino, 2004;

F. Guerrera, La responsabilità “deliberativa” nelle società di capitali, Torino, 2004

C. Zaganelli, Sulla sospensione di delibere di nomina di amministratori di società per azioni e cooperative, in Giur. Comm., 1976, II, 369.

G. Falzone, L'inibitoria giudiziale dell'operatività degli atti giuridici, Milano, 1976

Libertini-Mirone-Sanfilippo, L'assemblea di società per azioni, Milano, 2016

G. Romano, La sospensione cautelare delle delibere assembleari. Profili problematici, in M. Cera, P.F. Mondini, G. Presti, La riforma del diritto societario nella giurisprudenza delle imprese, Milano, 2017

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