Disdetta del locatore e morosità degli oneri condominiali

Maurizio Tarantino
11 Luglio 2018

Tizio ha locato un immobile nel 2009 con un contratto 4+4, alla prima scadenza è stato modificato con un 3+2 equo canone, all'ulteriore scadenza dei tre anni è stato modificato con un altro 3+2 ma con un canone di locazione inferiore. Ora siamo alla scadenza del primo triennio e vorrebbe fare disdetta. È corretto interpretare i tre contratti come un unicum per il quale non vi è mai stata novazione e quindi la disdetta non è vincolata ai gravi motivi o alle motivazioni ex art. 3 legge 431/98? Ed ancora, essendo il conduttore debitore per oneri condominiali del 2012 l'interpretazione di una mancata novazione può portare a uno sfratto per morosità?

Tizio ha locato un immobile nel 2009 con un contratto 4+4, alla prima scadenza è stato modificato con un 3+2 equo canone, all'ulteriore scadenza dei tre anni è stato modificato con un altro 3+2 ma con un canone di locazione inferiore. Ora siamo alla scadenza del primo triennio e vorrebbe fare disdetta. È corretto interpretare i tre contratti come un unicum per il quale non vi è mai stata novazione e quindi la disdetta non è vincolata ai gravi motivi o alle motivazioni ex art. 3 legge 431/98? Ed ancora, essendo il conduttore debitore per oneri condominiali del 2012 l'interpretazione di una mancata novazione può portare a uno sfratto per morosità?

In merito ai quesiti in oggetto si evidenzia che la legge n. 431/1998 prevede la possibilità che il padrone di casa (locatore), da una parte, e inquilino (conduttore), dall'altra, scelgano tra due diverse tipologie di contratto: 1) contratti a canone libero; 2) contratti a canone concordato.

Mentre nel contratto a canone libero (4+4) il canone annuo è liberamente determinato dalle parti, nel contratto a canone concordato (3+2) le parti devono rispettare le condizioni contrattuali previste in appositi accordi definiti in sede locale fra le organizzazioni maggiormente rappresentative della proprietà edilizia e dei conduttori. Dunque, in tale ultima ipotesi contrattuale, il canone annuo è stabilito in base a tali accordi e la durata è fissata in un minimo di tre anni, con una proroga di altri due se non sussistono particolari necessità del locatore. A tal proposito, giova ricordare che il d.m. 16 gennaio 2017 ha sostituito le disposizioni del d.m. 30 dicembre 2002, ridefinendo i criteri generali e le condizioni per stipulare un contratto a canone concordato.

Premesso quanto innanzi esposto, in merito al primo quesito, si osserva che non è corretto interpretare i tre contratti come un unicum.

Per meglio dire, dal momento che sono differenti le tre tipologie dei citati contratti, è evidente che è stato necessario chiudere anticipatamente un contratto prima di stipularne uno nuovo. Difatti, si è passato da un contratto a canone libero ad un nuovo contratto a canone concordato. Allo scadenza di questo, non vi è stato un rinnovo (biennale) a nuove condizioni, ma un ulteriore “nuovo” contratto con un canone inferiore al precedente. Pertanto in riferimento a quest'ultimo contratto la disdetta del locatore sarà vincolata ai gravi motivi o alle motivazioni ex art. 3 l. n. 431/1998. Sul punto la Suprema Corte è stata alquanto chiara nell'affermare che il secondo inciso dell'articolo 2, comma 5, della legge n. 431/1998 deve interpretarsi nel senso che la locazione si intende prorogata di un biennio alla scadenza del triennio di durata previsto dalla legge sempre che il locatore non abbia in relazione a essa dato la prevista “disdetta motivata” (Cass. civ., sez. III, 4 agosto 2016, n. 16279).

Quanto al secondo quesito, si precisa che in base alla legge (art. 5, l. n. 392/1978), anche se l'inquilino è in regola con il versamento dell'affitto, il locatore può intimargli lo sfratto se non paga le spese di condominio e/o tutti gli altri oneri accessori. Perché ciò sia possibile, però, è necessario che la morosità superi una determinata soglia: per le locazioni ad uso abitativo l'ammontare dovuto deve superare l'importo corrispondente a due mensilità di canone. Ne consegue che è ininfluente la diversità dei contratti in quanto quello che rileva per la legge è l'ammontare della morosità.

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