Impiego di firme elettroniche secondo formati equivalenti e validità dell'atto processuale telematico

Aniello Merone
11 Luglio 2018

Le Sezioni Unite sono state chiamate ad interrogarsi sulla effettiva presenza di una prescrizione sulla forma dell'atto del processo in forma di documento informatico, specie quando tale atto debba essere notificato direttamente all'avvocato di controparte, e se detta prescrizione, ove presente, sia tale da descrivere un requisito indispensabile ai fini del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 2, c.p.c., e, pertanto, posto a pena di nullità ma sanabile in ragione del medesimo principio.
Massima

Secondo il diritto dell'Unione Europea e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione.

Il caso

L'intervento delle Sezioni Unite origina da una vicenda espropriativa presso terzi, caratterizzata dalla circostanza che la sentenza che chiude i gradi di merito sia in concreto oggetto di due susseguenti ricorsi per cassazione promossi dalla stessa parte: il primo, senz'altro tempestivo, veniva operato in presenza di semplice procura generale, mentre il secondo ricorso, sostenuto da specifica e diversa procura speciale, risultava proposto oltre il termine breve, decorrente proprio dalla notifica del primo ricorso, per procedere all'impugnazione.

Tali vicende, tuttavia, sono destinate a rimanere sullo sfondo, poiché l'ordinanza interlocutoria (Cass. civ., 31 agosto 2017, n. 20672), investe le Sezioni Unite della questione circa la ritualità della notifica dei ricorsi (o controricorsi) avvenuta con allegazione al messaggio di PEC di soli files con estensione <*.pdf> e non <*.p7m>, richiedendo, in particolare, di valutare se tale circostanza porti a ritenerli privi di firma digitale.

La questione

Di là dalla manifesta inammissibilità dei ricorsi proposti, le Sezioni Unite sono chiamate ad interrogarsi sulla effettiva presenza di una prescrizione sulla forma dell'atto del processo in forma di documento informatico, specie quando tale atto debba essere notificato direttamente all'avvocato di controparte, e se detta prescrizione, ove presente, sia tale da descrivere un requisito indispensabile ai fini del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 2, c.p.c., e, pertanto, posto a pena di nullità ma sanabile in ragione del medesimo principio.

Le soluzioni giuridiche

Secondo il Collegio rimettente, la prescrizione formale andrebbe ricercata nell'indispensabile ricorso all'estensione <*.p7m>, quale unica in grado di garantire l'apposizione della firma digitale ad un file in cui il documento informatico originale è stato formato, nel caso in cui quest'ultimo risulti creato in formato diverso da quello <*.pdf>. Nella descritta ipotesi, tale esclusiva attitudine del formato CAdES a garantire l'autenticità del file sarebbe corroborata da un'interpretazione delle specifiche tecniche previste dall'art. 34, comma 1, d.m. n. 44/2011 che porterebbe a ritenere come la notifica di un allegato in formato <*.pdf>, che sia unito ad un atto del processo in forma di documento informatico, ove sia firmato digitalmente, dovrebbe sempre recare l'estensione <*.p7m>.

Nel caso di specie, i dubbi vengono sollevati rispetto ad un controricorso che reca procura speciale e relazione di notifica firmati digitalmente e notificati mediante un rapporto PEC che contiene gli estremi identificativi di tre allegati con suffisso PAdES, vale a dire sottoscritti con «firma PDF». Sempre secondo il Collegio rimettente, tale modalità dovrebbe ritenersi invalida, atteso che a fronte di un documento, non creato interamente e ab origine su supporto informatico, ma articolato anche su di una parte analogica, l'elaborazione del file in documento informatico con estensione <*.p7m> sarebbe imposta dalla volontà del legislatore di offrire la massima garanzia di conformità del documento al suo originale composito, incorporando i due documenti (quello informatico e quello analogico) in modo inscindibile.

Il tema acquista un rilievo centrale per il giudizio di cassazione, trattandosi di un contesto nel quale il legislatore non ha ancora ritenuto di estendere la normativa del processo civile telematico, e ove pertanto, le forme di deposito tradizionali (cioè cartacee) sono chiamate a convivere con modalità di comunicazioni e notificazioni, anche da parte delle cancellerie delle sezioni civili, di conio informatico.

La risposta delle Sezioni Unite si snoda attraverso un'attenta e dettagliata ricostruzione della normativa europea, con il recente Regolamento 910/2014, e nazionale, che prende le mosse sin dalla delibera CNIPA/4/2005, e che conduce ad un'affermazione piuttosto inequivoca del principio di diritto offerto in epigrafe, secondo cui la struttura del documento firmato può essere indifferentemente PAdES o CAdES, tenuto conto che il certificato di firma, inserito nella busta crittografica, è presente in entrambi gli standards, parimenti abilitati.

Come osserva la Suprema Corte, la diversa estensione finale, che nel caso del formato PAdES non è <nomefile.pdf.p7m> ma <nomefile.pdf>, e la sua apparente indistinguibilità rispetto ad un file di analogo formato ma non munito della firma digitale, non ha modo di rilevare, ove si osservi che nella pratica, la busta crittografica generata con la firma PAdES contiene sempre il documento, le evidenze informatiche e i prescritti certificati, nel pieno rispetto delle garanzie previste e rendendo possibile ogni necessaria e successiva verifica.

Pertanto, è escluso che le disposizioni vigenti comportino in via esclusiva l'uso della firma digitale in formato CAdES, laddove, al contrario il formato PAdES è da ritenersi equivalente ed egualmente ammesso dall'ordinamento, sia pure con differente estensione.

Osservazioni

Molteplici i riscontri che nell'ambito del diritto dell'UE e delle norme, anche tecniche, di diritto interno, portano a condividere la decisione della Suprema Corte e a ritenere le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, come equivalenti e, pertanto, entrambe valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione e senza eccezione alcuna.

Da un lato, infatti, il Regolamento UE n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno (cd. Regolamento eIDAS), unitamente alla Decisione di esecuzione (UE) 2015/1506 della Commissione, obbliga gli Stati membri, che richiedono una firma elettronica avanzata, a riconoscere tutte le firme aventi formati convalidati conformemente a specifici metodi di riferimento, tra cui i formati o “profili di base” di cui si discorre, atteso che la loro previa definizione è volta a favorire e facilitare la convalida transfrontaliera delle firme elettroniche e a migliorare l'interoperabilità transfrontaliera delle procedure elettroniche».

Dall'altro lato, anche l'Agenzia per l'Italia Digitale certifica la piena equivalenza delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES, evidenziando come, peraltro, mentre il file con estensione finale <*.p7m> può essere visualizzata solo utilizzando un'applicazione specifica, il file con «firma PDF» e normale estensione <*.pdf> si presenta, invece, più facilmente fruibile, essendo leggibile con tutti i comuni readers disponibili per questo formato e prevedendo diverse modalità per l'apposizione della firma, seppur solo su documenti di tipo PDF.

Inoltre, la piena equivalenza delle firme digitali nei formati CAdES e PAdES è confermata anche dalle specifiche tecniche previste dall'art. 34 d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, precisando che la struttura del documento firmato è PAdES-BES o CAdES-BES, con il certificato di firma che viene inserito nella busta crittografica.

Peraltro, la declinazione del principio rispetto alla validità della procura speciale redatta in formato cartaceo (sottoscritta dal cliente e dall'avvocato difensore per conferma dell'autografia della sottoscrizione dell'assistito) e successivamente notificata quale copia per immagine (in formato PDF) il cui file viene ad essere ulteriormente firmato digitalmente dall'avvocato difensore (in formato PAdES ed estensione <*.pdf>), corrobora l'idea che l'avvocato, in qualità di pubblico ufficiale, abbia il potere di attestare la conformità, oltre che degli originali digitali delle copie del messaggio di posta elettronica certificata inviato al difensore di controparte anche degli atti allegati, inclusa la procura. La circostanza che i relativi files della scansione per immagine in formato PDF, qualora controfirmati dal difensore mediante formato CAdES avrebbero recato il suffisso <*.p7m>, rendendo la presenza della firma digitale facilmente riconoscibile, non può essere considerata in alcun modo decisiva, ove si osservi, da un lato, che anche firmando in formato PAdES è comunque possibile l'eventuale aggiunta del suffisso <*-signed>, volto ad identificare la presenza di una firma digitale, dall'altro lato, che la busta crittografica generata dall'utilizzo della firma contiene, comunque, il documento, le evidenze informatiche e i prescritti certificati.

Infine la sentenza ha solo lambito, pur senza affrontarlo, il tema della riconducibilità delle norme che disciplinano le modalità telematiche per la formazione la trasmissione e il deposito degli atti e dei documenti del giudizio alla categoria di quelle che prescrivono requisiti formali e, pertanto, da esaminare alla luce dei principi ricavabili ex artt. 121 e 156 c.p.c., coniugando il rispetto delle forme legali ad un principio di strumentalità, che le indirizza al perseguimento di un obiettivo processuale unitario. In altri termini, giova chiedersi se il mancato rispetto di una modalità di formazione dell'atto, cioè la violazione delle norme che disciplinandone la forma ne delineano il modello, comporti l'invalidità dell'atto stesso, salve le ipotesi in cui sia stato comunque raggiunto lo scopo al quale il medesimo era rivolto.

Sul punto, si deve osservare come questo nuovo formalismo di matrice tecnica in nessun modo comporta l'individuazione di ulteriori e diversi requisiti contenutistici degli atti, continuando ad essere di riferimento la normativa processuale, e tuttavia, l'impiego del giusto formato appare chiaramente legato al tema della forma dell'atto del processo, tanto da poter indurre a ritenere che l'inosservanza — l'utilizzo di formati diversi da quelli autorizzati dalle regole tecniche — equivalga ad una violazione della forma in ragione dell'art. 156, comma 2, c.p.c., vale a dire derivante dalla mancanza dei requisiti indispensabili per il raggiungimento dello scopo.

In questo senso, i primi orientamenti di merito avevano ritenuto che le regole tecniche contribuissero a fissare requisiti formali indispensabili per assicurare la funzionalità del processo civile telematico, così optando per prognosi di nullità rispetto ai depositi effettuati con formati irregolari. Valorizzando la necessaria adesione degli operatori agli standard tecnici predefiniti, s'individua lo scopo dell'atto processuale telematico nella sua capacità di inserirsi efficacemente in una sequenza intrinsecamente assoggettata a regole che impongono l'adozione di particolari formati in luogo di altri.

Tale orientamento, tuttavia, sembra scontare un eccessivo rigore formalistico che indugia sulla piena utilizzabilità dell'atto e dei suoi elementi, laddove invece lo scopo andrebbe comunque ricercato (di là dal formato utilizzato) nel corretto svolgimento del processo e nel regolare esercizio del diritto di azione e difesa, in un quadro di gestione informatica dei sistemi del PCT.

Se è, infatti, agevole riconoscere ai formati indicati dalle specifiche tecniche una finalità di uniformazione delle attività processuali telematiche — in stretta connessione con la standardizzazione delle modalità redazionali — tuttavia, non sembra che la deviazione dal formato del documento o della firma possa sempre integrare una difformità dal modello legale dell'atto tale da inficiarne la validità, ma piuttosto, specie quando il formato o supporto informatico prescelto rimane nel novero di quelli intellegibili dai sistemi del PCT, si traduca in una mera irregolarità.

In altre parole, ciò che andrà valutato è se l'impiego di un formato diverso da quello previsto (ed eventualmente non autorizzato) impedisce all'atto e ai suoi elementi di rendersi conoscibili al giudice e alle parti del processo, dovendosi ritenere che solo in quel caso si integri un vizio idoneo a paralizzarne la produzione degli effetti tipici, che diversamente non saranno incisi dalla violazione.

D'altronde anche la giurisprudenza di legittimità, sebbene in relazione a fattispecie tra loro eterogenee, ha stabilmente ricondotto il mancato rispetto di forme processuali non espressamente sanzionate alla mera irregolarità, indicando i parametri di una soluzione coerente con le previsioni e i principi generali di cui agli artt. 121 e 156 c.p.c..

Per altro verso, il concretizzarsi di una mera irregolarità, non sufficiente a rendere l'atto inefficace, pone il diverso tema della sua regolarizzazione, atteso che il medesimo, sebbene conoscibile, si pone comunque all'esterno di una normativa tecnica strumentale al corretto funzionamento del sistema del processo telematico. Tale regolarizzazione risulterà pertanto opportuna tutte le volte in cui per suo tramite sarà possibile garantire una corretta prosecuzione del giudizio — con riguardo, ad esempio, alla formazione del fascicolo informatico o alla piena disponibilità e conoscibilità dell'atto in tutti i suoi elementi — nel pieno rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.

Riferimenti
  • Bonafine A., L'atto processuale telematico, Napoli 2017;
  • G.G. Poli, Sulle (nuove forme di) nullità degli atti ai tempi del processo telematico, in Giur. it.,2015, II, 370;
  • Finocchiaro G., Una prima lettura del reg. Ue n. 910/2014 (c.d. EIDAS): identificazione on line, firme elettroniche e servizi fiduciari, in Nuove leggi civ. comm., 2015, III, 419 ss.