L'incentivo all'esodo concesso al D.G. è idoneo a integrare la bancarotta preferenziale

12 Luglio 2018

La genesi della decisione commentata è costituita dal decreto di sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Arezzo, in data 11 aprile 2016. Il Gip, accogliendo solo parzialmente la richiesta di sequestro ...
Massima

È fondata la doglianza che attiene alla mancanza di motivazione relativamente alla richiesta di qualificare l'elargizione della somma di denaro, corrispondente all'indennità di preavviso, in favore del direttore generale, come condotta di bancarotta preferenziale, per essere stato quest'ultimo inquadrato come lavoratore subordinato; atteso che, per affermata giurisprudenza della Corte di cassazione, risponde di bancarotta preferenziale, e non di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato.

fonte IlPenalista

Il caso

La genesi della decisione commentata è costituita dal decreto di sequestro preventivo disposto dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Arezzo, in data 11 aprile 2016.

Il Gip, accogliendo solo parzialmente la richiesta di sequestro preventivo avanzata dalla pubblica accusa, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, aveva disposto l'ablazione del solo importo della c.d. indennità supplementare pari a 474.974,80 euro, corrisposta al direttore generale di Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, quale incentivo all'esodo, sul complessivo importo di 714.604,70 euro.

Avverso tale decisione il pubblico ministero aveva proposto impugnazione, dichiarata inammissibile dal tribunale del riesame, sul presupposto dell'assenza dell'interesse ad impugnare, atteso che il decreto di sequestro era pur sempre un provvedimento di accoglimento della richiesta avanzata dal pubblico ministero, ancorché parziale.

La Corte di cassazione, adita per la prima volta dalla procura della Repubblica, aveva annullato l'ordinanza dello stesso tribunale, ritenendo che il provvedimento di accoglimento parziale conteneva, pur sempre, un parziale rigetto, come tale appellabile e rinviando, dunque, nuovamente al tribunale del riesame.

Quest'ultimo, decidendo in sede di rinvio dalla Suprema Corte, rigettava l'appello proposto dal pubblico ministero.

L'oggetto su cui si è pronunciato il tribunale adito, nello specifico, inerisce alla natura dell'”incentivo all'esodo, sostitutivo dell'indennità di preavviso e dell'indennità supplementare” riconosciuto all'ex direttore generale Bronchi dal Consiglio di Amministrazione, dopo la delibera di revoca di tutti i poteri allo stesso conferiti e di risoluzione contrattuale del rapporto di lavoro, approvato dall'assemblea dei soci.

Il Tribunale del Riesame, nel rigettare l'appello proposto dal Pubblico Ministero, richiamava la normativa contrattuale nazionale (in particolare, gli artt. 28 e 30 del C.C.N.L.) - non essendo ancora vigenti, negli anni 2013 e 2014, i sistemi di incentivazione né i patti di stabilità per i vertici aziendali - che prevedeva, in caso di licenziamento in tronco senza giusta causa, l'indennità di preavviso e, nel caso di licenziamento arbitrario, l'ulteriore indennità c.d. supplementare.

Pertanto, sul presupposto fattuale che l'indennità di preavviso spettava all'ex direttore generale, per il cui importo era stata negata la misura ablativa, il Tribunale rigettava l'impugnazione della Procura.

Avverso la predetta decisione propone ricorso il Procuratore della Repubblica, il quale, articolando due motivi, deduce violazioni di legge in relazione agli artt. 125, comma 3 e 325 c.p.p. nonché agli artt. 321, 322-bis, 325 c.p.p.

Nello specifico, con il primo motivo di ricorso il Pubblico Ministero lamenta la mancanza assoluta di motivazione o comunque la motivazione apparente, in ordine ad elementi decisivi per l'accertamento del fatto.

A dire del ricorrente, il titolo della dazione delle somme di denaro al Bronchi veniva erroneamente qualificato come indennità di preavviso e supplementare dovute per il recesso del rapporto contrattuale, ma era, invece, da ricondursi alla transazione intervenuta tra l'ex direttore generale e il C.d.A. della Banca.

Tale transazione, in particolare, doveva considerarsi sottoscritta in violazione del divieto di incentivo all'esodo sancito nel regolamento della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, in quanto, date le gravi negligenze del dott. Bronchi, quest'ultimo difficilmente avrebbe potuto opporre fondate ragioni ad un eventuale licenziamento.

Oltre a ciò, la transazione veniva considerata “sospetta”, date le modalità anomale di stipulazione, con riferimento, in particolare, alle tempistiche, ai passaggi fittizi e di mera copertura.

Con il secondo motivo di ricorso, infine, il Procuratore lamenta il mancato esame da parte del Tribunale del Riesame della richiesta, avanzata in subordine, di riqualificazione della condotta in bancarotta preferenziale, fondata sul fatto che, anche se inquadrato come lavoratore subordinato, il titolo di pagamento non rientrava tra i crediti per risarcimento del danno subito per effetto del licenziamento inefficace, nullo o annullabile, ai sensi dell'art. 2751-bis c.c.

La questione

La Corte di cassazione viene, anzitutto, chiamata a pronunciarsi sulla sindacabilità, per violazione di legge, dei provvedimenti emessi in sede cautelare reale, soffermandosi, in particolare, sulla distinzione tra la motivazione illogica e quella apparente.

In secondo luogo, ai giudici di legittimità è devoluta la questione attinente alla qualificazione giuridica della condotta estrinsecatasi nell'elargizione della somma di denaro, corrispondente all'indennità di preavviso, in favore del Bronchi.

Le soluzioni giuridiche

Ebbene la Corte prende le mosse dai parametri ermeneutici fissati dalla giurisprudenza di legittimità per distinguere, dalla motivazione illogica, quella apparente.

A questo riguardo, la Corte ricorda il principio di diritto espresso dalla Sezioni unite nella sentenza n. 5876 del 2004, secondo cui in tema di riesame delle misure cautelari, nella nozione di violazione di legge, per cui soltanto è ammesso il ricorso per cassazione, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, non invece l'illogicità, anche manifesta, della stessa, che può essere oggetto di denuncia solo attraverso il motivo enunciato all'art. 606, lettera e), c.p.p.

Sulla scia di tali approdi ermeneutici è stato, successivamente, precisato che per motivazione apparente deve essere intesa quella del tutto avulsa dalle risultanze processuali o che si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa e, quindi, sostanzialmente, quando il percorso logico argomentativo seguito dal giudicante sia “soltanto fittizio” e perciò “inesistente”.

In ragione di quanto considerato, dunque, il Supremo Consesso respinge la doglianza del procuratore della Repubblica, rilevando che il tribunale del riesame ha correttamente motivato in ordine alla natura della dazione effettuata da Banca Etruria, individuandola nell'accordo transattivo concluso tra l'istituto di credito e l'ex direttore generale e non, invece, come voleva il Pubblico Ministero, nelle indennità di preavviso e supplementare, che erano state unicamente prese a parametro per determinare l'importo da liquidare.

Anche con riferimento al secondo profilo di censura evidenziato dal Procuratore della Repubblica, la Corte ritiene la motivazione del tribunale del riesame al più illogica, ma non apparente e, pertanto, immune da censure.

Del resto, nel provvedimento impugnato l'apparato motivazionale era sufficientemente argomentato, avendo, i giudici del Riesame, escluso la sussistenza dell'ipotizzato reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, quantomeno sotto il profilo soggettivo.

Il tribunale aveva, invero, rilevato, in primo luogo, che la corresponsione delle sette mensilità al Bronchi, pari all'indennità di preavviso, era stata ritenuta dovuta perfino dalla Banca d'Italia e, in secondo luogo, che all'epoca in cui era intervenuto l'accordo transattivo non erano ancora dimostrabili i presupposti del licenziamento in tronco per giusta causa e che vi era stata l'asseverazione di un esperto in merito all'utilità, per l'istituto di credito, della sottoscrizione della transazione, rispetto all'eventuale procedura giudiziale.

La Corte di cassazione ritiene, invece, fondato il motivo di ricorso attinente alla mancanza di motivazione relativamente alla qualificazione della condotta come bancarotta preferenziale.

Nel ritenere l'assenza di motivazione del provvedimento impugnato sul punto, il Supremo Consesso dichiara il motivo di appello non manifestamente infondato, sulla scorta dell'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità consolidata, secondo cui l'amministratore che ottenga in pagamento, dalla società che si trova in stato di dissesto, dei crediti relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato, risponde di bancarotta preferenziale.

Per le ragioni sopra esposte, la Corte annulla il provvedimento impugnato rinviando al tribunale del riesame per una nuova valutazione.

Osservazioni

La sentenza si colloca nell'ambito del più ampio e noto caso giudiziario che ha visto coinvolta la governance di Banca Etruria e del Lazio, a seguito della grave situazione di insolvenza in cui la stessa si è venuta a trovare a conclusione delle verifiche eseguite da Banca di Italia negli anni 2012 e 2013, che avevano riscontrato rilevanti criticità relativamente a carenze di funzionalità degli organi dirigenziali, con ricadute sulla qualità del portafoglio crediti, sulla redditività e sul patrimonio da vigilanza, tali da imporre un ricambio degli organi stessi.

La pronuncia involge il delicato e dibattuto profilo della qualificazione della responsabilità dell'amministratore che si ripaghi di un credito, maturato verso la società fallita, con denaro o beni appartenenti al patrimonio sociale.

Il dibattito giurisprudenziale ha oscillato a lungo tra due filoni ermeneutici contrapposti.

In particolare, secondo un primo e più rigido orientamento, in capo all'amministratore che si ripaghi di un proprio credito, allorquando la società versi in stato di dissesto, si configura l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione, non potendo scindersi la qualità di creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà e da quello di tutela del patrimonio sociale.

Secondo un diverso e più risalente indirizzo, avallato anche dalla più autorevole dottrina, nel caso in esame ricorrerebbe, invece, sempre l'ipotesi di bancarotta preferenziale. Tale conclusione deriva dal diverso bene giuridico tutelato dalle due fattispecie criminose in discussione, segnatamente la garanzia patrimoniale, ai sensi dell'art. 2740 c.c., con riferimento alla bancarotta fraudolenta patrimoniale e l'uguaglianza tra i creditori sociali, per quanto riguarda la bancarotta preferenziale.

A mente del citato indirizzo interpretativo, dunque, l'amministratore che si ripaghi di un proprio credito non lede la garanzia patrimoniale, in quanto all'esito del pagamento all'amministratore, la consistenza patrimoniale complessiva non viene alterata; infatti, alla carenza di liquidità impiegata per l'estinzione del credito, fa seguito la diminuzione del passivo fallimentare.

Pertanto, ciò che viene lesa, nelle ipotesi di specie, secondo il citato filone interpretativo, è unicamente la par condicio creditorum nella ripartizione dell'attivo fallimentare.

Non si tratterebbe, infatti, a giudizio di questa giurisprudenza, di una perdita di ricchezza ingiustificata, in quanto se sussiste una ragione giuridica concreta ed effettiva che sorregge la pretesta del creditore, il relativo soddisfacimento non può mai integrare la condotta di fraudolenza patrimoniale.

Resta del tutto irrilevante, inoltre, ai fini della qualificazione giuridica del fatto, la qualifica ricoperta dall'agente, amministratore della società, non facendo alcun distinguo la norma incriminatrice in esame ed essendo, eventualmente, censurabile, il ruolo rivestito, in fase di commisurazione della pena, riconoscendo una maggior gravità alla condotta compiuta da colui il quale è posto proprio a presidio del patrimonio sociale.

Un, seppur parziale, restringimento della latitudine di quest'ultimo orientamento si è registrato in alcune recenti sentenze, tra cui la n. 17792 del 2017, che hanno introdotto come ulteriore criterio di distinzione tra le due ipotesi delittuose, la congruità della controprestazione riscossa rispetto alla pretese creditorie effettive nonché la causa giuridica della corresponsione.

Nella predetta pronuncia, i giudici della Corte hanno affermato che, volendo fare una stretta applicazione delle norme che regolano i compensi degli amministratori in ambito civile, dovrebbe ritenersi che l'amministratore che prelevi somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di competenze, in assenza di una delibera dell'assemblea dei soci (unica deputata a stabilirne l'emolumento), integri con la propria condotta il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.

La Corte, però, riconosce che vi è un altro orientamento che privilegia, invece, l'aspetto sostanziale e ritiene che debba rispondere di bancarotta preferenziale, e non di bancarotta per distrazione, l'amministratore che ottenga in pagamento dei suoi crediti una somma congrua al lavoro prestato e, tuttavia, traccia dei parametri di standard probatorio che l'imputato deve soddisfare, per dimostrare la congruità della somma che gli è stata liquidata.

In particolare, i giudici rilevano che il giudizio di congruità della somma corrisposta all'amministratore, non può essere fondato sulle mere asserzioni di quest'ultimo, ma deve fondarsi su dati oggettivi che ne consentano un‘adeguata verifica, esemplificando, tra gli stessi, gli emolumenti riconosciuti ai precedenti amministratori, il rispetto degli impegni orari, i risultati garantiti, i compensi corrisposti all'organo dirigenziale di vertice della società, i compensi riconosciuti agli amministratori di altre società del medesimo settore e di analoga grandezza nonché ogni altro elemento di raffronto ritenuto utile.

Nel caso sottoposto all'esame della Corte, difettando gli elementi sopra citati, i giudici non ritengono soddisfatto tale onere probatorio e per tale ragione rigettano il ricorso per mancanza di specificità.

La conclusione cui perviene la Corte di Cassazione nella pronuncia in commento, dunque, non si distanzia dagli approdi giurisprudenziali già noti in tema di condotta addebitata all'amministratore che prelevi delle somme dalle casse sociali, a titolo di pagamento di un proprio credito.

In conclusione, appare chiaro che il punto focale della questione sia rappresentato dalla congruità del corrispettivo ricevuto, rispetto al lavoro prestato.

Del resto, sarebbe irragionevole ritenere responsabile di distrazione, l'amministratore che abbia solo percepito il giusto corrispettivo per le prestazioni professionali effettivamente rese in favore della società, in conformità a quanto normalmente percepito nei precedenti anni o a quanto percepito da amministratori di società del medesimo tipo.

Inoltre, come è stato correttamente osservato da alcuni autorevoli Autori, il credito da lavoro è sempre esigibile e idoneo a determinare l'insinuazione del suo titolare nella massa passiva fallimentare. Tale argomentazione, peraltro, non risulterebbe scalfita neppure dalla mancanza di una delibera formale degli organi sociali, requisito che secondo parte della citata giurisprudenza distingueva l'ipotesi di bancarotta fraudolenta da quella preferenziale.

Tale criterio distintivo, infatti, risulta eccessivamente formalistico e inidoneo a negare il diritto al compenso per l'attività lavorativa svolta.

La sentenza commentata, in ogni caso, non mette ancora un punto alla vicenda, in quanto il Tribunale del Riesame, cui la questione verrà devoluta in sede di rinvio, dovrà valutare se sussistono o meno quei requisiti di congruità del compenso ricevuto a titolo di indennità di preavviso dall'ex direttore generale, sia rispetto alle prestazioni rese in favore di Banca Etruria, sia rispetto al compenso normalmente percepito nei precedenti anni dagli altri amministratori del predetto istituto di credito o di altri di analoghe dimensioni.

Guida all'approfondimento

ALAGNA, La bancarotta dell'amministratore infido ed egoista, Giur. Comm. Fasc. 3, 2011, p. 614;

BRICCHETTI-TARGETTI, Bancarotta e reati societari, Milano, Giuffrè, 2003, p. 108;

CONTI, Diritto penale commerciale. I reati fallimentari, Torino, 1991, p. 207;

COCCO, La bancarotta preferenziale, Napoli, 1987, p. 1678 ss.;

COCCO, voce Fallimento, Commentario breve alle leggi penali complementari, Padova, 2007, p. 1195 ss.;

CORUCCI, La bancarotta e i reati fallimentari, Milano, Giuffrè, 2008, p. 131 ss;

FONDAROLI, I reati dei soggetti che amministrano o controllano l'impresa societaria. I soci illimitatamente responsabili. L'institore, in Diritto penale commerciale. I reati nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, coordinato da Carletti, Torino;

GELARDI, Se costituisce bancarotta fraudolenta per distrazione o bancarotta preferenziale il fatto dell'amministratore, il quale soddisfi con denaro della società fallita un proprio credito verso la stessa, in Giur. Comm., 1975, II, 189 ss.;

PEDRAZZI, Reati fallimentari, in Pedrazzi-Alessandri-Foffani-Seminara-Spagnolo, Manuale di diritto penale dell'impresa, Bologna, Mondutti, 2003, p. 118;

PEDRAZZI, sub. art. 223, in Pedrazzi-Sguzzi, Reati commessi dal fallito. Reati commessi da persone diverse dal fallito, Bologna-Roma, Zanichelli, 1995, p. 301;

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