Fumi e odoriFonte: Cod. Civ. Articolo 844
12 Luglio 2018
Inquadramento
La norma da cui occorre prendere le mosse è l'art. 844 c.c., che recita: «1. Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. 2. Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso». Nella Relazione al codice civile, sul punto, si legge (n. 412): «il principio di socialità, da cui l'istituto della proprietà è pervaso, torna a riflettersi sulla disciplina delle immissioni … per l'art. 844 c.c. il proprietario del fondo deve sopportare le immissioni di fumo e di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti, e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino che non superino la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alle condizioni dei luoghi … il duplice criterio del grado di intensità delle immissioni e del carattere particolare della zona è coordinato a quello delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà … un ulteriore criterio è indicato al giudice per agevolare la risoluzione dei conflitti nei rapporti di vicinato, autorizzandolo a tener conto della priorità di un determinato uso». Dunque, il disposto dell'art. 844 c.c., in tale strutturazione, nel comma 1, non parte dal divieto di immettere (non si statuisce «sono vietate le attività che …»), ma, al contrario, fissa in negativo un limite a tale possibilità («il proprietario non può impedire …»), mentre, nel comma 2, contempla un ampio potere del magistrato nell'applicare la norma, enunciando tre diversi criteri per valutare la liceità dei suddetti “disturbi” invasivi: due obbligatori, che sono quelli della normale tollerabilità, tenendo presente la situazione dei luoghi, nonché del contemperamento delle ragioni della proprietà con le esigenze della produzione, ed uno facoltativo che è quello della priorità dell'uso. Comunque, a ben vedere, la norma de qua non integra un precetto, nel senso di comportamento doveroso, né contempla una sanzione specifica, poiché si fissano solo alcune direttive obbligatorie, neppure graduate tra loro (stato dei luoghi, esigenze della produzione, ragioni della proprietà) ed una facoltativa (preuso) - direttive che, peraltro, hanno come destinatario principale il giudice - né la stessa norma rinvia ad altre fonti legislative (come regolamenti comunali o strumenti urbanistici).
I fumi pericolosi
La prima ipotesi - fumi - è legata principalmente alle caldaie per il riscaldamento autonomo installate all'esterno delle unità abitative, con pericolo di fuoriuscita di anidride carbonica. Il fatto che spesso le stesse siano poste in prossimità delle finestre è stato analizzato dai giudici di legittimità, i quali, in una fattispecie concreta, hanno statuito che, per stabilire se l'installazione di una caldaia a gas metano, per il riscaldamento domestico, provoca danni alla proprietà vicina, deve applicarsi la disciplina prevista dall'art. 890 c.c., per l'insita potenziale pericolosità e nocività del combustibile, e pertanto, soprattutto se l'impianto è difforme dalla normativa di cui alla l. 6 dicembre 1971, n. 1083, occorre prima escludere che vi sia pericolo per la salubrità e sicurezza della proprietà altrui; quindi, accertare, ai sensi dell'art. 844 c.c., se le immissioni provenienti dal relativo tubo di scarico arrechino disagi o molestie intollerabili (Cass. civ., sez. II, 1 agosto 1997, n. 7143). Secondo una pronuncia di merito (Trib. Cagliari 24 settembre 1987), invece, sono da considerarsi lecite le immissioni di fumo in un fondo altrui, benché potenzialmente dannose alla salute del soggetto affetto da broncopneumopatia asmatica, qualora siano manifestazioni del normale utilizzo delle canne fumarie presenti in particolari tipologie abitative e non raggiungano livelli di inequivocabile intollerabilità. In proposito, va ricordato che, allo scopo di impedire le suddette immissioni nocive di fumi, il Legislatore è intervenuto emanando norme tecniche riguardanti i controlli da parte delle autorità preposte alla vigilanza, gli obblighi imposti agli utenti e le relative sanzioni in caso di inadempimento (v., in particolare, il d.p.r. n. 412/1993, attuativo della l. n. 10/1991, ed il d.p.r. n. 551/1999). Del resto, in tema di inquinamento atmosferico in generale, si è sostenuto - v., altresì, Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1987, n. 2580 - che le disposizioni della l. 13 luglio 1966, n. 615, disciplinano comportamenti che prescindono da qualsiasi collegamento con la proprietà fondiaria e che vengono presi in considerazione in sé e per sé nell'interesse collettivo alla salvaguardia della salute in generale e non per stabilire i limiti di equilibrio nell'utilizzazione di tale proprietà, che rimangono affidati alla disciplina delle immissioni ex art. 844 c.c., senza trovare sanzione nella detta legge avente una diversa sfera di operabilità; pertanto, in materia di conflitti tra fondi vicini, il comportamento dannoso del proprietario di uno di essi, quale l'emissione di fumo prodotto da combustione dalla finestra di un locale adibito a panificio, pur essendo contraria alle dette norme contro l'inquinamento atmosferico, non attribuisce ex se al proprietario di un appartamento nell'edificio in condominio il diritto di chiederne l'eliminazione se non nel caso in cui egli dimostri che l'immissione di fumo nel suo appartamento supera il limite della normale tollerabilità ai sensi dell'art. 844 c.c. (Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1988, n. 2470). A proposito di fumi - sia pure sotto un altro versante - ad avviso di un giudice onorario, le immissioni provenienti dagli scarichi di veicoli parcheggiati in un cortile condominiale, se accertate superiori alla normale tollerabilità, legittimano un condomino a pretendere che il cortile non sia destinato a parcheggio di veicoli (Giud. Pace Como 13 marzo 1999). Si è, altresì, statuito che il comportamento dannoso del proprietario di unità immobiliare posta in edificio condominiale consistente nell'emissione di fumo prodotto dalla cottura di cibi alla brace sul proprio terrazzo, attribuisce al proprietario del limitrofo appartamento il diritto di chiederne la cessazione, qualora dimostri il superamento del limite di normale tollerabilità previsto dall'art. 844 c.c., dovendo, però, il giudice aver riguardo alla condizione dei luoghi, alle esigenze di vita ed alle abitudini della popolazione del luogo (Trib. Nocera Inferiore 17 luglio 2000). Gli odori spiacevoli
La seconda ipotesi - odori - è stata oggetto di variegate pronunce giurisprudenziali, le quali, ovviamente, risentono delle peculiarità del caso concreto sottoposto al vaglio del magistrato, con statuizioni volte alla cessazione delle immissioni moleste (ad esempio, rimuovendo radicalmente l'attività svolta dal vicino) o alla condanna all'esecuzione di opere idonee ad eliminare i lamentati inconvenienti (ad esempio, attuando alcuni accorgimenti tecnici idonei ad evitare la denunciata situazione pregiudizievole), non escludendo nemmeno la possibilità che le esalazioni continuino contro il pagamento di un indennizzo a carico dell'immittente ed a favore dell'immesso. Tra le pronunce di merito, si possono segnalare Trib. Trani 19 gennaio 1991, secondo cui costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c., l'utilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino al fine di installarvi tubature per lo scarico di acque o per il passaggio del gas, nonché sfiatatoi per evitare il ristagno di odori. Resta inteso che, per stabilire se la destinazione o la fruibilità di un ambiente comune in un condominio edilizio siano state degradate dalle esalazioni provocate da uno dei condomini - si pensi al recente fenomeno della ristorazione da parte di extracomunitari e al forte odore della c.d. cucina etnica - il giudice di merito non può limitarsi a constatare l'esistenza di un parere positivo dell'autorità sanitaria, poiché quest'ultima cura interessi pubblici diversi da quelli dei privati, tutelati dalle norme del codice civile sul condominio (per un'ipotesi concernente un gabinetto, v. Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1978, n. 4844). In materia di immissioni lato sensu odorigene, si può citare la seguente massima: ai fini dell'art. 844 c.c. l'intollerabilità delle immissioni (nella specie, esalazioni provenienti dall'evaporazione di idrocarburi adoperati per il lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle esigenze della produzione con le ragioni della proprietà, sussiste anche quando esse, pur non essendo di eccessiva entità, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilità che le rende insopportabili, al bene primario della salute (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1989, n. 3675).
La detenzione di animali domestici
Una peculiare tipologia di immissioni nell'àmbito condominiale è offerta dalla detenzione di animali domestici: invero, la presenza di questi ultimi all'interno di unità immobiliari poste in un edificio in condominio potrebbe essere fonte di immissioni - per quanto ci interessa, odorose - pure se, talvolta, a monte dei possibili intollerabili fastidi che le bestie creano al normale svolgimento della vita quotidiana, si nascondono altri tipi di insofferenze personali. In quest'ottica, una pronuncia di merito (Trib. Bari 12 aprile 2006) ha ritenuto che la detenzione di un animale può integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 c.c., in quanto tale norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che provochino una situazione di intollerabilità attuale, per cui il condominio risponde, a norma dell'art. 2043 c.c. per non aver inibito la condotta illecita del condomino proprietario del cane, del danno alla tranquillità e delle conseguenze sulla qualità della vita, conseguenti alle esalazioni degli escrementi e dell'urina. Di contro, la mera detenzione di un animale può integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 c.c., in quanto tale norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni, che abbiano carattere materiale, mediato o indiretto, e siano fonte di una situazione di intollerabilità; pertanto, ad avviso di Trib. Piacenza 10 aprile 1990, la legittimità di tale detenzione, teoricamente possibile in quanto esplicazione del diritto di proprietà ex art. 832 c.c., deve essere accertata alla luce dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni; nella specie, il conflitto nasceva tra un singolo condomino e l'inquilino di un appartamento contiguo, il quale aveva adibito il cortile dell'immobile da lui occupato a ricovero e pensione di cani di proprietà sua, del locatore e di altri cani randagi in numero rilevante, e le immissioni provocate da tale situazione non si riducevano al solo fastidio causato dai continui latrati delle bestie, ma producevano odori tanto sgradevoli da indurre il vicino ad abbandonare il proprio immobile (sul presupposto, quindi, che rientra nella nozione di immissione qualsiasi manifestazione immateriale che sia percepita dai sensi dell'uomo come intollerabile, continua, ma anche periodica, pur se non ad intervalli regolari, si è acclarato che i cani in questione, poiché non governati a dovere, sporcavano e mandavano cattivi odori oltre misura). In tutte queste situazioni - raggiungimento di livelli insostenibili e non mero fastidio - appare evidente la necessità di ricorrere in via d'urgenza al magistrato per ottenere un provvedimento di allontanamento dell'animale molesto, soprattutto nel caso di abbandono degli animali in totale libertà ed incuria (sia all'interno delle abitazioni, sia negli spazi comuni dell'edificio), o nel caso di mancata osservanza delle più elementari regole di governo e pulizia per gli stessi, provocando disagi al resto della compagine condominiale, a causa di escrementi, esalazioni maleodoranti, latrati, pericoli di aggressioni, e quant'altro. Il ricorso al provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. è ancor più giustificato, considerando, da un lato, i tempi lunghi di un giudizio ordinario, durante il quale il diritto alla salute di condomini ed inquilini abitanti nello stabile de quo potrebbe essere minacciato da un pregiudizio “imminente ed irreparabile”, e, dall'altro, lo stato di coazione personale fisica e psicologica che questi ultimi possono subire per la serie di abusi che si ripetono a tempi e modalità indeterminati ed imprevisti, ma permanenti, senza possibilità di diverso riparo se non l'allontanamento degli animali. I risvolti penali
Se gli inconvenienti correlati ai fumi e agli odori di cui sopra trovano la loro tutela civilistica nell'àmbito del disposto dell'art. 844 c.c., il versante penale ha coinvolto soprattutto il reato di cui all'art. 674 c.p., rubricato “getto pericoloso di cose”. Tale reato, inquadrato nelle contravvenzioni concernenti “l'incolumità pubblica”, punisce, con l'arresto fino a un mese o con l'ammenda di € 206,00, «chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti». In termini generali, si è avuto modo di precisare che, ai fini della configurabilità del suddetto reato, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un “effettivo nocumento”, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone (Cass. pen., sez. III, 13 gennaio 2015, n. 971); al contempo, però, non costituisce molestia, idonea ad integrare lo stesso reato, la mera circostanza di arrecare alle persone “preoccupazione generalizzata ed allarme” circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti. Inoltre, tra le emissioni di gas, vapori o fumo atte ad offendere o imbrattare o molestare persone rientrano “tutte le sostanze volatili” che emanano odori provocanti disturbo, disagio o fastidio alle persone (v. Cass. pen., sez. III, 20 gennaio 2011, n. 2377). La contravvenzione di cui sopra, poi, non è configurabile quando l'offesa, l'imbrattamento o la molestia abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non “persone” (Cass. pen., sez. III, 10 giugno 2010, n. 22032). Infine, il reato previsto dall'art. 674 c.p. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una species del più ampio genus costituito dal “gettare” o “versare” cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone (Cass. pen., sez. III, 17 ottobre 2011, n. 37495). Una fattispecie condominiale è stata recentemente decisa da Cass. pen., sez. III, 1 luglio 2015, n. 27562, che ha confermato la condanna alla pena di 10 giorni di arresto, nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, essendo emerso dalle risultanze processuali che l'imputato, nell'esercizio dell'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (nel caso concreto, bar-pizzeria) aveva provocato l'emissione nell'atmosfera di “fumi e vapori nauseabondi”, al punto da determinare estremo disagio (nausea e senso di vomito) in tutti i condomini dello stabile, che erano costretti a tenere le finestre chiuse. In particolare, si è osservato che, per il reato di cui all'art. 674 c.p., l'evento di “molestia” provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. (Cass. pen., sez. III, 26 settembre 2012, n. 37037; Cass. pen., sez. III,27 settembre 2011, n. 34896; cui adde, più di recente, Cass. pen., sez. III, 3 novembre 2014, n. 45230, in materia di emissioni moleste “olfattive”: nella specie, è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta dell'imputato che, non provvedendo ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri cani e del cortile circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato “esalazioni maleodoranti” in grado di arrecare molestie ai condomini confinanti; d'altronde, il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di una condotta omissiva che può essere integrata dall'omessa custodia di animali qualora sia derivato il versamento di feci animali atte ad offendere, imbrattare o molestare persone, v. Cass. pen., sez. III, 31 luglio 2008, n. 32063: fattispecie nella quale gli escrementi liquidi di alcuni cani, lasciati incustoditi dal proprietario sul balcone, si riversavano nell'appartamento sottostante). In argomento, si è affermato che, ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., in tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza dell'emissione di gas, vapori e fumi derivanti da una canna fumaria, atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dipende dal superamento dei limiti della normale tollerabilità, con conseguente pericolo per la salute pubblica, la cui tutela costituisce la ratio dell'incriminazione (Cass. pen., sez. III, 21 dicembre 2006, n. 42213, relativamente ad una pizzeria). Nel caso sottoposto all'esame dei magistrati di Piazza Cavour, il ricorrente, anziché censurare siffatte argomentazioni, aveva riproposto doglianze in fatto (in ordine al buon funzionamento dell'impianto di areazione e deodorizzazione), oppure irrilevanti (quanto al mancato consenso da parte dei condomini all'installazione di una canna fumaria). In particolare, sotto il primo aspetto, anche di recente Cass. pen., sez. III, 23 marzo 2015, n. 12019 ha ribadito che il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di immissioni olfattive provenienti da un impianto “munito di autorizzazione” per le emissioni in atmosfera, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità previsto dall'art. 844 c.c. In senso contrario, va registrato, però, un altro indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il reato di getto pericoloso di cose non è configurabile qualora le emissioni provengano da un'attività regolarmente autorizzata o da un'attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali, e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (Cass. pen., sez. III, 18 novembre 2010 n. 40849; Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2009 n. 15707) In proposito, si è puntualizzando che, all'inciso “nei casi non consentiti dalla legge”, deve riconoscersi un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell'illecito penale, da un lato, e dell'illecito civile, dall'altro; in particolare, la clausola “nei casi non consentiti dalla legge”, contemplata nell'art. 674 c.p., non è riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative (Cass. pen., sez. III, 17 aprile 2009 n. 16286). Relativamente ai confini rispetto alla fattispecie civilistica, la stessa Corte regolatrice - Cass. pen., sez. III,9 marzo 2006, n. 8299 - ha puntualizzato che, ai fini della configurabilità del suddetto reato, l'espressione “nei casi non consentiti dalla legge” costituisce una precisa indicazione circa la necessità che tale emissione avvenga in violazione delle norme che regolano l'inquinamento atmosferico; allorché, pur essendo le emissioni contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell'art. 844 c.c.; non è, pertanto, configurabile il reato di cui all'art. 674 c.p. quando le emissioni provengano da un'attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi speciali in materia di inquinamento atmosferico. Appare comunque preferibile l'orientamento più rigoroso - di cui sono espressione, tra le altre, Cass. pen., sez. III, 15 aprile 2009, n. 15734; Cass. pen., sez. III, 19 giugno 2007 n. 23796 - per il quale il reato di getto pericoloso di cose è integrabile indipendentemente dal superamento dei valori limite di emissione eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un'attività produttiva autorizzata può procurare molestie alle persone, “per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici” idonei ad eliminarle o contenerle. Resta il fatto che, in tema di getto pericoloso di cose, qualora trattasi di emissioni di fumi, gas o vapori atti ad offendere o molestare le persone, la prova del superamento del limite di tollerabilità deve essere determinata di volta in volta dal giudice, anche mediante dichiarazioni testimoniali, con riguardo sia alle condizioni dei luoghi e alle attività normalmente svolte in un determinato contesto produttivo, sia al sistema di vita e alle correnti abitudini della popolazione nell'attuale momento storico (Cass. pen., sez. III, 13 ottobre 2007 n. 38073, in una fattispecie in cui l'emissione di fumi, promananti dalla canna fumaria e prodotti dall'impianto di riscaldamento dell'imputato, investiva l'abitazione di alcuni vicini di casa provocando loro molestia; Cass. pen., sez. III, 28 settembre 2007 n. 35489, in un'ipotesi concreta di emissioni di monossido di carbonio e fumi provocati da un impianto termico centralizzato condominiale, di cui era stata accertata la presenza all'interno dell'appartamento di un condomino).
Casistica
Celeste, Il ristorante che emette odori nauseabondi, in Amministr. immobili, 2016, fasc. 207, 14; Butti, Emissione di odori e tutela ambientale, in Giur. merito, 2002, 1180; Bordolli, Esalazioni e immissioni insopportabili, quali le responsabilità del condominio?, in Immobili & diritto, 2007, fasc. 9, 39; Alvino, Installazione della canna fumaria sul muro comune, in Giust. civ., 1977, I, 1159; Visco, I cani in regime condominiale, in Nuovo dir., 1972, 167; Salis, I cani e il condominio, in Riv. giur. edil., 1971, I, 446.
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