Ricorso per saltum avverso la sentenza di non luogo a procedere. È realmente inammissibile?
16 Luglio 2018
Massima
Secondo il regime attualmente vigente la sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p., è appellabile; resta precluso il ricorso per saltum. Il caso
Con sentenza il Gup ha "assolto" P.M. dal reato di cui al d.P.R. 115 del 2002, art. 95 perchè il fatto non costituisce reato, ritenendo non accertato il dolo. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per la cassazione il procuratore della Repubblica presso il tribunale deducendo la violazione di legge. Rammentato che il vaglio richiesto al giudice dell'udienza preliminare attiene alla possibilità di eventuali sviluppi del compendio probatorio possibili in sede dibattimentale e che il reato in oggetto è integrato dalla falsità della dichiarazione a prescindere dalla sussistenza o meno dei requisiti per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il ricorrente assume l'erronea applicazione della legge penale e la palese illogicità della motivazione impugnata nella parte in cui il giudice ha definito come assolutamente irrilevanti e prive di offensività le predette difformità ed escluso gli elementi soggettivi del reato contestato sulla scorta di un dato non pertinente, quale l'essere il reddito effettivo notevolmente inferiore al limite massimo stabilito dalla legge. La questione
La questione involge la possibilità di proporre ricorso per saltum avverso la sentenza di non luogo a procedere . In carenza di una testuale previsione é possibile, alla luce della recente riforma operata dalla l. 103 del 2017, proporre ricorso diretto contro la sentenza di non luogo a procedere? Le soluzioni giuridiche
La IV Sezione della Cassazione ha dato al quesito una risposta di segno negativo e ha convertito il (proposto) ricorso omissio medio in appello. Osservazioni
Con l'ordinanza qui annotata la Cassazione ha escluso l'operatività dell'art. 569 c.p.p., che disciplina il ricorso per saltum, in relazione alla sentenza di non luogo a procedere. La questione si è prospettata in seguito alla reintroduzione dell'appello, con la l. 103 del 2017 , nei confronti della sentenza del giudice dell'udienza preliminare, rimedio che era stata escluso, dalla l. 46 del 2006 (c.d. legge Pecorella). È difficile dire quanto possa aver inciso sulla decisione il contenuto del ricorso e la possibilità di rimettere il giudizio di impugnazione davanti alla Corte d'appello, considerato che la decisione è stata pronunciata successivamente alla riforma. Il termini più chiari, l'intervento contenuto nel ricorso, sconfinante in argomenti di merito doveva ritenersi inammissibile. In termini ancora più espliciti, il ricorso, comunque, doveva regredire in secondo grado: o per l'inoperatività dell'art. 569 c.p.p. ovvero per l'appellabilità della decisione di non luogo (art. 568, comma 5, c.p.p.). Gli argomenti addotti dal Supremo Collegio che escludono l'operatività dell'art. 569 c.p.p. nei confronti delle sentenze di non luogo non appaiono, tuttavia, decisivi. In primo luogo, si evidenzia come il Legislatore, ripristinando l'appello – previsto, come detto, nella versione originaria del codice del 1988 – non avrebbe riprodotto esattamente la testuale previsione – espressa – del ricorso per saltum che figurava al comma 4 dell'art. 428 c.p.p., ove si prevedeva che Il procuratore della Repubblica, il procuratore generale e l'imputato possono proporre ricorso immediato per cassazione a norma dell'articolo 569. Apparentemente, il dato potrebbe apparire significativo. Si consideri, tuttavia, non solo che lo strumento del ricorso per saltum opera solo per le sentenze (Cass. pen., Sez. unite, 24 aprile 1991, Bruno, in Cass. pen., 1991, II, 490), cosicché non si possono trarre conclusioni dalle espresse precisioni di cui agli artt. 311, comma 2 e 325, comma 2 c.p.p. Invero, proprio le disposizioni espresse e “derogatorie” consentono di ritenere che nei confronti delle sentenze una esplicita previsione non sia necessaria. Del resto, l'art. 569 c.p.p. è collocato tra le disposizioni generali delle impugnazioni e, al riguardo, non appare irrilevante il fatto che proprio la giurisprudenza ha ammesso il ricorso omissio medio avverso la sentenza di non doversi procedere emessa dal giudice di pace, accanto al rimedio dell'appello espressamente previsto dall'art. 36 d. lgs. 274/2000, in ragione del mezzo disciplinato dall'art. 569 c.p.p. e, si badi, data la sua portata generale (Cass. pen., Sez. IV, 4 dicembre 2004, Fabris, in Cass. pen. 2004, 2267). Sotto la medesima prospettiva nessun significato può attribuirsi al fatto che il Legislatore non abbia riformato l'art. 608, comma 4, c.p.p,. stante la generalità del riferimento ai ricorsi in Cassazione, sicuramente operante anche per il ricorso nei confronti delle sentenze di non luogo a procedere. Del tutto non significativo risulta, infine, il riferimento al contenuto ed alla finalità della sentenza di non luogo a procedere. Invero, la natura, la funzione, i contenuti della sentenza de qua, non sembrano mutati, nei loro profili caratterizzanti, dalla loro configurazione originaria. Se il Legislatore aveva, infatti, previsto l'operatività dell'art. 569 c.p.p., ciò significava che non apparivano (e non appaiono) sussistenti condizioni ostative all'operatività del saltum. Non può non sottolinearsi come improprio, dunque, il riferimento a Cass. pen., Sez. VI, 15 febbraio 2005, n. 9970, p.m. in proc. Cicini, di cui alla motivazione della decisione annotata, atteso che essa fa riferimento al tema dei provvedimenti cautelari, per i quali, si ritiene, che la scelta del rimedio (espresso) per saltum intende circoscrivere l'ambito delle censure proponibili, palesando, anche per tale via, il carattere inadeguato del richiamo. |